Una commemorazione in tono minore e con i vip della politica in ferie accompagna la tragedia che si trascina in tribunale. Fra prescrizioni e perizie tecniche le 43 vittime del 14 agosto 2018 non hanno ancora avuto giustizia

Con una messa alle 9 del 14 agosto 2024 inizia la commemorazione dei 43 morti nel crollo del viadotto Polcevera a Genova, avvenuto alle ore 11.36 di sei anni fa. Il ponte che ha sostituito la struttura progettata da Riccardo Morandi è già lì da quattro anni, costruito e inaugurato in fretta e furia, soprattutto senza badare a spese, per dare all’Italia un nuovo modello. È il modello Genova, anch’esso crollato lo scorso maggio con gli arresti che hanno colpito il presidente ligure Giovanni Toti, il presidente del porto ed ex del ministero delle infrastrutture Paolo Emilio Signorini, il re delle banchine Aldo Spinelli.

 

Alla mestizia della giornata si aggiunge la città bruciata dal caldo, semivuota com’era sei anni fa quando soltanto il giorno prefestivo evitò un bilancio di vittime enormemente più grave in un punto di attraversamento strategico sulla direttrice est-ovest, spesso carico di veicoli in coda.

Quest’anno, a parte il sindaco e commissario straordinario Marco Bucci, la rappresentanza politica è guidata dai numeri due. Sono Alessandro Piana, vicepresidente regionale ad interim fino alle elezioni del prossimo autunno, e il genovese Edoardo Rixi, viceministro leghista. Non è prevista la visita del titolare del Mit Matteo Salvini, più preoccupato della nuova diga genovese da 1,3 miliardi e dello sciopero dei balneari che va confortando nel suo pellegrinaggio vacanziero in Versilia.

 

Ci saranno ovviamente i rappresentanti delle vittime, guidati da Egle Possetti, e i comitati del quartiere Certosa che, benché non invitati, hanno denunciato un risanamento mai visto e lo scarso interesse per gli effetti post-traumatici su un tessuto urbano dove 266 famiglie sono rimaste senza casa. Chi vive si dà pace ma chi ha subito un lutto in nome della massimizzazione del profitto ha diritto alla giustizia.

 

Il convitato di pietra del sesto anniversario è il processo. La prescrizione ha già eroso i primi reati dalla lista dei capi di imputazione. Dopo 170 udienze, alla media di tre per settimana, sono decaduti il falso ideologico e il rifiuto in atti d’ufficio. Le cronache locali riferiscono di un verdetto di primo grado quasi impossibile entro il 2025. L’anno seguente, forse. La prescrizione per i reati più gravi è fissata al 2031. Nonostante gli uffici giudiziari di Genova abbiano dato il massimo per portare avanti un processo-simbolo, le esigenze della difesa rimangono sacrosante, inclusa la linea di allungare la lista di testimoni e di perizie tecniche.

 

In prima linea nella lista degli imputati rimane Giovanni Castellucci, ad di Aspi-Autostrade per l’Italia e gestore del ponte Morandi. Il manager che ha guidato il primo concessionario autostradale e che ha riempito di dividendi il gruppo Benetton ormai rappresenta solo se stesso. La famiglia di Ponzano Veneto ha venduto Aspi con ulteriori ricchi incassi e si è giovata dei gradi di separazione che consentono di sbarazzarsi di un amministratore strapagato scaricando su di lui ogni responsabilità. I nuovi azionisti di Autostrade, la Cdp e i fondi Blackstone e Macquarie che sembrano sulla via dell’uscita all’inizio del 2025 perché non guadagnano più abbastanza, hanno applicato altri cuscinetti alla strage. Per esempio, hanno cambiato nome alla Spea, società Aspi responsabile dei servizi di ingegneria, che oggi si chiama Tecne.

 

In fondo, le società ex Benetton se la sono cavata con poco. Per uscire dal processo Aspi ha patteggiato il versamento di 30 milioni di euro avendone incassati 67 dalle compagnie assicurative per risarcire le vittime.

 

Il prezzo del sangue è stato pagato. Il sistema, o il modello, è rimasto in piedi. Semmai, il crollo del ponte lo ha rafforzato dando ragione ai presunti carnefici e ribadendo un principio antico. Solo chi muore ha torto.