Nel 2022 abbiamo speso 79 miliardi di euro per l’istruzione. Meno che per gli interessi sul debito. Eppure, garantire risorse è cruciale per tutto il sistema Paese. Parola di un’ex ministra

«La scuola è aperta a tutti». Così recita l’articolo 34 della Costituzione, quale direzione e fondamento di ciò che la scuola deve essere. Un luogo di crescita e di inclusione, di superamento delle barriere. Con questo spirito a settembre si riaprono le porte degli edifici scolastici, pronti ad accogliere oltre 7 milioni di studenti e circa un milione e mezzo di personale scolastico, tra dirigenti, Dsga, docenti e tutto il personale amministrativo, tecnico e ausiliario. Da ministra dell’Istruzione, per curiosità, feci controllare le pagine dei quotidiani del trentennio precedente, riferite a ogni inizio di anno scolastico. La parola più ricorrente è sempre stata «caos» e i problemi sembrano essere i medesimi da tanto, troppo tempo. Insegnanti e personale Ata da nominare in tempo per le lezioni, edifici scolastici non sempre stabili, stipendi insufficienti, mense che non partono per tempo mettendo in difficoltà le famiglie, trasporti non sempre funzionanti, continuità didattica spesso non garantita, in particolare modo, sul sostegno e mille altri piccoli e grandi problemi, di cui nessuno parla, ma che noi dirigenti scolastici affrontiamo tutti i giorni. 

La spesa per l’istruzione: priorità o sacrificio?
V’è però un problema maggiore, alla base di ogni altro, puntualmente rilevato di recente da parte del governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta: l’Italia spende per interessi sul debito più di quanto spende per l’istruzione. Secondo i dati Istat, infatti, la spesa dell’Italia per l’istruzione nel 2022 è stata di circa 79 miliardi di euro, mentre la spesa per interessi passivi delle pubbliche amministrazioni sempre nel 2022 è stata di 82,9 miliardi di euro. Non si tratta solo di indicazioni economiche, ma di dati che restituiscono l’impressione, soprattutto a livello internazionale, che l’Italia investa (e creda) poco nell’istruzione dei giovani. Nel biennio 2020-2021 fu previsto un incremento di spesa di oltre il 4% del Pil, immaginando di crescere ancora grazie alle ingenti risorse in arrivo con il Pnrr. I documenti di economia e finanza più recenti, in attesa di leggere il nuovo programma strutturale di bilancio, dimostrano – al netto delle risorse Pnrr – una tendenza alla revisione al ribasso della spesa. Ben lontano da quel che servirebbe. Ogni euro speso per l’istruzione è un investimento per il Paese. Ciò vale già in termini di adeguamento, manutenzione degli edifici scolastici, per la creazione di ambienti di apprendimento nei quali la tecnologia non sia solo avversata, ma diventi funzionale allo sviluppo di abilità e conoscenze, a partire dalle materie Stem, fondamentali per la competitività dell’Italia a livello globale. Ancora, proseguire il lavoro avviato in passato sulla digitalizzazione delle procedure è una spinta importante verso la trasparenza. Un processo da cui non si può tornare indietro. 

 

Investire su asili nido, tempo pieno e inclusione sociale
Investire più su asili nido e tempo pieno significa investire sulle famiglie, sul lavoro femminile, significherebbe credere nei bambini e nelle donne. Non mancano gli studi che dimostrano come tali misure stimolino e incentivino la produttività, liberando energie positive, stimolando l’imprenditoria e l’occupazione femminile. Non servono misure una tantum, sono necessari servizi costanti sui quali le famiglie o chi vorrebbe mettere su famiglia possano fare legittimo affidamento. Investire sulle competenze vuole dire anche valorizzare il collegamento con il mondo del lavoro, ma non per fornire manodopera a basso costo alle imprese e mettere a rischio la sicurezza dei più giovani, bensì per valorizzare le aspirazioni e le competenze di studentesse e studenti, stimolando il tessuto imprenditoriale all’innovazione continua, alla sperimentazione. Incrementare non solo il «tempo scuola», ma anche il «tempo a scuola», tramite patti educativi di comunità, come quelli con il terzo settore, che furono fondamentali per l’uscita dalla pandemia, significa altresì avere strumenti culturali, efficaci, di contrasto alla criminalità organizzata, nei contesti più difficili, sottraendo innocenti ragazze e ragazzi dalle logiche della strada, dello spaccio, della microcriminalità, dalle complessità familiari nelle quali spesso vivono. Perché la scuola è al contempo tempio e palestra dell’inclusione, dove si forma la coscienza collettiva, dove si impara davvero a essere cittadini, senza distinzione di classe o provenienza geografica. È il luogo dove si dovrebbero allenare la testa e il cuore, il luogo delle opportunità per chi vuole impegnarsi e costruire qualcosa nella vita. 

 

Valorizzare i lavoratori della scuola
Un discorso a parte va dedicato ai lavoratori della scuola. Se, da una parte, il dibattito di settore resta ancorato unicamente ai concorsi e ai meccanismi di reclutamento, dall’altro, si svia l’attenzione da ciò che può essere strategico per il futuro. Ben venga, come accaduto, ogni aumento salariale, nella consapevolezza che si tratta, però, solo di un primo passo. Per innalzare la qualità dell’insegnamento, ad esempio, occorre restituire davvero autorevolezza alla funzione, immaginando anche percorsi di carriera e sviluppo professionale, fondati sulla valorizzazione delle straordinarie professionalità di cui le scuole dispongono. Aumenti stipendiali, possibilità di carriera, valorizzazione e valutazione delle competenze di ciascuno. È questo il vero presupposto per immaginare, di conseguenza, anche forme di formazione, abilitazione e reclutamento stabili, organizzate regolarmente, che invoglino i giovani a intraprendere questa professione, che tengano conto delle esigenze di tutti, in primo luogo di quelle delle studentesse e degli studenti e garantiscano standard professionali elevati. Occorre preparare un terreno comune, fatto di scelte di buon senso, oltre ogni spinta ideologica, che servano finanche a invertire l’inverno demografico alle porte, che rischia di lasciarci senza scuole, senza studentesse e studenti, senza futuro.