Attualità
6 novembre, 2025Già a scuola la vita intima è repressa, l’educazione sessuale e affettiva sparisce. Al potere giova la dicotomia personale-politico, donna-uomo. Perché - dice la celebre femminista - “il sessismo è fondamento di ogni dominio. E i maschi non sopportano di non averci a disposizione. Ma la rivoluzione è tornata”
Alla fine, il corpo si riprende ciò che è suo. Represso, abusato, sminuito, presenta il conto, si ribella, si manifesta patologicamente. Si libera. Perché solo l’insieme di corpo e mente compone «un individuo nella sua interezza». Al corpo, quello femminile, Lea Melandri ha sempre dato voce attraverso la scrittura: per svelare meccanismi arcaici e sottili del potere. Classe 1941, presidente della Libera Università delle donne di Milano, Melandri è diventata una delle teoriche di riferimento del femminismo italiano prendendovi parte sin dai primi anni Settanta. E con Renata Morizio affronta questo tema durante “Yawp Festival. In piedi sui banchi di scuola” (1° novembre, ore 15.15, Base Milano) per rintracciare le radici della demonizzazione dove affondano: nelle aule, appunto.
Nei luoghi del sapere ufficiale, il corpo di studenti, studentesse e docenti non esiste. «Eppure c’è, dietro la cattedra, sotto i banchi – spiega l’ex professoressa – i sentimenti, gli istinti, le passioni viaggiano in maniera sotterranea». Non a caso, mentre si parla, va in scena la polemica sul disegno di legge del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara: con la scusa di «rafforzare la corresponsabilità tra scuola e famiglia», mira a introdurre limiti inediti all’educazione sessuale e affettiva. Gli istituti dovrebbero fornire ai genitori «tutto il materiale didattico» che intendono usare e ottenere il loro consenso formale prima di trattare l’argomento in classe. Inoltre, nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado sono vietate attività che esulino dalle nozioni minime previste di norma nei programmi di scienze.
«Nel 1968, quando ho iniziato a lavorare alle medie, la scuola era disciplina dei corpi. Con il paradosso che erano specialmente le donne ad avere il compito di tenere a bada, di contenere tali corpi e di trasmettere una conoscenza da cui loro stesse erano escluse», prosegue Melandri. È l’epoca in cui, lasciandosi alle spalle il paese natale nella campagna romagnola e un matrimonio forzato che sarà annullato tempo dopo, Lea fugge nel capoluogo lombardo e scopre il movimento non autoritario degli insegnanti. In quell’ambiente incontra lo psicoanalista Elvio Fachinelli e comincia a frequentare i gruppi femministi provando a legare le due realtà. Nascono qui gli scritti poi raccolti nel suo primo libro, “L’infamia originaria”, autentico manifesto tradotto in più lingue.
«Le dicotomie tra maschile e femminile, tra corpo e mente furono messe in discussione, smascherate come paravento di certe logiche di potere. Si avviò una rivoluzione che ha illuminato e offerto la parola a questioni universali, come la maternità, le relazioni, la sessualità, da sempre considerate estranee alla politica e alla cultura. Avvenne una scandalosa inversione tra queste ultime e la vita, intesa come vissuto profondo e particolare di ogni storia personale. Ovviamente scattò subito la repressione dei difensori dello status quo, una censura che ancora oggi è all’opera». Per Melandri, del resto, dei movimenti degli anni Settanta l’unico superstite è quello femminista: «Le generazioni cresciute allora sono nella scuola adesso e tentano di portare avanti, spesso frenate da famiglie e istituzioni, il cambiamento».
È vero, infatti, che la condizione femminile è migliorata dal punto di vista di libertà e diritti conquistati. «Tuttavia, le donne rimangono identificate con il corpo; continua a infastidire il fatto che vogliano decidere della propria esistenza, sottraendo il corpo medesimo alla disponibilità degli uomini. I quali vedono saltare una privatizzazione del potere tra i sessi che concepiscono come naturale». Così si generano spinte contrarie. Secondo Melandri, «le donne sono indispensabili a causa dei vincoli di cura da cui sono gravate e che si sono allargati a dismisura, mentre gli uomini svolgono un ruolo pubblico e tornano soggetti da accudire tra le mura di casa. Il loro dominio passa dai rapporti più intimi; conoscono il nostro corpo da dentro, da figli, poi le posizioni si rovesciano nella coppia e negli altri ambiti. Un rovesciamento prolungatosi nei millenni. E l’amore s’è mescolato con la violenza».

Ma non si osa nominare quella domestica almeno fino agli anni Duemila: «Si sono spalancate le porte del privato, dove si perpetra questa sorta di vendetta; essa scaturisce dall’emergere, nei maschi, della consapevolezza di essere fragili, non più rassicurati dalla sfera esterna, davanti a donne che si rendono autonome». Il risultato si legge nella cronaca che elenca femminicidi dalle dinamiche raggelanti. Forse perché si diventa adulti trascinandosi interrogativi senza risposta. «Per me il liceo era l’occasione per comunicare brutalità e sfruttamento a cui avevo assistito da piccola. Lo feci in uno scritto in IV ginnasio: fu giudicato ottimo per la forma, ma fuori tema. Ero tanto delusa che per mesi disertai le lezioni. Dopo capii che il fuori tema era il tema, un’esperienza non traducibile nel linguaggio, conficcata nel corpo, che con il movimento femminista acquisì legittimità».
Perciò, da insegnante, Melandri cerca di non ripetere errori che l’avevano ferita. «Un esempio? Disponevo in cerchio alunni e alunne, affinché si guardassero in volto. Ero e sono convinta che, se in casa si riceve una prima impronta, è la scuola a dover ascoltare e costruire un racconto, una riflessione su ciò che accade nell’adolescenza; altrimenti tutto, dai mutamenti anatomici ai modelli di genere, arriva addosso in modo alienante. Ora siamo nel pieno di contraddizioni: il disagio giovanile è conseguenza della crisi della famiglia, di ragazzi disorientati di fronte a coetanee che rifiutano la sottomissione. Siccome la scienza di stampo patriarcale risale alla differenziazione tra principio paterno (spirituale, immortale) e materno (connesso a natura, materia vivente, animalità), si tende a sostituire il corpo con la virtualità. Comunque, le buone prassi per risolvere i problemi non mancano. C’è una svolta, che spaventa la maggioranza di governo e ne scatena la reazione, ma indietro non si torna».
La prospettiva degli anni Settanta, dunque, riappare concreta: «Come ogni esigenza radicale che spinge la società civile a credere nella possibilità di un mondo più giusto. E sono appunto i corpi a rioccupare spazio. Quelli martoriati che testimoniano gli orrori della guerra. Ma pure quelli che riempiono le piazze per protestare contro gli autoritarismi: donne, maestri, maestre, studenti e studentesse che si aggregano in un tessuto intergenerazionale e intersezionale in nome di alti ideali. Si rinsalda l’alleanza con la classe operaia, perché le difficoltà quotidiane avvicinano ceti, etnie… Spero in una lotta comune contro l’oppressione con basi estese e il fulcro nel femminismo: il sessismo, del resto, è il fondamento di tutti i tipi di dominio che la Storia ha sperimentato».
Al contempo, Melandri mette in guardia dagli ostacoli interni al movimento e dalle sue debolezze. «L’autocoscienza, cioè la narrazione di sé sottoposta al vaglio di altre donne per indagare la visione e il pensiero maschile da cui siamo colonizzate, che abbiamo introiettato per sopravvivere, è stata abbandonata troppo presto. Mentre l’emancipazione non è stata interrogata abbastanza. Ci sono donne in posizioni di comando che replicano atteggiamenti machisti, sfoggiando corpi ultra-curati; alcune sfruttano seduzione e maternità illudendosi di ricavarne vantaggi, invece di liberarsi. E nasce la competizione tra di noi. Occorre, semmai, fare rete; lo dico soprattutto alle nuove leve di insegnanti».
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