Attualità
10 dicembre, 2025Il modello italiano non funziona: mercato bloccato da troppe case di proprietà e tante seconde case (più la piaga affitti brevi a uso turistico). Quattro milioni in povertà abitativa, 187 mila famiglie in attesa. Dei 900 mila immobili popolari, la metà ha più di 40 anni. In edilizia convenzionata solo 40 mila alloggi
Ammassate disamine, statistiche, comparazioni, riflessioni, prefazioni, postfazioni, cominciamo dalla coda e poi riprendiamo dalla testa: il problema «casa» è un problema per chi non ce l’ha, un problema sempre più grosso, e un bell’affare per chi ne ha molte, sempre più grasso. Attraverso la «casa», rifugio e snodo di ogni tipo di esistenza dignitosa, ci passa il resto: la vocazione di un Paese. Questo concetto lo ha esposto magistralmente Sergio Mattarella durante l’ultima assemblea dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci): «Le politiche per la casa, nella duplice segnalazione di un’emergenza per le tensioni abitative che si manifestano e insieme di un bisogno fondamentale cui corrispondere per sostenere l’avvio di serie iniziative di sostegno alla natalità, richiedono uno sforzo di programmazione che interpella Comuni, Regioni, Stato. Si tratta – ha dichiarato il presidente della Repubblica – di politiche basilari per incoraggiare le nuove famiglie, per favorire i giovani studenti, per includere i lavoratori che giungono, in caso diverso marginalizzati e sospinti nel degrado».
Senza la casa, l’ascensore sociale resta al piano terra. Senza la casa, lo studente non abbiente resta al piano terra, o comunque fatica il doppio, il triplo. E lo stesso vale per il giovane lavoratore autoctono o immigrato, per il non più giovane lavoratore autoctono o immigrato che perde l’impiego, per la giovane coppia convivente, per la giovane coppia con figli. Senza la casa, la Costituzione resta al piano terra. Calpestata.
Ecco le disamine, le statistiche, eccetera. Per l’Anci ci sono 4 milioni di italiani in «condizione di povertà abitativa» e 187.000 famiglie sono in attesa di una casa. Le famiglie in attesa sono in coda per un alloggio pubblico e sociale. E qui una prima distinzione: l’edilizia residenziale pubblica (Erp), le case popolari per intenderci, è finanziata completamente dal pubblico e si rivolge ai cittadini che non superano 20.000 euro di reddito annuo con canoni mensili attorno ai 100 euro; l’edilizia residenziale sociale (Ers) è di natura privata, regolata però da convenzioni col pubblico e perciò le soglie di accesso sono più alte (anche oltre 50.000 euro per un canone medio di 7 euro al metro quadro). L’edilizia residenziale pubblica è di gran lunga prevalente con 900.000 immobili, mentre l’edilizia residenziale sociale è stimata in 40.000 immobili. Oltre la metà dei 900.000 alloggi popolari, come riporta il cento studi di Unimpresa, ha più di 40 anni e risale agli anni ’60 e ’70. Negli ultimi vent’anni l’edilizia pubblica si è praticamente fermata, le nuove costruzioni – cioè quelle tirate su dopo il 2010 – rappresentano il 2,2 per cento.
La casa è la summa delle diseguaglianze nella società italiana. Eppure l’occupazione del suolo è incessante: l’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ha rilevato che lo scorso anno la superficie artificiale è incrementata di 78,5 km quadrati e ormai siamo al 7,17 per cento dell’intero territorio italiano. Evidentemente non per l’edilizia pubblica o sociale.
La fondazione Ifel di Anci ha confrontato la situazione abitativa italiana con i vicini europei. In Italia ci sono 35,2 milioni di case; in Francia sono 38,4 con 10 milioni di residenti in più; in Germania sono 43,1 con 25 milioni di residenti in più. A quale uso sono destinate queste case in eccesso? Quasi 10 milioni di case italiane risultano «non occupate», in realtà sono seconde, terze, quarte case e spesso sono utilizzate come strutture ricettive con affitti brevi. Il mercato italiano è bloccato perché ci sono tantissime case di proprietà (55,4 per cento), tante seconde, terze, quarte case (27,3 per cento) e poche case in affitto a lungo termine (13,1 per cento). In Germania la maggioranza è in affitto a lungo termine (53,4 per cento). In Francia più di una casa su dieci è per l’edilizia pubblica contro il 2,6 per cento in Italia.
Il bene casa è una peculiarità delle famiglie italiane over 65, e infatti l’82,7 per cento ne ha una di proprietà. Vette inarrivabili dai 65 anni in giù. Il rapporto Svimez ha inquadrato il contesto: «La domanda di alloggi è aumentata, mentre l’offerta di nuove abitazioni e di case ristrutturate non è cresciuta con lo stesso ritmo. Ciò ha determinato significativi aumenti sia dei prezzi delle abitazioni, sia degli affitti, in maniera più acuta in alcune regioni e città. I salari non sono aumentati nella stessa misura del costo degli alloggi e questa evoluzione disomogenea ha creato un divario sempre più ampio tra la disponibilità di alloggi a prezzi accessibili e le capacità economiche delle famiglie». Nel Centro-Nord la povertà assoluta riguarda il 21 per cento delle famiglie in affitto e soltanto il 3,6 per cento delle famiglie proprietarie.
La Lega ha provato a inserire un palliativo nella legge di Bilancio: 122 milioni di euro per il prossimo anno, in totale 878 in cinque anni, per le abitazioni principali di giovani, giovani coppie, genitori separati, anziani soli. Buona idea, ma niente, le coperture o sono ballerine o non bastano. Allora i partiti di maggioranza si sono macerati col rebus tasse sugli affitti e affitti brevi. Quando rimuovere la vantaggiosa cedolare secca? Oggi finisce con la quinta casa, domani con la quarta. Lunare. Almeno la casa sia di maggioranza e di opposizione. Il presidente di Anci Gaetano Manfredi, nonché sindaco di Napoli di centrosinistra, chiede un «Piano casa nazionale pluriennale»: «È sollecitato anche dalla Commissione europea e richiede una mobilitazione congiunta di risorse pubbliche e private. Dobbiamo essere consapevoli che – fa sapere a L’Espresso – ogni euro speso per garantire un tetto sicuro restituisce ai cittadini la fiducia di poter programmare un futuro, rappresentando un ritorno in termini di coesione e produttività. Le priorità del Piano devono essere mirate perché l’emergenza non riguarda più solo le fasce più fragili. Oggi la crisi del mercato ha colpito duramente anche il ceto medio, i giovani professionisti, gli studenti e le giovani coppie. Questo crea un effetto domino devastante sulla società». Manfredi da sindaco di Napoli celebra l’operazione di trasformazione di una ex sede Inps di 15.000 metri in studentato con 40 milioni di euro (provenienti da Fondo iGeneration, Fondo europeo per gli investimenti, da Cassa depositi e prestiti Real Asset Sgr). «La nuova residenza offre 541 posti letto e – aggiunge Manfredi – grazie all’accordo con l’Azienda per il diritto allo studio universitario della Regione Campania, il 30 per cento dei posti letto è riservato a studenti meritevoli e privi di mezzi, con tariffe calmierate di circa 278 euro per una camera singola e 254 euro per un posto in camera doppia».
A proposito di collaborazione pubblico-privato, doverosa perché il pubblico non ha più denaro e il privato ha più potere, è il momento di incrociare i numeri con due vicende davvero esemplari. Una di Milano, una di Roma. In zona scalo ferroviario di Porta Romana hanno tagliato con gioia, e con un sospiro di sollievo, uno dei nastri per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina. Il gruppo Coima con l'amministratore delegato Manfredi Catella, coinvolto nello scandalo dell'urbanistica milanese, ha consegnato il Villaggio Olimpico che a febbraio ospiterà gli atleti e dal prossimo autunno sarà adibito a studentato con 1.700 posti. Il pubblico ci ha messo l’area da “rigenerare”, il privato l’ha costruito in due anni e mezzo e gestirà lo studentato in futuro e però chiede al pubblico di coprire 40 milioni di “extra-costi” dei 140 spesi. Il Comune di Milano ha strappato una convenzione al gruppo Coima che non appare così vantaggiosa: è vero che il prezzo medio per stanza è inferiore del 25 per cento del prezzo di mercato, ma è anche vero che 1.065 euro per una singola e 739 euro per una doppia, nonostante i servizi inclusi di pulizia, utenza, biancheria, non sono proprio adeguati a tutti. Per evitare ulteriori polemiche i posti a tariffa agevolata (592 euro), con i contributi di Cassa depositi e prestiti (pubblico), sono aumentati da 150 a 448 su 1.700.
La scorsa primavera Ater Roma, l’azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica controllata dalla Regione Lazio, ha spedito una surreale lettera a circa 130 affittuari di due stabili di edilizia residenziale sociale con un messaggio secco: dobbiamo vendere le vostre case, o le riscattate a un prezzo speciale a voi dedicato oppure, e ci dispiace, dovete lasciare la casa. Un bel paradosso: l’azienda pubblica che deve accogliere inquilini, ne caccia qualche centinaio. Ater ha i suoi debiti, le sue sciagure e le sue disfunzioni, ma i due stabili di via Pincherle e via Colli Portuensi sono anche una eredità politica, un dilemma mai risolto che si trascina avanti dal 2009. Quando la Regione Lazio decise di salvare 130 affittuari dei due stabili di Fata Assicurazioni e di Unicredit. Ad agosto l’intervento del Comune di Roma con l’assessore Tobia Zevi ha scongiurato lo sfratto dei 130 affittuari che dal 2009 pagano a Ater un canone non certo basso. Il Campidoglio ha promesso circa 3,2 milioni di euro a Ater per la manutenzione di altre abitazioni popolari e Ater si è impegnata a non esigere acquisti o, peggio, ordinare sfratti. Tutto risolto? Macché. L’accordo è verbale, ne serve uno scritto. E fra negoziati e burocrazia, si aspettano i contratti. La dialettica pubblico-privato non è facile. Neanche quella pubblico-pubblico scherza.
L’ufficio stampa di Coima precisa: «Il pubblico non ha messo alcun'area: i privati l'hanno acquistata da FSI (vedi cs allegato). Inoltre, avendo assunto un impegno per ospitare il VO nei locali dello studentato, Coima si è trovata costretta a completare l'opera in un momento storico in cui i costi di materie prime, energia e tassi di interesse sono esplosi post Covid e conflitto tra Russia e Ucraina: data l'indifferibilità dell'opera, i lavori sono andati avanti ugualmente, mentre l'operatore avrebbe potuto decidere di fermarsi. Da qui gli extracosti».
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