Nel processo che vide imputato l’ex agente di polizia statunitense Derek Chauvin per la morte di George Floyd, la difesa sostenne che non fu l’asfissia (provocata dalla manovra del poliziotto) a determinarne il decesso, quanto più probabilmente una serie di concause: il monossido di carbonio che poteva fuoriuscire dalla volante rimasta accesa, le droghe utilizzate in precedenza da Floyd e i pregressi problemi cardiaci dello stesso. La vicenda, conclusasi nel 2021 con la condanna dell’ex agente per omicidio involontario di secondo grado, chiarì come invece fu proprio la manovra utilizzata durante l’arresto – ancorché legale e quindi utilizzata in molti paesi dentro e fuori gli Stati Uniti – a essere letale, provocando una asfissia da posizione.
Sulla legittimità di tale intervento molto è stato detto dopo quella condanna, eppure negli Stati Uniti come in Italia le forze di polizia perseverano nel suo utilizzo. Succede proprio in questi mesi che la vicenda di Igor Squeo, milanese di 33 anni, morto in circostanze poco chiare il 12 giugno del 2022 a seguito di un intervento della polizia e degli operatori sanitari, rischia di essere archiviata sulla base dell’individuazione della vera causa del decesso. Secondo i pm, infatti, la morte dell’uomo sarebbe esclusivamente riconducibile all’assunzione di cocaina (avvenuta almeno cinque ore prima del decesso) e nulla avrebbero a che fare la posizione in cui l’uomo era stato tenuto dalla polizia al momento del fermo né la somministrazione da parte degli operatori sanitari di un potente anestetico.
La polizia era stata allertata, intorno all’una di notte, dal coinquilino di Squeo, preoccupato per lo stato di agitazione in cui versava l’uomo. Gli agenti, dopo averlo ammanettato, sostengono di averlo messo in posizione laterale di sicurezza. Circostanza smentita dagli operatori sanitari che, intervenuti in un secondo momento, hanno testimoniato di essersi trovati di fronte a un uomo ammanettato, messo in posizione prona, tenuto fermo da più di un agente che gli faceva pressione sulle spalle, comprimendogli il torace sul pavimento. Nonostante la crisi respiratoria in atto, in tale posizione gli fu somministrato il farmaco e dopo due minuti Squeo ebbe il primo arresto cardiaco e morì dopo il terzo arresto alle 6,45.
Il gip, per ora, ha rigettato la richiesta di archiviazione e disposto nuove indagini anche sulla base degli ulteriori elementi emersi dalla difesa della famiglia Squeo, rappresentata dalla legale Ilaria Urzini. Luigi Manconi, sociologo e fondatore di A Buon Diritto, sulla vicenda ha affermato: "La combinazione della cosiddetta manovra Floyd, quindi della compressione del torace, e la somministrazione di un anestetico prima del quale non è chiaro se l’uomo fosse stato monitorato avendo già crisi respiratorie in atto, sono elementi critici che devono essere approfonditi per restituire la verità su quella notte e su questa morte".
A chiamare Franca Pisano, madre di Squeo, furono i sanitari del policlinico di Via Francesco Sforza, dicendole che il figlio era morto a causa di un arresto cardiaco. "L’ho visto sdraiato su quel letto, pieno di lividi e ferite, il corpo fasciato. Nessuno che mi spiegasse, ‘overdose da cocaina’, dissero, per loro finiva lì".