Dieci anni fa oltre 1000 migranti persero la vita nella "più grande strage del Mediterraneo". Mattarella: "La nostra civiltà ci impedisce di voltare le spalle e restare indifferenti"

Tra le vittime, anche il ragazzo "con la pagella cucita" all'interno della giacca. L'Unhcr: "Da allora, almeno 34 mila persone sono morte in mare"

È passata alla storia come “la più grande strage del Mediterraneo”, quella che avvenne nella notte tra il 18 e il 19 aprile 2015, quando un peschereccio partito dalla costa libica con a bordo molte centinaia di migranti - in gran parte provenienti da Paesi dell'Africa occidentale - si capovolse mentre cercava di raggiungere una nuova terra da chiamare casa. Oltre mille persone, oltre mille storie sono naufragate quella notte, a 180 chilometri a sud di Lampedusa. 
 

 

Eritrei, sudanesi, gambiani, ivoriani: quasi tutti persero la vita. C’era anche un ragazzino, minorenne, che aveva viaggiato per 4 mila chilometri, dal Mali fino a Tripoli, per poi salire su quel barcone che non l’ha mai portato a destinazione. È l'adolescente “con la pagella cucita” all’interno della giacca, che si era impegnato per avere buoni voti, nella speranza di mostrarli ai maestri di nuova scuola.


Soltanto 28 persone sopravvissero allo scontro tra la barca di legno azzurra e una nave mercantile portoghese, la King Jacob, intervenuta per prestare soccorso. Molti migranti che si trovavano chiusi nelle stive interne non riuscirono a mettersi in salvo.

 

“Erano persone che disperatamente cercavano una vita migliore, fuggendo da guerre, persecuzioni, miseria. Persone finite nelle mani di organizzazioni criminali, che li hanno crudelmente abbandonati nel pericolo”. Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricordato la “immane tragedia” che si è consumata nel Canale di Sicilia. “È la nostra civiltà a impedirci di voltare le spalle, di restare indifferenti, di smarrire quel sentimento di umanità che è radice dei nostri valori”, ha aggiunto. Lanciando, poi, un monito all’Europa: “I movimenti migratori vanno governati e l’Unione Europea deve esprimere il massimo impegno in questo senso. Il necessario contrasto all’illegalità, la lotta alla criminalità, si nutrono della predisposizione di canali e modalità di immigrazione legali che, con coerenza, esprimano rispetto nei confronti della vita umana".

 

"Oltre mille morti nel peggiore naufragio del Mediterraneo. Dopo 10 anni si continua a morire in mare, in fuga da guerre in cerca di salvezza. I tagli agli aiuti lasciano le persone senza alternative: rischiare la vita nelle mani dei trafficanti. Non possiamo permetterlo", si legge in una nota dell'agenzia Onu per i rifugiati, l'Unhcr. "Da allora, si stima che 34 mila persone siano morte o disperse, mentre cercavano di raggiungere l'Europa via mare. È probabile che il numero reale sia molto più alto". Ed è probabile che continui a crescere: "Senza alternative, i rifugiati e i migranti continueranno a intraprendere viaggi pericolosi. Operazioni di ricerca e soccorso tempestive, più percorsi legali verso l'Europa, ma anche aiutare le persone a trovare sicurezza e assistenza salvavita più vicino a casa - dove la maggior parte dei rifugiati rimane - sono azioni che salvano vite umane", ha affermato Philippe Leclerc, direttore dell'Ufficio dell'Unhcr per l'Europa.

 


Ma i dati, quelli che ci dicono che negli ultimi 10 anni è morto nel nostro mare un bambino, migrante, al giorno, o quelli che ci dicono che il 2024 ha toccato il record degli ultimi dieci anni per decessi nelle acque del Mediterraneo centrale, con 8.938 persone scomparse in questa rotta letale, fanno venire in mente un timore: che si parli della “più grande strage del Mediterraneo”, sì, ma finora. 

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