Non è mai facile ammettere di essere stati imbrogliati. C'è la vergogna. Il senso del ridicolo. Quello di impotenza. Tanto più grande quanto più ci sentiamo forti. Eppure può succedere a chiunque. Non è una questione di età o di cultura, quanto di momenti della vita. Perché c'è sempre un giorno, un mese, un anno in cui la testa o il cuore sono altrove, troppo lavoro o troppe emozioni. Non importa. Ci sono momenti in cui non siamo presenti a noi stessi, in cui le nostre abitudini prendono il sopravvento sul sistema di allarme interno che ci aiuta nella quotidianità. Era un giorno di luglio di un paio di anni fa quando con una telefonata mi sono ritrovata dalla parte dei beffati. Senza nemmeno rendermene conto. Era la filiale belga della banca ING che chiamava sul mio cellulare italiano in un momento in cui le cose non stavano andando per il verso che avrei voluto. E quando mi viene detto che qualcuno ha fatto acquisti con la mia carta di credito vado nel panico, come mi succede, ormai lo so, solo quando, io acrofobica, non ho la terra sotto i piedi.
Era già accaduto che la mia carta venisse impropriamente utilizzata. Ma non mi sono ricordata cosa fosse successo in passato. Come avessi reagito. Quali fossero i passi da intraprendere. Ero soffocata dal panico. Dall'altra parte della cornetta una voce professionale, tranquilla, mi chiede l'accesso al mio conto corrente tramite l'applicazione “Itsme” che, in Belgio, dove abitavo, è usata per l'accesso a tutti i propri dati personali, da quelli bancari a quelli amministrativi. Un'icona rossa sul telefono, a portata di mano. Con un paio di clic sono dentro senza nemmeno avere il tempo di emettere un sospiro. È in quel momento che guardo la mia collega dall'altra parte della scrivania: «Sono vittima di un furto, ho al telefono la banca». Lei non batte ciglio: «Sei sicura che sia la banca?».
Improvvisamente ritorno in me stessa. E mai atterraggio è stato più crudele. Con l'altro telefono, quello con il numero belga, digito il servizio clienti. In pochi istanti ho due banche in linea. Ho la consapevolezza di essere stata truffata. Il servizio antifrode di Ing me ne darà contezza, dicendomi di stare tranquilla, che le migliaia di euro che mi sono state sottratte verranno recuperate. Ma come avevano il mio numero di telefono? Mi ricordo. Qualche settimana prima stavo pensando che sarei rientrata presto in Italia e che dunque avrei dovuto dare alla mia banca anche le coordinate del telefono italiano. Scherzo del destino, ricevetti allora una email di Ing per aggiornare i miei dati. Una mail tra le centinaia in cui navigo ogni giorno, spulciando, scartando, rispondendo, archiviando. In fretta perché il tempo è poco e il lavoro tanto. La fretta di una realtà digitale che ha invaso la nostra vita. Phishing: così hanno ottenuto il mio numero di telefono e, con quello, i risparmi di un anno di lavoro.
Non li ho mai riavuti indietro, quei soldi. La polizia belga ha infilato il verbale in un cassetto. La filiale della ING di Bruxelles non solo non ha recuperato i fondi ma non ha fatto nessun gesto conciliatorio. Nemmeno dopo una lettera dell’avvocato. Un grande senso di abbandono. Sarei potuta andare in causa. Sarebbe stata una causa troppo lunga, troppo costosa e dall'esito troppo incerto. Mi sono fermata. Ho chiuso il conto e aperto una nuova pagina della mia vita. Ma solo dopo essermi perdonata.