Attualità
24 luglio, 2025Pizzo, stidda, inchino, affiliato: il gergo delle cosche spiegato ai giovani dei campi della legalità. Un dizionario realizzato da oltre sessanta esperti, curato dalla Cgil con gli studenti
In tempi di guerre e mattanze di massa, crisi delle democrazie, eclissi dell’etica pubblica e attacchi alla giustizia su scala internazionale, forse in Italia si potrebbe ripartire dall’Abc dell’antimafia. Da un piccolo libro a metà strada tra un dizionario per le scuole e un saggio collettivo. S’intitola “L'antimafia parola per parola” e ha unito, sotto il motto “conoscere per resistere”, oltre sessanta tra autori e revisori: professori universitari e studenti, ex magistrati e avvocati, giornalisti e storici, dirigenti sindacali, sacerdoti, pensionati, ragazzi dei centri di formazione, animatori di associazioni per la legalità.
In due parole, l’“antimafia sociale”, che è una delle voci di quest’opera pensata per diffondere tra i più giovani le conoscenze accumulate dagli esperti in una vita di lavoro. «È un libro di formazione, con testi semplici, nato come strumento di studio e riflessione a disposizione delle migliaia di ragazzi che frequentano i campi della legalità», spiega Carla Pagani, che ha curato il testo con Roberto Battaglia, Damiano Di Giovanni e Alice Pettinari. «È uno scambio di cultura democratica tra le generazioni, che ha visto affiancati i pensionati della Cgil-Spi con la Rete degli studenti medi e l’Unione degli universitari. Si fa capire ai giovani che non hanno ancora 18 anni, ad esempio, che l’esercizio del voto fa parte della lotta alla mafia».
Le parole d’obbligo ci sono tutte, a partire da “associazione a delinquere di stampo mafioso”, con tanto di storia e significato dell'articolo 416 bis, ma la prima voce è “abigeato”, il furto di bestiame che è all’origine della mafia agraria. Alle pagine dedicate al passato e al presente di Cosa nostra, camorra e ’ndrangheta, si aggiungono le organizzazioni connesse, dai “corleonesi” alla “stidda”, dalla “Nuova famiglia” alla “Sacra corona unita”.
Un ventenne può imparare che un “uomo d'onore” è ritualmente “affiliato”, ma alla mafia serve anche l'imprenditore “avvicinato”, il politico che fa “voto di scambio”, il banchiere che gestisce il “riciclaggio” dei profitti del “narcotraffico”, il giudice colluso o intimidito di un processo “aggiustato”, il prete che non nega l'“inchino” della statua del santo davanti alla casa (o alla tomba) del boss.
Molte voci rese famose da romanzi, film o serie televisive vengono precisate e chiarite: chi spezza il patto di “omertà” è considerato un “infame”, che può restare vittima di “lupara bianca” in Sicilia o di una “stesa” in Campania; i giudici eroi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono attaccati, da vivi, come “professionisti dell’antimafia”, prima di essere uccisi con le scorte nelle stragi di “Capaci” e “via D'Amelio”, innanzitutto perché avevano fatto vincere allo Stato il “maxi-processo” a Cosa Nostra.
Un “boss” può scrivere un “pizzino” in codice, per ordinare a un “picciotto” di chiedere il “pizzo” a un’azienda. Si parla anche di “piovra” e “sacco (edilizio) di Palermo”, “Gomorra” e “Mare fuori”, “terra dei fuochi” e “vele di Scampia”.
Ci sono anche voci dedicate alle mafie del Nord, dalla “Mala del Brenta” ai clan calabro-emiliani del processo “Aemilia”. Ma si spiega anche la grande criminalità di Roma non considerata mafiosa, dalla “Banda della Magliana” al “Mondo di mezzo”.
A firmare un approfondimento sulla “mafia invisibile” della Capitale è Daniele Piervincenzi, il giornalista che nel 2017 fu colpito con una testata dal boss di Ostia Roberto Spada, poi condannato per svariati reati.
Il libro aggiorna e completa un primo vocabolario antimafia che era stato pubblicato sempre dalla Cgil-Spi con il titolo “Cento passi in sessanta parole”. Peppino Impastato, il giornalista e attivista che fu assassinato il 9 maggio 1978 (il giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro) facendolo passare per terrorista, per ordine del boss Gaetano Badalamenti, viene ricordato da sua nipote, Luisa Impastato, presidente della Casa della Memoria di Cinisi, con un testo dedicato alla sua “Radio Aut”, intitolato “La voce della lotta».
Su Portella della Ginestra, l’eccidio eseguito dalla banda di Salvatore Giuliano che sparò sulla folla dei braccianti il primo maggio 1947, interviene Maurizio Landini, che la definisce «la prima strage dell’Italia repubblicana». Il segretario generale della Cgil ricorda che a quegli 11 morti e 27 feriti, seguirono «gli omicidi di Placido Rizzotto e di tanti altri sindacalisti ammazzati dalla mafia» e rivendica «un impegno profondo» a continuare la lotta. Ai giovani di oggi che affollano i campi della legalità, però, forse è meglio non dire che allora lo stragismo funzionò: per quasi mezzo secolo (almeno) in Sicilia, Italia, ha vinto la mafia.
L'illustrazione dedicata a Paolo Borsellino e alla strage di via D'Amelio è di Miriam Balli ed è tratta dal libro "L'antimafia parola per parola" .
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