Attualità
29 luglio, 2025Milano è l’emblema del paradosso italiano quando si parla di casa: un Paese dove la quota di edilizia pubblica è il 4 per cento del patrimonio abitativo e un quinto degli affitti. E la forbice sociale continua ad allargarsi
Nella Milano della febbre immobiliare ci sono 12 mila case libere. Vuote, perché fatiscenti: «In grave stato manutentivo», nel linguaggio della burocrazia. Alloggi di edilizia residenziale pubblica, che nella città travolta dall’inchiesta sull’urbanistica non possono essere messi a bando e assegnati, perché dovrebbero essere prima ristrutturati. Ma i fondi non ci sono.
Non solo: «Non tutte le case sfitte hanno bisogno di interventi – rimarca Mattia Gatti, segretario di Sicet Milano, il sindacato inquilini di Cisl – molte sono lasciate vuote in attesa di essere destinate alla “valorizzazione”: ovvero a essere vendute o affittate a canoni più alti». In parallelo ci sono «ben 16 mila persone in graduatoria – spiega Carmelo Benenti, segretario generale del Sunia Milano, il sindacato inquilini della Cgil – per 500 appartamenti disponibili». Benenti ricorda com’è andato l’ultimo bando a Cinisello Balsamo, comune nell’hinterland: «Le domande sono state 270. Ma le case disponibili erano tre».
Abitare a Milano è diventato Squid Game, una gara spietata e impossibile: perché mentre gru e cantieri si moltiplicano, la forbice sociale continua ad allargarsi. Il meccanismo si avvita, ed è contagioso: prezzi alle stelle, affitti che con la media dei salari italiani diventano proibitivi (ed erodono il 40 per cento del reddito, stima la Cgil milanese), l’arrivo dell’ufficiale giudiziario per morosità. Sono più di duemila le richieste di sfratto che incombono sugli inquilini che abitano case private, stima Sicet. Un numero che continua ad aumentare: i dati del Viminale del 2023 parlano di 2.178 convalide emesse dal tribunale. L’anno precedente erano 1.700. Milano è l’emblema del paradosso italiano quando si parla di casa: un Paese dove la quota di edilizia pubblica è il 4 per cento del patrimonio abitativo e un quinto del mercato dell’affitto. L’ultima stima di Federcasa, attraverso il suo vicepresidente Luca Talluri, è che gli alloggi popolari in Italia siano circa 850 mila. Di questi, il 10-11 per cento è vuoto o sfitto, perché i fondi per ristrutturarli sono stati azzerati.
Fame di case
Il 3 luglio, al presidio per il diritto alla casa organizzato da Sicet e Unione inquilini a Milano, c’erano anche attiviste e attivisti di Ma quale Casa?, movimento che porta avanti la raccolta firme per una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare: per inserire il diritto all’abitare in Costituzione. Reggevano un cartello: “Nasci consuma affitta crepa”. Il punto di partenza era piazzale Lodi. Dove un appartamento da 60 metri quadri in affitto costa circa 1.500 euro al mese.
«Se hai 16 mila persone in lista per 500 alloggi popolari, è evidente che il sistema non è più sostenibile – riflette Carmelo Benenti – le case popolari, poi, avrebbero anche l’effetto di calmierare i prezzi sul mercato privato». Eppure i numeri sono impietosi: gli alloggi pubblici sono diminuiti dai 65.986 del 2019 agli attuali 62.457, considerando quelli di Aler e quelli del Comune di Milano, gestiti dalla municipalizzata Mm, Metropolitana milanese. Mentre le domande hanno continuato a crescere: negli ultimi cinque bandi – spiega Gatti – a fronte di 76.373 domande ci sono state 2.567 assegnazioni. «Il Comune ha fatto uno sforzo importante per mettere a bando alloggi popolari, con l’assessorato di Fabio Bottaro e prima di Guido Bardelli e Pierfrancesco Maran – sottolinea Benenti – con progetti dedicati. Uno di questi consente alle aziende di ristrutturare appartamenti per poi garantire prezzi calmierati ai dipendenti». Quanto all’inchiesta in corso, Benenti non entra nel merito ma rimarca: «Non si può demandare lo sviluppo immobiliare ai fondi senza che alla società torni nulla indietro. E la regia pubblica?».
Vite in bilico
«A Roma trovare una casa anche piccola a 300, 400 euro è fantascienza per una famiglia. Se c’è un imprevisto è sfrattata – dice Emiliano Guarneri, segretario nazionale Sunia Cgil – vive sul filo del rasoio». Tradotto in dati, gli ultimi del Viminale delineano l’emergenza: nel 2023 sono stati emessi 39 mila provvedimenti di sfratto, quasi la metà (il 46,7 per cento) nei capoluoghi. La maggior parte – 31 mila – per morosità. Con i proprietari che decidono sempre più spesso di destinare gli immobili ad affitti brevi turistici, più redditizi.
A Genova, alla sindaca Silvia Salis è stata consegnata una proposta di delibera di iniziativa popolare bocciata dalla precedente amministrazione: prevede il censimento degli alloggi vuoti e la restituzione alla città di quelli inutilizzati. Iniziative proposte dall’associazione Genova che Osa, Cgil e Social Forum Abitare. «Lo squilibrio tra patrimonio immobiliare e vuoti urbani è stridente – spiega Domenico Chionetti di Spi Cgil e Social Forum Abitare – una città turistificata senza cittadini non è più una città».
Il Piano (vuoto) di Salvini
Ma il famoso Piano casa annunciato a più riprese dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini? «Inesistente – attacca Guarneri – tende a rimettere sul mercato immobili ricavati da soffitte e verande. Rievoca la Torino degli anni Sessanta, quella degli alloggi di fortuna per gli immigrati dal Sud. E maschera condoni». Tra i primi atti del governo Meloni ci fu il mancato rifinanziamento nella legge di Bilancio 2023 del fondo di sostegno all’affitto per le famiglie bisognose e di quello per morosità incolpevole. Luca Talluri, vicario di Federcasa (che presiedeva fino al giugno 2021), iscritto al Pd e nel Social forum sulla casa, denuncia: «Nel 2019 il governo Conte Uno ha azzerato il fondo previsto dalla legge 80 del 2014 per ristrutturare gli alloggi popolari sfitti. Così, se le case di edilizia residenziale pubblica vuote nel 2014 erano il 9 per cento e nel 2019 il 4 per cento, ora sono lievitate all’11. Tutte occupazioni potenziali». A questo si aggiunge lo stillicidio: l’ultima stima di Federcasa è di 250 mila famiglie in graduatoria. A fronte di 10 mila assegnazioni all’anno.
“Niente casa, figlio in affido”
La storia della famiglia Touzri, a Genova, è la perfetta fotografia dell’ingiustizia. I Touzri vivono da quindici anni in una casa che è un abuso edilizio: per riscaldarsi usano stufe elettriche, per il gas c’è la bombola. Eppure sono in graduatoria per un alloggio erp dal 2009: «Ma a ogni colloquio gli uffici ci dicevano: un tetto già l’avete». Un’infiltrazione d’acqua, però, cambia tutto. L’amministratore di condominio contatta il Comune, viene avviata la procedura di sgombero: il “manufatto abusivo” sarà demolito. Ma un’altra casa per Samia e Mohamed, genitori di tre figlie ventenni, tutte studentesse universitarie, e di un ragazzino di 14, originari della Tunisia e cittadini italiani da dieci anni, non c’è. La risposta degli uffici comunali, infatti, è che non sono disponibili alloggi popolari in tempi brevi. Così, arrivano a proporre una soluzione sconcertante: dare in affido il figlio minore. «Non ci dormo la notte – racconta a L’Espresso Samia, che ci accoglie in cucina insieme alla figlia Joaina, studente di Relazioni internazionali – Ci hanno concesso, a voce, una proroga dello sfratto solo perché mio figlio aveva l’esame di terza media». I genitori vivono di impieghi saltuari, le figlie danno ripetizioni, poi c’è l’assegno di inclusione di 800 euro e quello unico da 600. Ma per accedere agli alloggi comunali ad affitto calmierato non è una garanzia sufficiente.
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Il diritto alle vacanze - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 15 agosto, è disponibile in edicola e in app