Inchieste
25 luglio, 2025La Procura parla di piano regolatore ombra e delle interferenze degli immobiliaristi. Con 35 miliardi di investimenti nei dieci anni dall’Expo la città del sindaco Sala ha cambiato volto. Ma corruzione, inquinamento, taglio del trasporto pubblico e prezzi impazziti l’hanno resa irriconoscibile
Dopo le design week, le fashion week, le wine week, le beauty week, a Milano è arrivata la Procura della Repubblica week. Doveva succedere. In parte, era già successo tanto che la politica nazionale bipartisan aveva prodotto il SalvaMilano per restituire la città ai suoi veri padroni. Sia chiaro, non sono i cittadini che vorrebbero salvare Milano dalla trasformazione in una Montecarlo sui Navigli accessibile soltanto a chi può permettersi i diecimila euro al metro quadro. La rigenerazione urbana voluta dalla giunta guidata da Giuseppe Sala ha consegnato la capitale del Nord alla finanza immobiliare a partire da Expo 2015, l’evento che segna l’inizio dell’ascesa per l’ex manager della Pirelli e della sindaca Letizia Brichetto Moratti, uomo ancorato nel jet-set meneghino fra banche e berlusconismo, fra archistar e danè, rigenerato a sinistra con dichiarazioni d’amore verso i Verdi, verso il Pd e infine verso l’ipotesi centrista contemplata dopo i due mandati a palazzo Marino.
Ridateci Carcarlo Pravettoni, la macchietta di Paolo Hendel sul leader del Partito del cemento. Il Sole 24 ore, quotidiano di Confindustria, ha calcolato che in dieci anni sono arrivati 35 miliardi di euro di investimenti su una quarantina di progetti immobiliari. Sono soldi mandati da ogni angolo del mondo, dagli Usa al Qatar. Non sempre sono tracciabili. Ma hanno esercitato una pressione micidiale sui prezzi. Il Global Wealth and lifestyle report 2025 di Julius Baer, ha confermato Milano tra le prime dieci città più care del mondo anche per il 2025. Secondo un rapporto di Scenari Immobiliari, chi avesse investito 100 in un appartamento al centro nel 1975 cinquant’anni dopo avrebbe una rivalutazione del 3529 per cento, più dell’oro e della borsa. Questa crescita ha creato effetti paradossali. Gli ex operai dell’Alfa Romeo che hanno comprato a prezzo calmierato le case popolari a Quarto Oggiaro o a Baggio tengono botta anche con pensioni modeste. Il ceto medio-basso di recente emigrazione, se non si porta i soldi dal paesino, vive in ristrettezze. Quindi, meno spazio per chi lavora e strada spianata a chi dispone di rendite, legittime o figlie del Grande Nero nazionale. Benvenuti i visitatori delle week, che portano soldi agli esercizi commerciali anche se aggravano l’emergenza abitativa favorendo gli affitti brevi. Persino l’arcivescovo Mario Delpini se l’è presa con il turismo sfrenato, la burocrazia e, più specificamente «il consumo avido del suolo e il credito malato».
A fronte di questa marcia trionfale simboleggiata da piazza Gae Aulenti, un’imitazione alla buona di Dubai Marina dove ha sede la Coima dell’indagato Manfredi Catella e dove si affaccia il Bosco Verticale dell’architetto sotto inchiesta Stefano Boeri, già coinvolto nell’indagine sulla biblioteca europea Beic, ci sono le piscine municipali di Milanosport che stentano ad aprire, il traffico congestionato, le ciclabili enigmistiche, le ristrutturazioni con demolizione, l’inquinamento fuori controllo, il taglio di tram e bus, le difficoltà del bilancio di un Comune che pure, a fine 2023 con il consiglio in vacanza natalizia, ha speso 228 milioni di euro per comprare da Webuild e Hitachi l’inutile quota di minoranza della Metro 4, già controllata dalla giunta. Sono 31 milioni di meno dei 197 previsti per la cessione di San Siro, stadio più area da 290 mila metri quadrati, un affare miliardario che il sindaco vuole chiudere a tutti i costi.
Sul fronte sicurezza, a febbraio c’è stato l’addio a Sala del superconsulente Franco Gabrielli, ex capo della Polizia stanco di attacchi per il caso Ramy, morto durante un inseguimento dei carabinieri. A marzo è stato arrestato il re dei locali coca-champagne-escort Davide Lacerenza ed è morto Carmine Gallo, protagonista dello scandalo Equalize che ha investito l’ex presidente della Fondazione Fiera Enrico Pazzali. A maggio l’assassino Emanuele De Maria si è buttato dalla terrazza della Madonnina. Poco dopo è iniziato il maxiprocesso Hydra contro la Triplice Alleanza mafiosa incombente su città e hinterland.
Adesso, l’urbanistica. Sul piano regolatore “ombra” magistrati milanesi sintetizzano così. «In sostanza», si legge nella richiesta di misure cautelari contro sei indagati fra i quali Catella e l’ex assessore alla rigenerazione urbana Giancarlo Tancredi, «la serie dei messaggi estratti dal cellulare di Marinoni e da quello di Boeri informano con precisione dell'assoluta mancanza di indipendenza nell'esercizio dei ruoli istituzionali e professionali da parte di costoro, ed inoltre dell'atteggiamento particolarmente impositivo e minaccioso di Catella e di Boeri, nonché delle continue interferenze poste in essere dall'assessore Tancredi, fuori dalle regole e sempre d'intesa con Marinoni, tutte esclusivamente sbilanciate a favore degli interessi del privato».
Chi ha scritto che la magistratura sarebbe intervenuta a turbare la sovranità della politica racconta in modo antifattuale l’asservimento della sovranità politica al potere della finanza immobiliare, con procedure applicative delegate ai privati attraverso una pattuglia di intermediari in conflitto di interessi. Sono i facilitatori della commissione paesaggio come il presidente Giuseppe Marinoni e Alessandro Scandurra o come l’ex dirigente comunale Giovanni Oggioni e l’ex vicesindaca Ada De Cesaris.
Gli scettici studiano le carte e dicono: tutto qua? Premesso che ormai neanche un bambino scrive tutti i suoi segreti in una chat, se una figura tutto sommato minore come Scandurra incassa oltre 3 milioni di euro di parcelle da imprese, l’allarme è giustificato. Poi è ovvio che i pm devono integrare le prove o finirà come la maggioranza dei processi per corruzione, con qualche patteggiamento, qualche carriera infranta e il sistema che continua. Ma il problema emerso a Milano riguarda l’Italia intera ed è politico tanto che ha coinvolto l’intero schieramento dei partiti, per lo più a favore della giunta. Sala ha concesso troppo al real estate. O troppo poco, secondo altri.
«Ci bocciate tutto, siete diventati di Potere al popolo», scriveva per esempio Boeri a Oggioni, finito agli arresti domiciliari in marzo. L’architetto si lamentava per le valutazioni della Commissione paesaggio sull’operazione del grattacielo Pirellino, portata avanti da Coima che già si era presa l’area di Milanosesto - le ex acciaierie Falck - con 5 miliardi di investimenti.
«Ho sempre pensato che il mio scontro con Sala fosse esclusivamente politico ed è per questo che non sono più assessore», dice l’ex della giunta Pierfrancesco Maran, primo nelle preferenze e dall’anno scorso deputato a Strasburgo. Non certo un antisviluppista Maran. Ma tre anni fa si è opposto al progetto Coima-Boeri sul Pirellino e Catella lo ha dichiarato persona non grata per avere preteso un 40 per cento di housing sociale contro la legge regionale che garantiva cubature aggiuntive. Il Tar l’ha bocciata ma pochi giorni fa il Consiglio di Stato ha dato ragione a Coima.
Il consigliere Enrico Fedrighini, ex della lista Sala, è fra i pochi ad avere agitato le acque dello stagno bipartisan, soprattutto sulla vicenda San Siro, che ha descritto come un regalo a fondi di cui non si conoscono i veri finanziatori. «Milano ha attirato capitali con la semplificazione e i tempi rapidi ma la semplificazione e la scarsa comunicazione non possono diventare il sistema guida. Le segnalazioni certificate di inizio attività, le scia, non venivano nemmeno esposte nell’albo pretorio. I dati dell’agenzia della mobilità Amat dicono che, nonostante l’area B e C, la congestione del traffico aumenta. Da novembre non li pubblicano più».
Il restyling di San Siro, incluso l’abbattimento con ricostruzione del Meazza per opera di Webuild, rimane sotto i riflettori anche dopo l’intervento della Procura. Dopo sei anni di bluff incrociati, Sala voleva vendere entro luglio la Scala del calcio per 73 milioni ai due club milanesi, entrambi in mano a fondi Usa. Dopo l’inchiesta il Pd gli ha chiesto di rinviare, con il rischio che il 10 novembre scatti il vincolo paesaggistico sul secondo anello. Ma l’esito del voto consiliare del 15 settembre è tutt’altro che certo.
Al di là delle nuove cubature, San Siro è una macchina da soldi. Il fatturato totale supera il mezzo miliardo di giro d’affari all’anno a fronte di una valutazione dell’area di 124 milioni da parte dell’Agenzia delle Entrate (427 euro al mq). Nel 2025 ci sono stati venti concerti al Meazza e diciotto all’ippodromo della Maura, a un chilometro di distanza. Ogni data porta fino a 80 mila presenza con biglietto medio a 100 euro. Di solo botteghino sono oltre 300 milioni. Bisogna aggiungere gli incassi delle partite, che variano secondo le fortune dei due club intorno a 150 milioni complessivi. La sola semifinale di Champions league Inter-Barcellona, a maggio, ha portato il record nazionale a 14 milioni di euro.
L’indotto e gli eventi privati, come quelli organizzati da Unipol a luglio 2025 o da Deloitte Italy l’anno scorso, portano altri 60 milioni di ricavi alla MI-Stadio, che gestisce l’impianto. Altri soldi arrivano dal business di panini e birre, magliette e parcheggi sul quale hanno messo le mani i capi della curva in consorzio con la ‘ndrangheta. Secondo l’inchiesta Doppia Curva dello scorso settembre, spaccio, estorsioni, omicidi sono stati business as usual nella gradinata sud occupata dai milanisti e nella nord degli interisti, con la superiore regia della ‘ndrangheta.
In una città dove tutto è in distorsione, l’esclusione di centinaia di ultras rossoneri dalla campagna abbonamenti 2025-2026 è stata accolta come un segnale di moralizzazione. Ma i più stretti seguaci dei fratelli Lucci hanno subito un Daspo privatizzato per i cori contro Gerry Cardinale. Insomma, per un reato di opinione.
Nonostante la frenata annunciata da palazzo Marino nella seduta del 21 luglio, quella delle dimissioni di Tancredi, Inter e Milan non mollano la presa. L’acquisto del Meazza e le licenze edilizie aiuterebbero parecchio il loro stato patrimoniale.
Per i conti del Comune, invece, San Siro significa più che altro spese per nettezza urbana, mezzi pubblici, straordinari della polizia locale e dei vigili del fuoco, oltre alle proteste dei comitati di quartiere assediati da un evento ogni tre giorni e dalla mancanza di una Ztl in arrivo il prossimo settembre dopo anni di stallo.
Nello stesso modo, una città invasa dai dehors concessi per superare la crisi pandemica e poi stabilizzati anche se il Covid non è più un fattore critico, dovrebbe incassare fiumi di denaro dalle licenze. Sono circa 3 milioni da oltre duemila dehors. Una città che costruisce ovunque dovrebbe guadagnare fiumi di denaro in oneri di urbanizzazione. Dai 188 milioni del 2019 del Sala 1 si è scesi ai 104 dell’anno scorso. Restano le multe. Nel 2024 Milano ha incassato 204 milioni di euro in sanzioni stradali, prima in Italia davanti a Roma (169 milioni) che ha una superficie comunale sette volte più grande. La previsione per il 2025 è 275 milioni.
Crescono anche i costi dei cantieri. Ma quando l’impresa privata incassa più del previsto, gli azionisti festeggiano il dividendo straordinario. Quando calcola male le spese, è il contribuente ad aprire il portafoglio. È successo con i 70 milioni in più per le opere olimpiche della zona sud: il Villaggio da 1200 stanze per 1700 posti letto realizzato da Coima nell’ex Scalo Fs Romana e l’Arena Santa Giulia costruita dal consorzio Eteria (Gavio-Caltagirone-Icop) per i tedeschi di Cts Eventim.
È successo con Mind, l’ex area dell’Expo sviluppata dagli australiani di Lendlease, che arranca a quota 30 per cento di avanzamento lavori e ha da poco incassato 300 milioni di euro dalla società pubblica Arexpo.
Basta raccontarla bene. Conta sü, dice una famosa canzone di Enzo Jannacci. Il comparto comunicazione di palazzo Marino, spesso prevalente sugli stessi assessori, è guidato da Marco Pogliani, uno dei quattro commensali del pranzo settimanale con il sindaco insieme al dg Christian Malangone e al portavoce Stefano Gallizzi. Pogliani, legato all’Opus Dei, ha attraversato molte stagioni. Ha lavorato per Carlo De Benedetti in Olivetti, per la Mondadori berlusconiana, per l’Enel guidata da Franco Tatò su mandato di Romano Prodi, per Salvatore Ligresti nel progetto Citylife. È stato lo spin doctor della giunta Moratti ed è tuttora consulente del forzista Giovanni Toti, ex presidente della Liguria che ha patteggiato una condanna a venticinque mesi per corruzione e finanziamento illecito. Gallizzi è stato capufficio stampa di Expo 2015 e oggi è aggregato alla direzione generale di Malangone con 153 mila euro di stipendio. Suo fratello Pierfrancesco Gallizzi è direttore di Lombardia Notizie, l’organo della giunta regionale di centrodestra, ed è stato portavoce di Ignazio La Russa, presidente del Senato da sempre legatissimo alla famiglia Ligresti, compaesani di Paternò in provincia di Catania. Adesso è anche consigliere dell’Automobile club di Milano, l’Aci presieduta a livello nazionale da Geronimo La Russa, che nel 2023 è stato nominato amministratore del Piccolo da Regione e Comune con qualche perplessità sulle sue competenze teatrali. «Decisione legittima», ha commentato Sala ai tempi. Oggi Attilio Fontana ha dichiarato che il sindaco deve restare. La politica milanese è trasversale da sempre.
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