Attualità
2 agosto, 2025Un programma per smartphone con cui gli utenti segnalano i sospetti borseggiatori sui mezzi pubblici. Corredando il tutto con foto e schedatura etnica. E la giustizia diventa gogna mediatica
Due donne con canotte bianche, cappello di paglia, Roma, ore 12:00». Milano: «Metro Repubblica, indiano o bangladino, capelli lisci e borsello a tracolla, aspetta che si chiudano le porte e strappa i portafogli». Dal 2024 esiste un’applicazione che permette a chiunque di descrivere chi sono i presunti borseggiatori nelle città europee. La segnalazione può anche essere più asciutta, quasi bastasse l’etnia a configurare la pericolosità: «Metro Manzoni, tre ragazze rom».
L’app si chiama Pickpocket Alert: è nata a Milano per poi diffondersi velocemente a Roma, Napoli, Barcellona, Madrid, Siviglia e Parigi. In poco tempo ha raggiunto migliaia di iscritti. È scaricabile gratuitamente e sul sito, poiché si definisce una non-profit, c’è la possibilità di fare una donazione «per rendere più funzionale l’app stessa». E, se all’interno del programma è possibile caricare foto dei segnalati solo oscurandone il volto, sulle sue pagine social (Instagram e TikTok) la policy sembra essere diversa.
Aprendo la pagina Instagram di Pickpocket Alert, ci si trova davanti a qualcosa di molto simile a una copia artigianale di un archivio fotografico delle forze di polizia. Ma chi lo ha realizzato non è un agente e l’inserimento delle istantanee non ha come destinatario il sistema giudiziario, bensì il feed e quindi Internet, nella sua vastità ed eternità. Ci sono foto e video di ragazzine e ragazzini, anche minorenni. Ogni volto è riconoscibile e ogni commento ne chiede la testa.
Ad accompagnare questo zelante lavoro di delazione internazionale, c’è l’altrettanto meticoloso lavoro di pagine simili. Dalla policy dell’app, si capisce che gli sviluppatori hanno chiari i rischi. La piattaforma – si legge – non intende incitare alla giustizia privata né pubblicizzare contenuti violenti. «Chi ha sviluppato l’applicazione è chiaramente consapevole del filo sottile su cui sta camminando – evidenzia l’esperto di privacy Leonardo Bergonzoni – tant’è che si specifica come la responsabilità di quanto pubblicato sia a carico degli utenti».
Sotto il profilo legale, il Gdpr (General Data Protection Regulation, il regolamento dell’Ue in materia di protezione dei dati personali) dice esplicitamente che pubblicare il volto di una persona senza il suo consenso può configurarsi come reato. E se anche la pubblicazione è motivata da ragioni di pubblico interesse, tale eventualità va analizzata caso per caso e non è valida di per sé. Inoltre, come ha chiarito una sentenza del Tribunale di Taranto, anche se la registrazione (e la successiva pubblicazione) è avvenuta in flagranza di reato, bisogna attenersi al principio di minimizzazione (oscurare il volto del presunto colpevole, per esempio).
Per Bergonzoni «vengono violati l’articolo 96 del diritto d’autore, il codice privacy e il Gdpr in vigore che stabiliscono che serve un consenso alla pubblicazione di immagini che ritraggono un privato cittadino in contesti pubblici. L’unica fievole argomentazione è legata all’articolo 97 della legge sul diritto d’autore in cui si stabiliscono le eccezioni al consenso nella pubblicazione dei volti delle persone: tra queste le cosiddette necessità di giustizia o di polizia, ma ricordiamoci che è una facoltà delle sole forze dell’ordine». L’iniziativa innesca insomma effetti fuori controllo. Alimentando l’illusione che giustizia equivalga a gogna mediatica. E che una foto rubata cancelli ogni stortura sociale.
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