Attualità
7 agosto, 2025Su “Cementopoli” e ddl Nordio c’è alta tensione tra governo e magistratura. Ma da Milano si afferma un cambiamento dentro la categoria. A rappresentarlo è il nuovo presidente dell’Anm locale. Che dice: “La riforma non risolverà i mali del sistema”
Non ha l’aria della toga rossa, semmai sembra incarnare una tendenza al cambiamento che anima molti suoi colleghi. Luca Milani, 44 anni, è giudice per le indagini preliminari al Tribunale di Milano e, da un mese, presiede la giunta esecutiva sezionale dell’Associazione nazionale magistrati. Cioè l’organismo distrettuale del sindacato che rappresenta circa il 90 per cento della categoria. Alle elezioni del giugno scorso per il rinnovo dei sette componenti, Milani ha raccolto il maggior numero di voti e, appena insediato, ha dovuto esprimere solidarietà ai pubblici ministeri infangati da esponenti di governo per l’inchiesta sull’urbanistica nel capoluogo lombardo. Tra “Cementopoli” e l’avanzare della riforma della giustizia targata Carlo Nordio, nel palazzo che s’affaccia su corso di Porta Vittoria la tensione è palpabile.
Nel 2020, in servizio a Piacenza, Milani dedicò un’ordinanza cautelare a carico di carabinieri rei di gravi abusi alla memoria di Paolo Borsellino e della sua scorta: era il 19 luglio, data della strage di via Mariano d’Amelio. Cinque anni dopo, con la popolarità della magistratura in picchiata, ha deciso di prendere posizione e di candidarsi con una lista nuova: “FuturoGiustizia”, un unicum nel panorama italiano. «In vista delle ultime elezioni del consiglio giudiziario, una sorta di Csm territoriale – racconta – è nata l’idea di sostenere una realtà che avesse come collante un progetto e non l’appartenenza a gruppi associativi organizzati. Un esperimento ribattezzato, appunto, “Progetto.Base”. Il successo ottenuto in quell’occasione ha suggerito di seguire una strada simile anche per la giunta dell’Anm».
S’è voluto, quindi, andare oltre le cosiddette correnti. Così, accanto a sigle tradizionali come “Magistratura Indipendente” e “Area”, la nuova creatura è scesa in campo con l’appoggio di “Magistratura democratica” che ha scelto di non presentarsi in autonomia. «Abbiamo riunito toghe, in prevalenza giovani, attorno a un programma», prosegue Milani: «I nostri obiettivi sono il miglioramento della comunicazione sia interna sia esterna dell’associazione, la tutela dei colleghi che subiscono attacchi a causa del loro lavoro, la promozione di iniziative per ricordare quelli uccisi e per sensibilizzare su temi come la lotta alle mafie. Come pensiamo di farlo? Informando con un linguaggio non tecnico e tramite i social network; spiegando i contenuti del disegno di legge costituzionale che si avvia alla seconda lettura in Parlamento e le ragioni per cui non risolverà i guai del sistema, specie nell’ottica di un probabile referendum». Tutto per avvicinare cittadini e cittadine a un mondo che talora appare chiuso nel corporativismo.
«Seppure con una ferma autocritica verso gli scandali del passato, non intendiamo negare la spinta culturale impressa dalle varie correnti, che curano convegni, rassegne, riviste», precisa Milani: «Ma ci siamo messi in gioco per dimostrare che è possibile affiancare quel modello di rappresentanza a un altro, in cui ci si esponga meno sotto il profilo ideologico. Senza che ciò significhi essere manovrati nell’ombra da qualcuno, anzi, adottando un metodo fondato su trasparenza e rendicontazione dell’attività svolta. Al contempo, ribadiamo quanto sia importante preservare proprio il principio della rappresentanza in contrapposizione al meccanismo del sorteggio».
La frecciata è indirizzata alla riforma che porta la firma del ministro della Giustizia: i capisaldi sono la separazione delle carriere tra inquirenti e giudicanti, il conseguente sdoppiamento del Csm e l’estrazione a sorte dei membri di ciascun ramo, l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare. «Questo criterio di nomina per il Consiglio superiore della magistratura frustrerà l’esigenza che siano persone con competenze specifiche a occuparsi di questioni come incarichi direttivi, trasferimenti, valutazioni di professionalità». Milani sottolinea poi che l’attuale sezione disciplinare dell’organo di autogoverno emette sentenze impugnabili in Cassazione: «Al contrario, le pronunce dell’Alta Corte saranno tombali. Con buona pace delle garanzie e con un notevole effetto intimidatorio. Sarebbe stato utile, piuttosto, velocizzare la procedura e rendere più efficace la fase cautelare».
È la divisione delle toghe, però, il tasto più dolente; ferisce che la si spacci come rimedio contro i favoritismi del giudice nei riguardi dell’accusa, a danno della difesa. «Mi sono sempre sentito imparziale e tranquillizzato dal confronto con pm che possiedono la mia stessa cultura della giurisdizione. Che non cercano la condanna a ogni costo, che sono pronti a chiedere il patteggiamento, l’assoluzione o, in sede d’indagini, l’archiviazione. La separazione mi preoccupa perché potrebbe indurre taluni a comportarsi come sceriffi, esponendosi a ingerenze dell’Esecutivo, e ne accrescerà la visibilità mediatica. La serenità di giudizio sarà minata e le udienze diventeranno battaglie senza esclusione di colpi. Con concorsi e percorsi differenziati, inoltre, mi domando in che cosa consisterà la formazione alternativa».
Del resto, il dibattito è vecchio e viene il sospetto che siano norme di facciata. «Basta pensare ad alcuni casi locali, dal fascicolo “Eni Nigeria” all’inchiesta “Hydra” sulla ’ndrangheta, per constatare come chi decide respinga di frequente le tesi della Procura. Intitolare la riforma a Silvio Berlusconi, assolto nell’ultimo processo proprio qui, è paradossale». Intanto, i veri mali della macchina giudiziaria s’incancreniscono. «Quando sono entrato in magistratura, si parlava di processo civile telematico, ormai ben rodato, di depenalizzazione, di soppressione dei piccoli tribunali. Insomma, si mirava all’innovazione. Oggi il clima è diverso. Il rito penale telematico si basa su applicativi inadeguati rispetto al numero di procedimenti. Si vuole tornare indietro sulla revisione delle circoscrizioni, riaprendo uffici dove è difficile gestire le lacune di organico, dove i colleghi sono costretti a inventarsi tuttologi e a concentrarsi solo sulle urgenze. Mentre lo scopo rieducativo della pena rimane lettera morta».
Si aggiunge il problema della stabilizzazione di 12 mila precari arrivati all’epoca di Marta Cartabia. Impiegati come aiutanti del giudice, sarebbero invece serviti a colmare la carenza di personale nelle cancellerie. «Nell’incertezza, tanti se ne sono andati – riprende Milani – fuga che s’è registrata pure tra gli assistenti, per un difetto di coordinamento che ha provocato sovrapposizioni e squilibri. In generale, tra ridotte prospettive di carriera, mancato riconoscimento degli straordinari e mansioni usuranti, il ministero della Giustizia ha scarso appeal per i funzionari amministrativi». Certe toppe sono peggiori del buco. Come gli interrogatori preventivi, di fresca introduzione. Il gip ascolta il soggetto per cui potrebbe disporre una misura cautelare prima di accogliere la richiesta del pm. Ma, se l’intento era evitare il circo mediatico intorno agli arresti, la cronaca milanese certifica che lo si è addirittura anticipato.
«La spettacolarizzazione delle vicende giudiziarie ha assimilato i magistrati agli allenatori delle squadre di calcio, criticati al bar dopo la partita – conclude Milani – assieme alla costante opera di delegittimazione condotta dalla politica e a termini di prescrizione che vanificano spesso il nostro lavoro, ciò ha finito per sminuire il ruolo della categoria. E per anestetizzare la reazione di un’opinione pubblica sfiduciata davanti al malaffare».
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