Attualità
10 settembre, 2025Non esistono statistiche o dati ufficiali sui bambini rimasti senza madre dopo questi atti di violenza. E anche se la legge prevede per loro degli aiuti, molti non ne sono a conoscenza
«La sera della tragedia, il 3 ottobre del 2007, abbiamo ricevuto una chiamata alle 21. Io e mia moglie all’una di notte eravamo già pronti ad andare in Sicilia a prendere i bambini». A parlare è Carmelo Calì, cugino di Marianna Manduca, uccisa quasi 18 anni fa dall’ex marito. Il delitto arrivò al culmine di una lunga serie di minacce e di violenze che la vittima subiva da lungo tempo da parte dell’uomo. La donna aveva tre figli, di due, quattro e sei anni. La sera stessa, a casa di Carmelo e della moglie, a Senigallia, nelle Marche, arriva una telefonata. Un’assistente sociale – parente di Calì – chiede se lui e la moglie, Paola Giulianelli, siano disposti a prendersi cura dei tre bambini. La coppia aveva già altri tre figli, ma «non potevamo fare altrimenti – prosegue – i ragazzi sono stati grandiosi, dopo quattro giorni già erano stati inseriti a scuola. All’inizio non conoscevano quello che era successo alla madre, ma poi ho sentito la necessità di rivelarglielo. Abbiamo sempre puntato su una cosa: essere sinceri e non nascondere mai nulla. Era la cosa migliore da fare». «Siamo stati fortunati anche perché i nostri fratelli avevano più o meno la nostra stessa età», racconta Salvatore, il figlio di mezzo di Marianna Manduca, che da poco si è laureato in ingegneria aerospaziale. «All’inizio eravamo esagitati e parlavamo solo in siciliano stretto. Ci capiva solo papà. Poi però si è sviluppata un’ottima unione. Quando ho scoperto tutta la verità, ho pianto. Ma a noi, nella tragedia, è andata bene, rispetto a tutti quei ragazzi che assistono a violenze del genere fino a 12-13 anni».
Quella di Marianna Manduca fu una tragedia annunciata. L’epilogo di un copione già letto centinaia di volte che si sarebbe potuto facilmente evitare se le istituzioni fossero intervenute prima. «Io ho sempre avuto fiducia nella giustizia – confessa Carmelo Calì – ma mi sembrava strano che a fronte di 12 denunce e numerosi referti del Pronto Soccorso nessuno fosse intervenuto. E così ho scoperto che le segnalazioni venivano derubricate come liti familiari. Per questo abbiamo deciso di denunciare».
A seguire dal 2011 la causa l’avvocata Felicia D’Amico che ha poi fondato un’associazione proprio in memoria di Marianna Manduca. «Se fosse stata protetta – sostiene la legale – non sarebbe stata uccisa. Ci eravamo resi conto che c’era un’ingiustizia enorme, determinata dall’inerzia delle istituzioni. Ci siamo appellati alla legge sulla responsabilità civile dei magistrati che allora aveva delle maglie molto strette. Non c’erano precedenti, ancora oggi siamo un unicum». Il processo è lungo e molto complesso: in primo grado il tribunale di Messina dà ragione ai genitori adottivi, riconoscendo il danno patrimoniale. La corte d’appello, però, stravolge il verdetto sostenendo che, vista la volontà di uccidere dell’uomo, la Procura non avrebbe potuto fare nulla. «Un principio terrificante – continua D’Amico – ma per fortuna la Cassazione ha ribaltato nuovamente la decisione, con una sentenza storica perché è stato riconosciuto che una donna che denuncia deve essere ascoltata». Una vicenda processuale con un finale positivo che però lascia l’amaro in bocca. «Se non avessero deciso di far causa allo Stato come sarebbe finita? Nella zona d’ombra dove finiscono la maggior parte degli orfani speciali. Bisognerebbe facilitare l’accesso a percorsi psicologici gratuiti e di qualità, prevedere un sostegno dedicato a scuola e corsie preferenziali all’università. Ma – conclude l’avvocata – quanto sono considerati importanti gli orfani speciali? Non si vedono, non danno fastidio, non votano e quindi possiamo ignorarli».
Sette anni fa, con la legge numero 4 del 2018, lo Stato italiano ha riconosciuto ufficialmente alcune tutele economiche e processuali agli orfani di femminicidio. Secondo la norma, infatti, nel processo hanno diritto al patrocinio gratuito a spese dello Stato. In caso di accertamento definitivo della responsabilità penale dell'autore del reato, poi, è più semplice ottenere il risarcimento del danno. Dal punto di vista economico è stata disposta l’erogazione di borse di studio, e una copertura delle spese per l'assistenza psicologica e sanitaria. Infine, si dà loro accesso a un indennizzo derivante dal fondo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti. Il recente ddl che introduce il reato di femminicidio – al momento approvato dal Senato e in attesa dell’esame della Camera dei deputati – allarga il campo dei beneficiari anche a quei minori la cui madre è stata uccisa in quanto donna, anche senza un legame affettivo con l’assassino, o è sopravvissuta a un tentativo di omicidio, ma è impossibilitata a prendersi cura di loro.
Come spesso accade, però, la traduzione in pratica della legge si scontra con ostacoli difficili da superare. In primis il fatto che non ci siano dei numeri che inquadrino quantitativamente il fenomeno né un elenco che individui e raccolga tutti gli orfani. A sopperire alla mancanza di dati ufficiali sono le associazioni del terzo settore, come l’Osservatorio orfani speciali, nato a ottobre 2024 dall’esperienza trentennale di Telefono donna. «Noi siamo riusciti, attraverso un’indagine giornalistica, a raccogliere negli ultimi anni le notizie di donne morte per omicidio e da lì a ricostruire quanti figli avessero lasciato», spiega la presidente Stefania Bartoccetti. Secondo i dati dell’osservatorio, sarebbero più di 3.500, come conferma a L’Espresso la stessa presidente. Una delle principali proposte dell’associazione è quella di istituire un albo pubblico su scala nazionale affinché lo Stato possa intervenire efficacemente e con tempestività. «In questo modo – prosegue Bartoccetti – si possono mettere in campo tutta una serie di misure. Il problema è che un fondo per le cure sanitarie e psicologiche esiste, ma proprio le vittime che ne dovrebbero beneficiare non conoscono la sua esistenza. Oggi non sappiamo dove si trovano, se sono in una famiglia affidataria o in comunità e quali esigenze individuali abbiano. Ancora non si è messo a sistema un modello concreto di aiuto».
Oltre a una linea dedicata agli orfani speciali e alle famiglie affidatarie attiva 24 ore al giorno (disponibile al numero 392-7723210), l’osservatorio è impegnato in numerose attività di formazione dedicata a psicologi, assistenti sociali e avvocati che vogliano approfondire il tema. «Servono percorsi specifici per tutti gli operatori coinvolti, compresi quelli scolastici – conclude – perché se non recuperiamo questi ragazzi, molti dei quali vittime di violenza assistita, compromettiamo anche la loro vita adulta».
Negli ultimi anni qualcosa si è mosso a livello istituzionale, ma rimane essenziale dare un maggior sostegno a ragazze, famiglie e operatori. In questo senso lo scorso 6 agosto, la commissione d’inchiesta parlamentare sul femminicidio ha approvato una relazione sugli orfani di femminicidio. Un documento di 112 pagine che raccoglie i contributi di vittime ed esperti, ascoltati durante le sedute. «L’approvazione all’unanimità è un esempio virtuoso di lavoro trasversale nella lotta alla violenza di genere» ha dichiarato la presidente della commissione, la deputata di Coraggio Italia (gruppo Noi moderati) Martina Semenzato. Ora il Parlamento dovrà occuparsi di recepire queste proposte.

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