Attualità
23 settembre, 2025Il 23 settembre 1985, a Napoli, il giornalista veniva ucciso dalla camorra. Dopo quarant’anni, i suoi scritti continuano a spiegarci il presente e il suo impegno d’intellettuale tiene sveglie le coscienze sui mali di oggi
Forse sarebbe stato tra gli studenti e le studentesse che hanno occupato gli atenei per denunciare il genocidio in Palestina e invocare la pace. Probabilmente avrebbe saputo intercettare un disagio giovanile profondo. Avrebbe dato voce a chi è sfruttato nei campi e nei magazzini, a chi presidia le fabbriche, a chi muore come le mosche in cantieri senza regole. Batterebbe le piste che conducono ai nuovi affari della criminalità organizzata. In effetti, non sappiamo dove sarebbe e su cosa si concentrerebbe adesso Giancarlo Siani. Ma lo possiamo immaginare perché – in 26 anni di vita, in 651 articoli scritti tra il giugno 1979 e il settembre 1985 – è riuscito a tracciare la strada del suo impegno di giornalista e intellettuale. Con quell’analisi chirurgica della realtà e di certi poteri che gli è costata la vendetta della camorra.
La sera del 23 settembre 1985 due killer lo attesero mentre rincasava al volante della sua Citroën Mehari verde, nel quartiere napoletano del Vomero. Aveva fatto tardi nella tanto sospirata redazione centrale del Mattino, quotidiano con cui collaborava e per cui era stato corrispondente da Torre Annunziata fino a poco tempo prima. Da abusivo, s’intende. Perché l’accesso alla professione passava dal precariato assieme al rischio di restare precari in eterno, allora come oggi. Sono stati poi i processi a stabilire che la condanna a morte scattò dopo il suo retroscena sui rapporti tra i clan Nuvoletta di Marano e Gionta di Torre Annunziata. Quando, nel giugno 1985, il boss Valentino Gionta venne arrestato nella roccaforte degli alleati, lui svelò che erano stati proprio loro a tradirlo per siglare un accordo con gli affiliati del capo casalese Antonio Bardellino e confluire nella Nuova Famiglia.
A distanza di quarant’anni, Siani rimane l’unico cronista ucciso in Campania per mano mafiosa. Là dove fu inseguito dagli spari, in via Vincenzo Romaniello, il collettivo di arte urbana Orticanoodles ridà colore e forma al grande murale che gli rende omaggio e che s’era rovinato con le intemperie. Ma, in tutta Italia, sono centinaia le opere e i luoghi a lui dedicati. Perché quel volto pulito crea empatia, perché la lungimiranza del suo sguardo e del suo pensiero imprimono contemporaneità a ogni parola che ha messo nero su bianco. Perché, ora più che mai, il suo esempio spinge le coscienze a rivendicare una libertà di stampa soffocata nel sangue dagli autori di nefandezze che non tollerano testimoni.
«Giancarlo iniziò a parlare di camorra scandagliando i problemi del lavoro, ma pure questioni come droga, emarginazione sociale, disarmo. In generale, faceva luce sui diritti negati. Specialmente quelli dei giovani, visto che lui stesso era un ragazzo», spiega Gianmario, nipote di Siani e presidente della Fondazione che ne porta il nome. «La storia di mio zio cammina con le proprie gambe. Le iniziative in suo ricordo si moltiplicano e promotori non siamo più solo noi familiari. Sia perché lui incarna la lotta contro mali irrisolti sia perché la sua vicenda suscita un forte senso d’ingiustizia». Per questo anniversario, infatti, alle tradizionali celebrazioni con il Comune di Napoli, il Mattino e l’Ordine dei giornalisti se ne aggiungono di speciali. Un torneo di pallavolo, in onore del Siani atleta e allenatore; un documentario prodotto da Combo International e Rai, in onda il 23 settembre sulla terza rete; l’intervento di suo fratello Paolo sulla tutela dei reporter davanti al Parlamento europeo.
«A Torre Annunziata sono in programma vari eventi», continua Gianmario: «Da lì Giancarlo raccontò la deindustrializzazione, la corruzione attorno alla ricostruzione post sisma, il dilagare di eroina e cocaina, le guerre tra i clan. E la città fa da sfondo anche al suo ultimo articolo, uscito il giorno precedente all’omicidio e incentrato sui “muschilli”: i “corrieri-baby” usati da genitori e nonni per lo spaccio di stupefacenti. Ecco perché la scelta di intitolargli ora un asilo nido, in un territorio che combatte le infiltrazioni camorristiche, è significativa». Come lo è quella della giuria studentesca del Premio Siani, che ha eletto vincitore dell’edizione 2025 il libro “Storia di un abbraccio” di Lucia Montanino e Cristina Zagaria. Lucia è la vedova di una guardia giurata ammazzata durante una rapina e decide d’incontrare Angelo, uno degli assassini, all’epoca diciasettenne: nasce così un percorso di perdono e riparazione. «Un caso che induce a riflettere sulla tendenza a seppellire i minorenni in carcere», commenta Gianmario.
C’è poi il volume “clessidra” che la Fondazione pubblica con Marotta&Cafiero, casa editrice indipendente di Scampia. Da un lato, si sfoglia una selezione di articoli di Siani intitolata “Con la schiena dritta”; dall’altro, scorre “Il tempo della memoria” con i contributi di personaggi a lui legati: il magistrato Armando D’Alterio, il regista Marco Risi, lo scrittore Maurizio de Giovanni, il comico Alessandro Siani per citarne alcuni. E ancora: lettere private, fotografie, un Qr code per ascoltare su Spotify la sua musica preferita. Un viaggio negli anni a cui si affianca il tour della Olivetti Lexikon 80, la sua macchina da scrivere, che sarà trasportata in treno dai volontari di Libera. Si parte il 24 settembre da San Giorgio a Cremano – dov’è attualmente ospitata la Mehari – per fare tappa a Latina, Fondi, Ravenna, Milano, Torino e arrivare, il 21 ottobre, alla Festa del cinema di Roma.
«Tutto ciò dimostra quanto sia cambiata la sensibilità verso le vittime innocenti della criminalità organizzata. E anche quanto la voglia di ribellarsi al malaffare, di riappropriarsi degli spazi di democrazia si sia diffusa e rafforzata», conclude Gianmario. Dopo quattro decenni, suo zio vive nelle migliaia di persone per cui è fonte d’ispirazione e coraggio.
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