«Noi scaviamo una tomba nell’aria chi vi giace non sta stretto…». È un verso di “Fuga della morte” (Todesfuge) di Paul Celan, che ha scritto le sue poesie in tedesco, la lingua dei carnefici. Lo traggo dal Meridiano paperback curato da Giuseppe Bevilacqua e dedicato al poeta nato nel 1920 nella Romania diventata poi Ucraina, e morto suicida nelle acque parigine della Senna quando aveva cinquant’anni. Si gettò dal Ponte Mirabeau, cantato da una ballata di Apollinaire, vicino all’avenue Zola, dove abitava. Il suo corpo fu ritrovato giorni dopo non lontano da dove si era tuffato. Passando mezzo secolo dopo su quel ponte uno può rivolgere un rapido pensiero al grande poeta rimasto incagliato, dimenticato, lungo il corso cittadino del fiume.
Era uno “sheerit”, un rimanente. La tradizione ebraica indica così coloro che sono rimasti vivi. Nel centenario della nascita il nome di Celan ha suscitato ricordi e ha riproposto le numerose raccolte di sue poesie già pubblicate. La designazione di “sheerit” non è parsa sempre adeguata al personaggio. I campi di sterminio l’hanno risparmiato, ma poi l’hanno inseguito senza tregua nella memoria. Erano sempre presenti. Non fu veramente un sopravvissuto. Era un “rimanente” con la morte che l’accompagnava e lo tentava, come una liberazione o, meglio, come un’espiazione. Una solidarietà verso milioni di vittime.
Altri sfuggiti o usciti vivi dai campi hanno deciso di mettere fine alla presenza in questo mondo. Primo Levi fu uno di loro: lucido narratore, suicidatosi diciassette anni dopo, giudicava l’opera di Paul Celan oscura e nichilista. Gli stessi versi del rumeno erano e sono invece un culto per tanti altri. Come la prosa di Primo Levi. Per noi l’emozione abbraccia senza distinzione entrambi i personaggi che hanno voltato le spalle a una vita carica di troppe tragedie per essere vissuta fino in fondo.
Il grande poeta che scriveva nella lingua dei carnefici riuscì a sfuggire alla persecuzione nazista, ma non alla dannazione del senso di colpa dovuta al fatto di essere rimasto mentre parenti e amici erano finiti nelle camere a gas. Paul Celan era riuscito a evitare le retate nella città natale di Czernowitz. La compagna, Ruth Lackner, lo condusse in un rifugio sicuro, mentre i genitori rifiutarono di seguirli. Non volevano fuggire. Lo ritenevano poco dignitoso. Furono arrestati e internati. Il padre morì di tifo, la madre uccisa con un colpo alla nuca. Entrambi erano in un campo nella Transnistria. Il rimorso di essere sfuggito alla camera a gas contribuì allo squilibrio psichico che costrinse Paul Celan a ricorrere a cure e a periodici ricoveri in cliniche.
Paul Celan conosceva molte lingue, il francese, l’italiano, lo spagnolo, l’inglese e altre ancora. Ma trattava quella dei carnefici con estrema delicatezza. Scriveva in tedesco le sue poesie, e pensava spesso in tedesco. Non c’era per lui una lingua con tanto spessore sentimentale. Molte parole potevano avere significati diversi. Celan se ne serve per sollecitare le emozioni nelle vicende intime, e anche in quelle estranee alla famiglia e all’amore. L’amore perduto, distrutto dal nazismo, lui lo ricerca nelle donne, che l’aiutano a trovare la fraternità. Cercava ovunque l’amore che gli mancava. Quella dei suoi poemi è una lettura spesso amorosa, a volte con sfumature erotiche. Dietro il “tu” che ricorre c’è la madre, ma anzitutto le donne che si avvicendano nella sua esistenza.
Ruth Lackner era un’ebrea austriaca, un’attrice. A lei Paul Celan lasciò la sua prima collezione di poemi, poi fuggì da Bucarest per raggiungere Parigi e Vienna. Conosce Rosa Leibovici negli ultimi anni di Czernowitz. Liliana Shmueli è ancora un’adolescente quando la incontra a Parigi e a Gerusalemme. A Vienna nel ’48 si invaghisce della poetessa Ingeborg Bachmann, che ritroverà più tardi a Parigi. Dove avrà come amante l’antropologa Ariane Deluz, un tempo moglie dell’amico Isac Chiva. Il quale gli farà conoscere un’artista grafica, Gisele Lestrange, che diventerà sua moglie e dalla quale avrà due figli. Uno soltanto sopravviverà. Paul Celan non riesce a stare in una famiglia, benché ami e sia amato. Un’amica importante “clandestina” presso la quale si rifugerà nella sua continua fuga, prima di gettarsi nella Senna, dal ponte Mirabeau, è Britta Eisenreich. Le donne che sono state a lungo un conforto non bastano più.