I morti sono diciassette, i feriti ottantotto. Ma l'attentato di Piazza Fontana mirava al cuore della Repubblica. Un disegno neofascista che le inchieste del nostro giornale raccontarono in presa diretta. Che fu confermato dalle sentenze. E che è fondamentale rileggere oggi. Con il volume  “Gli anni delle stragi - 1969-1984”

Anniversari e commemorazioni rischiano talvolta di tradursi in stanchi rituali fatti di meste celebrazioni e presenze d’obbligo. Viceversa possono diventare occasione di riflessioni più attente, pretesto per rileggere vicende che alcuni vorrebbero semplificare, altri rimuovere, e che invece ancora pesano sul presente. Specie quando si tratta di eventi che hanno frenato progresso, modernizzazione, sviluppo democratico del Paese. Bene, noi abbiamo scelto questa seconda strada, certo più impegnativa ma più sincera, con un libro dell’“Espresso” che i lettori troveranno in edicola da sabato 7 dicembre: “Gli anni delle stragi - 1969-1984”. Il racconto di quindici drammatici anni di terrorismo nero.

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La data chiave, quando tutto comincia, è il 12 dicembre 1969, giorno in cui una bomba devasta la Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana, a Milano, uccidendo 17 persone e ferendone 88. La folla che qualche giorno dopo si raccoglie in piazza del Duomo per i solenni funerali delle vittime testimonia lo sbigottimento di una città dalle solide radici democratiche, ma anche la volontà di non farsi sopraffare dai professionisti del terrore.

Il nostro lavoro, però, non si ferma qui, ripercorre infatti la lunga fase che da quel sangue prende il via e si dipana fino al 23 dicembre 1984, cioè fino al deragliamento del Rapido 904, la cosiddetta strage di Natale, l’attentato che chiude il tragico ciclo dello stragismo nero e apre il capitolo oscuro della guerra mafiosa a colpi di bombe. Spesso però alimentata, organizzata o partecipata dagli stessi neofascisti.
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Sono gli anni in cui si fa strada nel Paese anche il terrorismo rosso che si affida a modalità di morte diverse - non sparare nel mucchio, “colpirne uno per educarne cento” - e che nel 1978 sarà protagonista di un’altra tragedia che segnerà per sempre la storia italiana: il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro. I due fenomeni, in un certo senso speculari, trovano comoda giustificazione l’uno nell’altro e si affermano entrambi grazie all’incapacità della politica di arginarli o di tagliare le radici che li alimentano. Anzi, nel caso del terrorismo nero, del quale si occupa il nostro libro, sono addirittura pezzi dello Stato a coprire, ignorare se non spingere all’azione i colpevoli.

Per ricostruire quelle vicende ci siamo affidati alle cronache e alle analisi delle grandi firme dell’“Espresso”, testimoni diretti dei fatti, ostinati nello smentire le facili verità ufficiali. Il volume è diviso in tre capitoli principali, illustrati con uno straordinario apparato fotografico: la rabbia e le bombe dei primi mesi del 1969, sorta di prova generale delle tragedie successive; l’ondata nera del neofascismo risorgente nelle piazze e nelle istituzioni; il racconto delle stragi - da piazza Fontana a Peteano, dalla Questura di Milano a piazza della Loggia, dall’Italicus alla Stazione di Bologna alla Strage di Natale - attraverso gli articoli di chi c’era e indagò, come Cederna, Scialoja, Catalano, Giustolisi, De Luca, e i commenti di Bobbio, Valiani, Villari, Bocca. Seguono il punto su com’è andato a finire il lungo e spesso inconcludente iter giudiziario; l’elenco delle vittime, crudo spoon river di quegli anni; una rassegna dei personaggi e interpreti; una cronologia completa; l’indice dei nomi.

Ogni capitolo, inoltre, è introdotto da un saggio scritto per noi da tre storici che i lettori dell’“Espresso” conoscono bene. Guido Crainz ricostruisce nel dettaglio lo sfondo sul quale quegli avvenimenti si svolsero, «la stagione riformatrice più incisiva della storia della Repubblica» che la strategia della tensione provò a colpire e a fermare; Benedetta Tobagi indaga invece sul buco nero delle indagini e dei processi, su questi cinquant’anni senza verità pieni invece di sospetti, di indagati assolti, di colpevoli ignorati; Miguel Gotor si interroga invece sul ruolo svolto dai servizi segreti, sulle ambigue commistioni con la politica e sui depistaggi, chiedendosi provocatoriamente se si sia trattato non di deviazioni, ma di decisioni che nascevano dell’effettiva volontà di apparati dello Stato.

A questo punto è legittima una domanda: perché tanti anni dopo parlare ancora di sangue, bombe, stragi, fatti lontani? Per più di una ragione. La prima è il dovere di coltivare la memoria: guai a quel Paese che sceglie di dimenticare per non giudicare. Poi c’è la necessità di riflettere ancora sul contesto storico in cui esplode l’orrore. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta l’Italia avvia un periodo importante di cambiamento e di crescita: conquista diritti, pretende riforme, chiede di contare di più. Operai e studenti prendono coscienza del loro ruolo e scendono in piazza, il sindacato si rafforza e si impone (perfino tra i poliziotti). È il sostrato che, una decina d’anni dopo l’ingresso dei socialisti nella “stanza dei bottoni”, porterà la sinistra a una inimmaginabile vittoria elettorale. È proprio contro questo insieme di fermenti e di movimenti, come argomenta molto bene Crainz, che si scatena il terrorismo nero.

C’è poi una terza ragione. A cinquant’anni da piazza Fontana, non si conosce tutta la verità sulle stragi che hanno insanguinato l’Italia. Nel libro ne troverete tutta la storia e scoprirete che, per paradosso, la verità che inquirenti e magistrati sono riusciti a ricostruire è ben più ampia di quella ufficiale delle sentenze. Se questo è stato possibile lo si deve anche alla tenacia investigativa di alcuni cronisti, in prima linea quelli dell’“Espresso” che da subito non si fidano delle fonti ufficiali. Una grande lezione di giornalismo.

Resta un’ultima constatazione. Per quindici anni l’Italia è stata trasformata in un campo di battaglia da terroristi armati, spesso in combutta con apparati dello Stato. Eppure ce l’ha fatta, perché ha combattuto e vinto difendendo valori condivisi scritti nella Costituzione, e proprio grazie a questi imponendosi. Bisognerebbe ricordarsene ogni volta che qualcuno cerca di rimettere in discussione quelle fondamenta.

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