La situazione dei pronto soccorso italiani è allarmante: alle prese con un grave sovraccarico di lavoro e una drammatica carenza di personale. Alessandro Riccardi, presidente della Simeu (Società italiana di medicina di emergenza-urgenza) denuncia il rischio di un sistema sanitario sempre più fragile, minato dalla crescente fuga dei medici, dall’ingresso di professionisti non specialisti e dalla mancanza di risorse adeguate. Dal fenomeno del boarding alla crescente violenza nei confronti degli operatori sanitari, Riccardi lancia un monito sul futuro della salute pubblica in Italia: senza un cambiamento radicale nelle politiche sanitarie, il Servizio sanitario nazionale potrebbe essere compromesso per sempre.
Presidente, i pronto soccorso italiani sono da anni in grande affanno. La denuncia arriva spesso sia da pazienti mal gestiti che dalle inchieste dei media che danno conto di realtà al limite dell’incredibile. Qual è la situazione?
"La situazione è critica. Da anni abbiamo una mancanza di turnover: su due medici che vanno via per pensionamento, licenziamento o passaggio al privato solo uno viene sostituito. È il risultato dei tagli sulla spesa sanitaria del personale che al momento rende l’ambiente di lavoro non più adeguato per i professionisti che ci lavorano. Un dato che fa riflettere è che solo il 30% delle borse per specializzandi sono prese mentre il 70% è vacante. C'è un problema di interesse sul nostro lavoro, reso ancora più difficile proprio per questa carenza che ha reso necessario delle procedure d’urgenza come quelle dei gettonisti. Ciò ha permesso che nei nostri pronto soccorso (Ps) ci siano dei medici non specialisti in medicina d’urgenza. O, nella migliore delle ipotesi, specialisti di altra specialità. A volte arriviamo ad avere il 30% di gettonisti senza nemmeno la specialità".
"Sicuramente gli incentivi previsti dal Governo saranno importanti per rendere questo lavoro attrattivo, ma se il carico di lavoro e il tipo di lavoro non sarà rispettato, i professionisti andranno da altre parti. Dico questo perché il medico e l'infermiere di Ps si trovano a gestire un carico di lavoro immane che non spetta al Ps perché deriva dalle carenze dell'ospedale. Succederà che anche gli specialisti non andranno in pronto soccorso ed esso diventerà un luogo privo di specialisti. E chi ci rimetterà sarà solo cittadino. Perché lo specialista e l’infermiere di emergenza-urgenza sono professionisti unici, insostituibili per la stabilizzazione dei pazienti".
"Aprire questo mondo ai non specialisti, come è accaduto con le cooperative e come accade con i gettonisti cooptati per l'ospedale, significa far passare il messaggio al decisore che il nostro lavoro può farlo chiunque. E non è così. Altra piaga è il boarding, lo stazionamento dei pazienti in barella dopo le otto ore massime che sarebbero previste per la permanenza in pronto soccorso. È un fenomeno presente in nove Ps su dieci e avvelena il nostro ambiente di lavoro. Il professionista soffre moralmente nel vedere questi pazienti spesso abbandonati in barella per 31 ore. E questo è il valore medio nazionale! Facendo i conti, dei 20 milioni all'anno di accessi al Ps, circa il 15% si trasformano in ricoveri. Se calcoliamo le ore di assistenza in barella arriviamo a più di 10 milioni di ore di assistenza ogni anno. È un dato da medicina di guerra, non da medicina civile".
Negli ultimi mesi ci sono stati diversi episodi di aggressione ai sanitari ospedalieri, anche nei pronto soccorso che sono ormai il punto d’accesso di chi non trova risposta al proprio bisogno di salute sul territorio.
"Il rischio di aggressione esiste e deve essere riconosciuto da indennità specifiche. Ma occorrono anche formazione interna del personale e posti di polizia per supportare il personale. Ciò a cui fa riferimento lei ha un impatto devastante. La violenza da parte del cittadino significa una rottura del patto fra medico e paziente. Tengo a sottolineare che il medico e l’infermiere di Ps hanno 16 possibilità in più di essere aggrediti rispetto a qualsiasi altro professionista sanitario. Torno al tema del boarding, per dire che questo fenomeno implica che un'assistenza ai pazienti barellati da parte nostra si rifletta nel dover sottrarre tempo all'assistenza prestata in pronto soccorso. Alcuni dati inglesi, che ovviamente non sono trasportabili tout court in Italia ma danno un’idea della portata, indicano che un paziente in boarding rallenta di 12 minuti l’accesso di tutti i pazienti. Quando abbiamo 20-50 pazienti in boarding per 12 minuti significa avere dall’altra parte del vetro un'utenza che non riesce a entrare perché il Ps è intasato. E questo significa esporre ancora di più a un rischio di aggressività da parte dei pazienti.
È inevitabile che quando gli accessi sono impropri o comunque numerosi e sono rallentati da tutto il sistema che ha queste problematiche, l'utenza rischia perdere il controllo. Dobbiamo ripristinare il rapporto di fiducia con cittadino. Un dato significativo però è che la violenza è aumentata di quasi il 40% negli ultimi 5 anni, e il 100% di chi fa Ps ha ricevuto almeno una minaccia verbale. Numeri certamente sottostimati perché questa violenza è talmente intrinseca al sistema che non ci si fa quasi più caso. E diventa pericoloso perché le denunce non si fanno e la legge che è stata approvata, la 177/2024 sulla tutela degli operatori, molto spesso viene disattesa. Qualche azienda sanitaria si sta costituendo parte civile e quindi sta supportando gli operatori quando ci sono problematiche di questo tipo".
La sanità ospedaliera italiana sta subendo sempre più il fenomeno dei gettonisti, cioè medici che lasciano il rapporto di lavoro con il Ssn e diventano liberi professionisti che “a chiamata” coprono i turni vacanti. Ciò avviene anche nella medicina d’emergenza-urgenza, con conseguente aumento dei costi sanitari e una maggiore fragilità della tenuta della sanità pubblica. Cosa fare per ridurre la disaffezione dei medici per la sanità italiana?
"Vorrei precisare che respingiamo il concetto di burnout tout court, perché significa che il professionista non sopporta più il suo lavoro. Nel nostro campo è una percentuale veramente minima; siamo addestrati per questo lavoro, che ci piace. Ma quando anziché fare pronto soccorso dobbiamo garantire l'assistenza per almeno 40 ore ai pazienti che hanno bisogno di un posto letto - e questa può arrivare anche a 8 giorni come nel recente caso dell’anziana di Palermo - questo significa correre dei rischi perché i pazienti non hanno un'assistenza adeguata. Ed è allora che si perde la dignità dei pazienti. Prima abbiamo parlato di più di 10 milioni di ore di assistenza in barella come se fosse medicina di guerra: il professionista se ne va per questo. L'unico modo per ripristinare la qualità del lavoro e renderlo attrattivo, oltre a migliorare gli incentivi economici. Ricordo che siamo gli unici a non fare mobilità privata, siamo gli unici che abbiamo un numero di 5-7 notti tutti i mesi, non abbiamo il riconoscimento del lavoro usurante. Se togliamo tutte queste criticità i medici sicuramente ritorneranno a scegliere l’Emergenza-Urgenza.
Ad ogni modo, oggi paradossalmente quei tagli della spesa sul personale assunto hanno comportato un aumento dei costi complessivo, perché il dato del 2023 mostra un raddoppio di spesa per i gettonisti soprattutto, nelle regioni soggette a piano di rientro".
L’intelligenza artificiale sta assumendo una rilevanza sempre maggiore in molte professioni. Quando si parla di salute, ci viene in mente il suo ausilio per la ricerca più veloce ed efficace di nuovi farmaci, ma anche un supporto del medico nella diagnosi. Che ruolo vede di queste tecnologie nell’ambito della medicina di Emergenza?
"Quando si parla di procedure e di accessi all'ospedale - al momento mancano 4 mila medici e 12 mila infermieri - quello che serve è l'intelligenza naturale. L’intelligenza artificiale sarà sicuramente di supporto per il riconoscimento di pattern genetici che possono sfuggire per il riconoscimento di malattie rare perché sono estremamente complesse. Così come per mille altre funzioni. Però, voglio ricordare ciò che è stato detto sulla rivista The Lancet in merito alla crisi della sanità italiana: l'estrema regionalizzazione a poco a poco ha portato a sistemi informativi completamente non comunicanti fra loro addirittura con sistemi operativi vetusti. In certe realtà abbiamo persino Asl vicine che non riescono ad accordarsi su un modello informatico comune per l'invio delle immagini diagnostiche.
Abbiamo poi una legge sulla privacy, sicuramente importante, che però tende a ostacolare certi aspetti sulla comunicazione di questo tipo di dati. Siamo veramente lontani dal pensare a un'integrazione dei sistemi informatici anche perché non ci non ci sono investimenti da questo punto di vista nel servizio sanitario".
L'ultima legge di Bilancio presenta un ampio capitolo di spesa dedicato al personale sanitario. Alcuni dati: incremento di 50 milioni di euro per l’indennità di pronto soccorso nel 2025 e altri 50 milioni nel 2026. Che riflessioni si sente di condividere su queste novità?
"Queste novità sono sicuramente interessanti sulla carta, ma poi dobbiamo vederne l'applicazione effettiva. Molto spesso ci sono dei passaggi intermedi che rendono questi accorgimenti di minor impatto di quanto si pensava. Sicuramente l'incremento di spesa è da mettere in relazione ai dati sul Pil. I posti letto di degenza è poi l'altro punto su cui dobbiamo battere, perché la popolazione sta invecchiando e gli aumenti di queste spese devono essere messi in relazione a questo trend. Le risorse comunque non sono sufficienti".
Qual è la sua visione sul futuro del Ssn? C’è speranza di salvarlo o la deriva verso una sanità modello americano, dove si cura solo chi può pagare, è ormai tracciata?
"Confido che il cittadino comprenda il valore del Servizio sanitario universale e gratuito come quello italiano. Un servizio che rilascia prestazioni di qualità e costose totalmente a carico della spesa pubblica, che deve essere difeso. Il modello americano porta a delle disparità sociali e a delle ingiustizie sociali. Il Ssn così come lo conosciamo deve permanere. In caso contrario rimarrà solo il pronto soccorso a gestire e ascoltare le richieste di salute della popolazione. Cosa che in parte sta già accadendo, ma che non potrà essere sostenuta ancora a lungo. Se questa situazione non cambia chi spenderà sarà sempre di più il cittadino. Bisogna comprendere, e bene, che un servizio sanitario efficiente significa un cittadino più sano e un cittadino più sano significa un cittadino più produttivo".