L’amministrazione Trump ha segnalato la disponibilità degli Usa a discutere passi concreti che l’Ue potrebbe prendere per ottenere una riduzione dei dazi annunciati nel Liberation Day. È una buona notizia, in teoria. Gli Stati Uniti si sentono discriminati nel loro commercio con l’Unione e hanno elencato le loro lamentele in un documento del loro rappresentante per il Commercio (Jemieson Greer). La lettura del documento (2025 National Trade Estimate Report on Foreign Trade Barriers; da pagina 129 a pagina 162 la parte che riguarda l’Ue) suggerisce però che le discussioni potranno essere parecchio complicate e molto influenzate da aspetti politici. Perché?
Le lamentele riguardano quasi interamente barriere non tariffarie (la parte sui dazi è brevissima), ossia presunti ostacoli posti alle esportazioni delle imprese americane verso l’Ue. Tuttavia, una gran parte delle cose di cui si lamentano le imprese americane non le discriminano rispetto a quelle europee: sono vincoli che incidono in modo uguale su tutte le imprese che operano in Europa. Il fatto è che sui due lati dell’Oceano si applicano standard diversi. Per esempio, a pagina 138 si nota che l’Ue limita l’uso di ormoni e altri prodotti chimici per promuovere la crescita degli animali da macellazione.
Questo vale nello stesso modo per le imprese europee e americane. Perché dovrebbe essere l’Ue ad adeguarsi agli standard americani e non viceversa? In ogni caso non si tratta di discriminazione: sarebbe come considerare discriminatorio il fatto che le nostre prese di corrente sono diverse da quelle di Washington. Certo, ci sono anche vincoli che sarebbe utile eliminare. Alcuni di questi riguardano il libero operare della concorrenza. A pagina 145 si parla dei vincoli alla trasparenza negli appalti pubblici in Croazia, Grecia, Ungheria e altri Paesi dell’Est Europa. A pagina 157 si riportano le lamentele delle imprese americane per la lentezza della burocrazia italiana nel concedere permessi per investimenti nel settore energetico e infrastrutturale (stessa cosa per i prodotti medici). Magari ci fossero passi avanti in quest’area, ma anche qui non si tratta di discriminazione.
Poche sono le aree dove esiste effettivamente una discriminazione. La più importante riguarda la preferenza per le imprese europee che viene ora raccomandata dall’Ue negli acquisti di armamenti. Ma è un settore particolare e l’impressione che Trump ci ha dato sul fatto di non poter contare per sempre sugli Stati Uniti come un alleato (vedi Groenlandia) ci ha spinto chiaramente verso il buy European. Aggiungo che la maggior parte delle lamentele elencate riguarda atti presi dall’Ue di recente. Il fatto che il deficit commerciale americano con l’Ue esista da moltissimi anni suggerisce che molte delle lamentele abbiano poco a che fare con questo deficit.
Il che comporta che, se anche si rimuovessero tutti i temi del contendere, il deficit americano probabilmente non scenderebbe molto. Quindi, se l’amministrazione Trump insiste nel vedere l’esistenza di un deficit come la prova di discriminazioni, non c’è trattativa che tenga. Se invece si accontenterà di misure che potranno ridurre, in parte, la lista delle lamentele sopra elencate, senza però chiedere una completa americanizzazione della nostra regolamentazione, allora qualche speranza c’è.