Oro, diamanti. Persino uranio. In un impero sparso tra Africa ?e Russia. Ecco la prima mappa delle fortune di Vito Palazzolo, ?il riciclatore di Cosa Nostra. Costruite in 26 anni di latitanza

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Una cascata infinita di diamanti . Ma anche di oro e persino di uranio . È riuscito a mettere le mani sulle risorse migliori che l’Africa può offrire, sfruttando nei decenni giacimenti preziosi grazie alla corruzione dei cleptocrati del Continente. Lo ha fatto muovendosi come imprenditore con cittadinanza sudafricana e modi molto spregiudicati, che tradivano la sua vera identità siciliana e la lunga militanza al servizio di Cosa Nostra. Quella di Vito Roberto Palazzolo è una saga criminale che va oltre le storie di mafia: un vortice di evasioni, trame, affari, dittatori e servizi segreti in almeno tre continenti. Un latitante che è riuscito a mettere in piedi un impero, ricostruito completamente da “l’Espresso” grazie a un’inchiesta del centro di giornalismo italiano Irpi (Investigative reporting project Italy) e di quello africano Ancir (African network of Centers for investigative reporting).
Il personaggio
«Così ho investito i soldi dei boss»
16/4/2015

La fuga di Palazzolo è cominciata nel 1986 e si è conclusa nel 2012. È stato arrestato durante un viaggio in Thailandia ed estradato dopo quasi due anni. In Italia sei mesi di carcere duro lo hanno convinto a collaborare con i pubblici ministeri, riempiendo diciotto verbali (vedi testo nella pagina a destra). Ma, da quello che è trapelato, le sue confessioni sembrano avere un’ottica miope: mette a fuoco con chiarezza il passato remoto delle storie mafiose, quelle per le quali Giovanni Falcone lo incriminò trent’ anni fa, mentre tiene lontana l’ombra delle cosche dal suo business recente. Così nel 2022, una volta scontata la condanna definitiva a nove anni per riciclaggio, potrebbe tornare al vertice di un regno: ben 70 proprietà tra Namibia e Sudafrica. Ci sono le grandi fattorie namibiane di Omburu-Sud, Ensuru, Eausiro e Southern-Cross: 34 mila ettari di terreno. Ma è inutile cercare il suo nome italiano: bisogna guardare a Robert Von Palace Kolbatschenko, l’identità ottenuta legalmente in Sudafrica. La stessa denominazione del trust registrato a Città del Capo che controlla il patrimonio. Un documento ritrovato nel disordine del catasto namibiano permetta di identificarne i firmatari: sono “Vituzzo” in persona, i due figli Christian e Peter e il fratello Pietro Efisio. E anche le cinquanta società controllate in Sudafrica sarebbero amministrate dai figli e dalla bella moglie Tirtza Grunfeld, erede di un ricco commerciante di diamanti israeliano. Secondo una stima realizzata per questa inchiesta, sono beni che valgono almeno 37 milioni di euro: ma è una valutazione estremamente cauta.


I RAPPORTI COL CONTE AGUSTA
Tracciare la mappa del tesoro è molto difficile. Le rogatorie dei magistrati italiani finora non hanno avuto risposta. E la ricerca sul campo deve fare i conti con i frequenti scambi di beni tra Palazzolo e alcuni personaggi che da sempre gli sono vicini. Il più celebre è il conte Riccardo Agusta, figlio del fondatore dell’industria degli elicotteri, che prima ha comprato alcune tenute confinanti con i possedimenti del siciliano, a Plettenberg Bay tra spiagge immacolate e nelle valli del vino di Franschhnoek, circondate di montagne che assomigliano alla Svizzera. Anche “La terra du Luc”, la dimora circondata da 120 ettari di frutteti dove continua a vivere la famiglia Palazzolo, adesso risulta essere proprietà del nobile emigrato in Africa. In quel comprensorio c’è la sorgente che ha permesso a “Von Palace” di ripulire la sua immagine: una fonte di acqua minerale d’alta qualità, fornita persino alla compagnia di bandiera sudafricana. L’intesa d’affari tra i due si è trasformata in una raffica di iniziative immobiliari a Città del Capo, realizzate tramite la Count Agusta Finance poi ribattezzata Terra Finance: tra queste, l’acquisto di condomini a picco sull’Oceano nelle baie di Bantry e Clifton e appartamenti di lusso con porticciolo privato sul Waterfront, all’ombra dello stadio dei mondiali 2010.
Vito Roberto Palazzolo


INTELLIGENCE AL SUO SERVIZIO
Se terreni e palazzi spesso sono stati gestiti attraverso collaborazioni, i diamanti invece sono un affare tutto di famiglia. Il fratello Paolo Efisio nel 2004 ha trasferito il suo laboratorio per il taglio delle pietre a Short Market, la piazza dei preziosi a due passi dal parlamento sudafricano. Una zona dove i Von Palace possiedono uffici, anche ai piani alti dei grattacieli del centro finanziario che domina la capitale. Pure qui le attività più consistenti sono protette da società offshore, soprattutto basate nelle Isole Vergini Britanniche. È con questi strumenti che nel 1995 Palazzolo si lancia in Angola, dove la fine della guerra civile apriva prospettive brillanti per gli investimenti. La legge locale però vietava le concessioni diamantifere agli stranieri. E viene aggirata in modo semplice. Grazie a tre offshore caraibiche - chiamate Ayres International, Peregrine Finance e Cape International - Palazzolo apre cinque aziende in Angola, nelle quali affida poltrone agli uomini chiave del potere: in Gema Dorada, Diagema, Somicoa, Kupolo e Rcb trovano posto dal presidente della Repubblica ai generali dell’esercito e dell’intelligence. Un biglietto da visita che gli spalanca le porte di cinque miniere nella zona di Lunda Nord, per un valore di almeno 255 milioni di euro. Il controllo delle imprese però era nelle mani delle offshore, che intascavano pure la fetta più consistente dei guadagni come confermano alcuni contratti del 1995 firmati da Palazzolo e i bilanci del 2002.

L’Irpi ha scoperto che il banchiere di Cosa Nostra nello stesso periodo è riuscito a inserirsi nella più grande miniera di diamanti del pianeta: quella di Lomonosov, nella Carelia a nord di San Pietroburgo. Un giacimento da 220 milioni di carati, che vale undici miliardi di euro. Nel 1995 apre la Fourth Investment nelle Isole Vergini Britanniche, che diventa azionista al 17 per cento della AO Severalmatz, azienda moscovita che detiene le concessioni di Lomonosov. L’invasione russa di Palazzolo dura solo un anno, poi la quota viene rivenduta.
Passa sempre dalle società caraibiche l’offensiva in Namibia per fare incetta di diamanti. La manovra scatta nel 2006 e sembra ripetere la tattica adottata in Angola: sfruttare una testa di ponte con un cognome eccellente. Si tratta di Zacky Nujoma, figlio dell’ex presidente. È un giovane con un ruolo dominante nel mercato, come sightholder della De Beers ha i diritti per trattare all’ingrosso diamanti grezzi destinati al colosso mondiale. L’operazione è complessa, un lento accerchiamento. La prima mossa è fornire a Zacky il capitale per costruire due società di trading dei diamanti, chiamate Avila e Marbella. La direzione viene affidata al figlio dell’ex presidente e ai figli del latitante di mafia, ma il controllo è in mano a un’altra sigla nelle Isole Vergini: la Diamond Ocean Enterprise. Poi nel 2011 grazie a un prestito milionario entra nell’azienda principale dell’oligarca namibiano, la Nu Diamond: quella che tratta direttamente con De Beers.


SCORPACCIATA ATOMICA
Ma il duo Nujoma-Palazzolo ha messo a segno almeno un altro colpo da record, quasi incredibile: ha conquistato sette giacimenti di uranio. Un tesoro radioattivo che vale tre miliardi e mezzo di euro. La concessione viene affidata al figlio del presidente, che poi la rivende a una società di Palazzolo, la Mega Diamonds registrata a Honk Kong, la prima traccia dei nuovi interessi asiatici. Siamo nel 2006, quando i programmi di costruzione di nuove centrali atomiche fervono in tutto il mondo e si prevede che la richiesta di combustibile nucleare salirà alle stelle. Infatti dopo poco entra in scena la Forsys Metals canadese, che acquista il pacchetto completo composto da fiduciaria offshore, azienda di Nujoma e uranio. La Forsys oggi è controllata al 55 per cento da un fondo speculativo di Londra, il Leo Fund, gestito da Stefano Roma. È un nome emerso nell’estate caldissima delle scalate bancarie: nel 2005 fu accusato di aggiotaggio per un rastrellamento di titoli Bnl, ma è stato assolto. Poi si è tornati a parlare del fondo per il dirottamento alle Cayman di 150 dei milioni ottenuti dalla famiglia Marzotto per la cessione del marchio Valentino.

Quali sono stati i rapporti tra il riciclatore di Cosa Nostra e il patron del fondo londinese? In alcune dichiarazioni ai giornali namibiani, Palazzolo ha detto di avere conosciuto bene Stefano Roma e di aver lavorato come broker per lui. Una versione smentita dall’interessato, che sostiene di avere incontrato Von Palace nel 2009, un anno dopo l’ingresso di Leo Fund in Forsys e dopo l’acquisto delle concessioni d’uranio da parte di questa società. «Mi è stato presentato come rispettabile imprenditore di successo. Era molto noto nel settore minerario del Paese, anche dal management di Forsys. Non avevo idea della sua connessione mafiosa», ha spiegato Stefano Roma.


IL CASTELLO DI “VON PALACE”
Dal 1986 in poi il Sudafrica è stato un solido rifugio per Palazzolo. Ha potuto contare su coperture molto efficaci. Le richieste dei giudici italiani sono finite nel nulla. Più volte anche le autorità locali hanno cercato di indagare sul misterioso uomo d’affari venuto dall’Italia. Nel 1991 un’inchiesta arriva fino al Liechtenstein, l’origine dei capitali che hanno permesso l’ascesa imprenditoriale dell’immigrato di lusso: lo schema viene decifrato, evidenziando un canale circolare per ripulire fondi. Professionisti e prestanome gestivano prestiti fasulli tra aziende, dall’Africa al Principato e ritorno, fino ai forzieri del Von Palace Kolbatschenko Trust.

Ma nel settembre 2001 ci pensa la Corte Suprema a risolvere i grattacapi: blocca le indagini, ordina alla Procura la restituzione di tutto il materiale sequestrato e vieta future istruttorie sul riciclaggio di Palazzolo. L’immunità infatti è stata garantita sia dai governi bianchi dell’apartheid, sia da quelli dell’African National Congress di Nelson Mandela.
L’origine del suo status di intoccabile deriverebbe dall’intelligence militare di Pretoria, potentissima ai tempi dell’apartheid. Nella seconda metà degli anni Ottanta l’embargo internazionale sta soffocando la nomenklatura sudafricana e gli 007 hanno bisogno di un uomo cerniera tra il mondo dell’imprenditoria e quello del crimine per esportare diamanti e oro. Palazzolo sa muoversi tra i mafiosi e le banche, offre la soluzione perfetta. Da una parte gestiva traffici con pericolosi boss come il bosniaco Goran Bojovic, tutt’oggi ricercato dall’Interpol per avere ordinato omicidi in Serbia; da un’altra intratteneva rapporti d’affari con politici, come Pik Botha, ministro degli Esteri negli ultimi 17 anni di dominio bianco e poi titolare del dicastero delle risorse minerarie nel primo governo Mandela. È Botha che fa avere al latitante la cittadinanza e gli apre le porte dei palazzi che contano.

Dopo l’ennesima richiesta di estradizione bocciata, le proteste italiane insospettiscono Nelson Mandela che ordina alla task force presidenziale di indagare. I detective sono guidati dal brigadiere Andre Lincoln, che scopre come politici, generali e ufficiali di polizia siano sul libro paga del mafioso. Con l’autorizzazione del presidente, decide di muoversi come agente provocatore: è l’operazione “Intrigue”. Lincoln avvicina il businessman italiano e gli fa credere di essere corrotto, riesce a farsi portare fino in Angola con lui. Da lì torna con informazioni sconcertanti. «È molto difficile bloccare ciò che Palazzolo ha costruito in Angola», scrive nella sua informativa finora segreta. «Il capitolo sudafricano di Cosa Nostra è importante per la sicurezza dello Stato perché Palazzolo cura gli interessi di molti e ha reti di contatto con l’intelligence e i governi dei Paesi in cui opera». Nel rapporto, Lincoln denuncia alti dirigenti che avrebbero ostacolato le indagini e chiede un immediato intervento del governo. Ma l’esecutivo di Mandela lo abbandona e il cacciatore si ritrova preda. Viene accusato di corruzione e frode, anche per i rapporti tenuti con l’italiano. È stato assolto nel 2009, ma si guarda bene dall’indagare ancora su Palazzolo. Contattato da Irpi non rilascia commenti, fa capire però che se “Vituzzo” dovesse parlare sul serio, farebbe tremare Italia e Africa intere.

hanno collaborato Khadija Sharife, ?Craig Shaw e John Grobler

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