
[[ge:rep-locali:espresso:285144182]]Lo conosco un po’ il Quirinale, perché il presidente Carlo Azeglio Ciampi mi chiese di scriverne per un volume fotografico, dono in più lingue agli illustri ospiti. Onorato per l’invito, chiesi a Ciampi di poter visitare il Quirinale in lungo e in largo: i conservatori, con enormi mazzi di chiavi, mi aprirono usci sempre serrati, alcuni da decenni. Non posso sbrogliare la matassa della sua storia aggrovigliata, ma solo offrire un’idea del complesso. Una visita inevitabilmente manchevole e personale, perché seguirò il filo del mio gusto.
A chi sale a Monte Cavallo il Quirinale appare come un palazzo-fortezza, inaccessibile. Una sequenza di alte pareti bucate dalle finestre, con taluni portali imponenti. Un torrione seicentesco, in bella evidenza sul piazzale, è all’incrocio del braccio della Dataria con il fronte maggiore del palazzo. Urbano VIII, papa mecenate e guerriero, volle quel torrione con squadrate feritoie per le bocche dei cannoni. Sul piazzale s’apre l’ingresso su cui si leva la Loggia delle Benedizioni di Bernini.
In origine quel luogo aveva altro carattere: c’era la villa di Ottavio Carafa, poi in fitto a Ippolito d’Este. Il nome deriva dal tempio dedicato a Quirino, dio della guerra in ambito italico-sabino. Il luogo ebbe alle origini una connotazione sacra. Ne assunse una squisitamente mondana in età rinascimentale, riacquistò la sua aura sacra quando divenne residenza estiva di Gregorio XIII che fuggiva la calura del Vaticano. Clemente VIII andò ad abitarvi in modo permanente nel 1592 e poi tutti i papi. Reggia dei re d’Italia quando Roma divenne capitale e poi sede della Repubblica.
Gregorio XIII prima chiamò Martino Longhi, poi Ottavio Mascarino nel 1587, inglobando le preesistenti ville: nacque così il primo nucleo del Palazzo Apostolico. Chi entra nel vasto cortile scorge sul fondo la fabbrica con un portico e una soprastante loggia, corpo dominato da una svettante torre con campana e orologi, divenuto simbolo del Quirinale. Sul fianco sinistro della loggia Mascarino inserisce la scala ovale: episodio rilevante d’architettura. Un lungo braccio porticato aggiunse Domenico Fontana, chiamato da Sisto V, per ampliare il palazzo e chiudere il cortile verso la piazza. Entrati nel complesso dall’atrio porticato si passa al Salone gregoriano detto della “Vetrata” e di qui si esce su un terrazzo, da cui si scorge il Cortile delle Carrozze e sotto la Fontana dell’Organo inserita in un colossale nicchione. L’impianto modulare impostato da Mascarino, viene sostanzialmente rispettato da Fontana e dagli architetti che gli succedono. La fabbrica ha uno stile unitario anche se essa fu costruita in molti decenni. Infatti alla morte di Clemente VIII il palazzo era ancora privo della lunga ala parallela a quella di Fontana. Completò l’opera Flaminio Ponzio chiamato da Pio V che profuse nel Quirinale ingenti risorse. Fu così realizzato il lungo braccio nord-est dell’“appartamento nuovo”, per ampiezza quasi doppio al braccio di Fontana: in modo da includere lo scalone a doppia rampa e la Sala del Concistoro che si leva con l’altana al disopra dei due piani del nuovo braccio. L’imponente scala, con affreschi trasferiti di Melozzo da Forlì, introduce all’enorme sala desinata alle pubbliche udienze e ricca di un rilevante tessuto di affreschi.
Come in un puzzle lentamente il palazzo va assumendo le forme composite che sappiamo. Dalla grande corte riconosciamo il corpo della Sala del Concistoro: lungo le fasce alte delle pareti Agostino Tassi, Giovanni Lanfranco e altri dipingono, in alternata sequenza, le “Ambascerie” e le “Virtù teologali”. Un vero racconto figurato, tra i più degni del palazzo e, sul fondo, nel braccio breve che chiude la corte, emerge la volumetria della Cappella Paolina di Carlo Maderno con la decorazione a lacunari del Ferrabosco.
La Cappella Paolina ha portale gemino, al di sopra una lunetta con il bassorilievo marmoreo del Landini. Pio V volle una cappella privata e celata per la quale ebbe ruolo essenziale Guido Reni che s’avvalse della collaborazione del giovane Lanfranco. La Cappella dell’Annunciazione prende il nome dalla pala di Guido posta sull’altare: un gioiello dell’appartamento nuovo.
Conviene buttare lo sguardo sul panorama per capire dove ci si trova: spesso non è agevole orientarsi, perché gli ambienti più vasti sono come scatole cinesi incapsulate l’una nell’altra con lucernari altissimi, finestre e balconi spesso oscurati da tende. Girando in questo labirinto trovai un grande balcone e l’aprii, sperando che non suonasse l’allarme: mi avvidi che ero nella Loggia delle Benedizioni di Bernini che domina il portone bugnato di Fontana che dà sulla piazza.
Un delizioso complemento del palazzo sono i giardini variamente rimaneggiati nei secoli. Nel 1623 Urbano VIII lo recinse con alte mura per salvaguardare sicurezza e riservatezza. John Evelyn, raffinato botanico inglese, nel 1640 ne scrive incantato. Attraversandoli, verso il crinale su Trevi, si leva il Caffeaus costruito da Ferdinando Fuga nel 1741 per volontà di Benedetto XIV. Il papa, uomo colto che corrispondeva con Voltaire, ritenne che fosse necessario attrezzare i giardini con un padiglione, luogo d’incontro e di loisir. Il Caffeaus lo si vede in un dipinto di Gian Paolo Panini (1746) e ci mostra il corteo che fa corona al papa all’arrivo di Carlo di Borbone dopo la vittoria di Velletri. All’interno le sale laterali sono finemente decorate in chiave rococò, contrariamente agli esterni dalla sobria partitura: nei riquadri dipinti di van Bloomen, di Batoni e, nella sala esposta a ponente, le splendide tele di Panini.
Fuga aveva intanto portato a termine la Manica Lunga, braccio di 360 metri su via Pia, dove l’architetto adotta un asciutto linguaggio rigorista e il lessico ben si concilia con i bracci di Fontana e di Ponzio: il fiorentino Fuga nulla concede alla decorazione e non solo per ragioni d’economia, ma perché crede in un’architettura sobria, modulata secondo un abaco funzionale attentamente calibrato.
Nella stagione francese si fecero lavori a perdifiato in attesa di Napoleone, ma l’imperatore non giunse. Nella Sala delle Dame il fregio in bassorilievo di Thorvaldsen e i deliziosi soffitti affrescati da Felice Giani nelle Sale della Vittoria e della Pace. Il peggio viene con l’insediamento dei Savoia che mai amarono il palazzo a partire da Vittorio Emanuele II che tuttavia lì morì. Saloni costellati di specchiere dorate e decorazioni di un gusto melenso, di un rococò rimasticato in Piemonte. Il Palazzo del Quirinale è uno specchio della civiltà artistica del Paese e della sua storia e riflette anche le stagioni meno esaltanti del suo gusto.
Nel novembre del 1786 Goethe s’affretta a visitare il Quirinale e dopo una lunga visita aggiunge: «Come la cappella, l’intero palazzo e tutte le sale sono accessibili al pubblico, e in questo giorno l’ingresso è libero per parecchie ore, non c’è bisogno di dar mance e non si è molestati dal custode».
Dunque il palazzo era accessibile a tutti, e così sta finalmente per tornare ad essere. Il sobrio presidente Mattarella è l’uomo giusto, e a sole due settimane dall’insediamento ha compiuto questo passo, invano atteso da anni. Una svolta d’alto significato simbolico che sta a significare che l’aria è cambiata sul colle: così il Quirinale non sarà solo la sconosciuta e retorica “casa degli italiani”, ma diviene un museo spettacoloso aperto al mondo con il serto delle sue meraviglie.