Per scoprire l’esistenza di un campo di concentramento bastano delle immagini satellitari. Serve solo digitare le coordinate terrestri sul motore di ricerca e, in diverse aree di uno dei Paesi più segreti del pianeta, spuntano dei luoghi che la storia ci ha insegnato a temere, ma in questo caso perfettamente funzionanti. La Corea del Nord, considerata la più grande prigione a cielo aperto del mondo, è infatti ricoperta da Kwan-li-so, in coreano “centri di controllo e gestione”. Le moderne tecnologie, consolidate dalle rare testimonianze dei disertori, sono l’unico sistema che permette di oltrepassare i confini impenetrabili della Corea del Nord, una nazione avvolta nella segretezza e che richiama l’attenzione per le sue crescenti ambizioni nucleari. «Gli Stati Uniti hanno sempre utilizzato i loro satelliti per spiare e invadere altre nazioni. Ovviamente la Corea del Nord lo sa. Per questo qualsiasi attività importante viene svolta fuori dalla loro portata, sott’acqua o sottoterra», sostiene un delegato speciale della Repubblica Democratica Popolare della Nord Corea (Rpdc), la cui identità è protetta per ragioni di sicurezza. Nonostante i richiami della comunità internazionale, il governo nordcoreano ha sempre negato l’esistenza dei campi di prigionia. Oggi, sono sei i campi di concentramento a controllo totale individuati sul territorio.

Il lato invisibile del regime
Visibili dal cielo, Campo numero 14, 15, 16, 18, 22 e 25 sono classificati come zone di controllo totale dove i detenuti vengono imprigionati senza alcuna possibilità di rilascio. «Ci sono molte somiglianze tra questi campi di concentramento e quelli nazisti. Tuttavia, il trattamento riservato ai prigionieri nordcoreani è noto per essere ancora più brutale», spiega Jae-hoon Choi esperto di Corea del Nord presso Amnesty International Corea. Le immagini suggeriscono somiglianze ancora più strette con i gulag sovietici: «Si tratta di strutture vastissime, concepite non solo come zone di detenzione, ma progettate con lo scopo di servire da campi di lavoro», spiega l’architetto Federico Monica fondatrice di Placemarks, studio specializzato nell’analisi di immagini satellitari.
La manodopera gratuita dei prigionieri rappresenta una componente essenziale dell’economia del Paese: i detenuti sono costretti ai lavori forzati in attività tra cui il lavoro in miniere di carbone e l’agricoltura. «La leadership nordcoreana, in particolare Kim Jong-un, non chiuderà mai questi campi, poiché sono parte integrante della sopravvivenza del regime», spiega l’esperto di Amnesty. Negli ultimi anni, l’economia nordcoreana – già fragile e tra le più sanzionate al mondo prima dell’invasione russa dell’Ucraina – è peggiorata risentendo delle restrizioni anti-Covid. Queste misure avevano portato anche allo stop della produzione nei campi dove i detenuti realizzano beni per l’export. Secondo fonti interne della testata Daily NK, quando il regime ha autorizzato la ripresa delle attività, le prigioniere del Campo 14 sono state costrette a lavorare 16 ore al giorno con le dita piene di pus sanguinante per realizzare abiti, parrucche e ciglia finte destinati all’esportazione in Cina e alla vendita online in tutto il mondo.
I ricavi del lavoro forzato nei campi nordcoreani finanziano direttamente il programma nucleare di Kim Jong-un, come rivela un recente rapporto dell’Alleanza dei cittadini per i diritti umani della Corea del Nord. «La costruzione di missili nucleari e sottomarini è una parte importante dell’asimmetria della Corea del Nord in risposta alla tecnologia spaziale statunitense», afferma il Delegato Speciale della Rpdc.
Dentro i campi
Si stima che ci siano 200mila “scheletri costretti ai lavori forzati” rinchiusi nelle sei zone a controllo totale. «Negli ultimi 60 anni, quasi nessuno è riuscito a fuggire da questi campi, ecco perché rimangono tra i luoghi più segreti al mondo», spiega l’esperto di Amnesty International. Una delle rare testimonianze disponibili è quella di Shin Dong-hyuk, il primo esule nordcoreano ad esser nato in un campo di prigionia e riuscito a sopravvivere per raccontarlo. La sua biografia “Fuga dal Campo 14”, racconta di condizioni di vita sovrumane. I detenuti muoiono assiderati a causa delle temperature che d’inverno scendono sotto i trenta gradi. Per chi, come Shin, è riuscito a fuggire, la fame rimane un ricordo indelebile: circa il 40 per cento dei prigionieri muore per denutrizione. Spinti dalla disperazione molti si nutrono di ratti, arrivando a bollire perfino i più piccoli.
Le esecuzioni pubbliche quotidiane sono lo strumento usato per mantenere il controllo e scoraggiare i tentativi di fuga. Shin è stato costretto ad assistere all’esecuzione della madre e del fratello, condannati per aver pianificato l’evasione. «La collocazione dei campi in strette vallate rende scappare quasi impossibile, le recinzioni sono quasi superflue», osserva Federico Monica. Chi riesce a fuggire si dirige in Cina, lì viene catturato e rispedito in Corea del Nord.
Shin, nato all’interno del campo, era destinato a morirvi. Il regime adotta infatti la “colpa per associazione”, sistema per cui il reato di un singolo familiare si estende per tre generazioni. Così, intere famiglie, inclusi bambini e anziani considerati “nemici dello stato”, spariscono improvvisamente dalla società. L’ultima indagine sui Kwan-li-so risale a prima della pandemia. Da allora, l’isolamento imposto dal regime fa si che non ci siano dati disponibili sullo stato attuale dei campi, e nessuna organizzazione è in grado di verificare le condizioni dei prigionieri al loro interno.
Secondo gli ultimi rapporti ufficiali, Campo 22, a soli sei chilometri dal confine cinese, sembrava essere stato abbandonato dopo il presunto trasferimento dei detenuti nel Campo 16, situato nelle vicinanze di Punggye-ri, unico sito noto di test nucleari nordcoreani. Secondo le testimonianze, i detenuti avrebbero partecipato alla costruzione del sito. Essere condotti nel cantiere sotterraneo suscitava paura tra i prigionieri: nessuno tornava vivo. Il sito era stato dichiarato chiuso dopo che, nel 2017, un test fallito aveva provocato il crollo di una galleria sotterranea e danneggiato parte della montagna circostante. Al momento non esistono informazioni disponibili sugli effetti della contaminazione nucleare sui detenuti del vicino campo di prigionia. Tuttavia, le immagini satellitari mostrano che, dal 2017 a oggi, il campo non è mai stato evacuato.
Fonti del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti suggeriscono che il Paese stia solo aspettando una decisione politica per effettuare nuovi test nucleari e che il sito di Punggye-ri sia di nuovo pronto per ospitarli. «A ogni modo, la Corea del Nord ha già schierato anche i propri satelliti per scattare fotografie della Corea del Sud o degli Stati Uniti», replica il delegato speciale della Rpdc. Le più recenti immagini satellitari contraddicono anche l’ipotesi che Campo 22 sia stato dismesso. Al contrario, mostrano strutture in stato di ottima manutenzione, con nuovi edifici costruiti, e una fotografia in particolare immortala persone al lavoro nei campi.