Attrice, attivista, volto del film pluripremiato “Emilia Perez”. È sotto attacco per la sua identità e per certi post tacciati di razzismo: “Di noi dicono di tutto, pure che rubiamo spazio e premi alle donne"

È la prima attrice trans della storia a essere stata premiata al Festival di Cannes e candidata ai premi più prestigiosi del mondo, Oscar compresi. Per lo stesso motivo Karla Sofía Gascón, 53 anni, protagonista del pluripremiato “Emilia Perez” (disponibile su Netflix), è stata da subito al centro di polemiche politiche e una bufera mediatica senza precedenti, in cui sono andati a ripescare anche suoi vecchi post sui social, tacciati di razzismo. «Non sono una santa, sbaglio come sbagliano tutti, ma vorrei essere considerata per il lavoro che faccio. Ho sofferto per tutto l’odio che mi è piombato addosso, devo ringraziare la mia famiglia per essermi stata vicina», dice alla 40ma edizione del Lovers Film Festival di Torino, di cui è appena stata madrina.

 

Chi altro le ha espresso solidarietà in quel momento così difficile?

«I miei manager in Italia e in Messico, le mie colleghe in “Emilia Perez” (Zoe Saldana e Selena Gomez, ndr) e tanti altri colleghi incontrati tra premi e feste, da Leonardo Di Caprio a Jodie Foster. Poi la gente comune: mi dicono di andare avanti. La gente non è stupida, capisce cosa c’è dietro certi polveroni».

 

È qui con sua figlia adolescente. In Italia si discute molto sull’omogenitorialità e su cosa far comparire sui documenti ufficiali dei figli.

«Quando sono andata a cambiare il documento di mia figlia dopo la transizione, lì per lì non sapevano come fare, ma alla fine hanno dovuto scrivere: “Madre a e madre b”, perché la legge in Spagna lo consente a me e a mia moglie. So che in Italia funziona diversamente, ma anche che qualcosa si sta muovendo affinché ci sia solo la scritta “genitore” sui documenti».

 

Una presidente trans aiuterebbe?

«Francamente non penso che la sessualità sia una caratteristica che possa definire in positivo o negativo una persona, specie di potere. Come non lo è il colore della pelle, l’età, la provenienza. L’importante è la competenza, cioè governare bene».

 

Ma anche l’inclusione.

«Certo, infatti noi persone trans dobbiamo essere sempre più presenti nel mondo del lavoro, dell’arte, della cultura, della politica. In Europa viviamo in un limbo di diritti, ovunque andiamo noi persone trans siamo ancora guardate con sospetto, anche quando chiediamo solo un posto di lavoro».

 

Agli occhi di certi politici lei risulta “scomoda” anche in quanto attivista Lgbtqia+. Appena ha un microfono in mano non perde occasione per sparare contro i governi discriminatori.

«Certi politici dovrebbero ricordarsi che sono stati votati per rappresentare tutta la società, non solo la parte che vogliono loro. Stanno copiando i grandi dittatori della storia, creano nemici immaginari e attuano strategie della tensione. Per questo su ogni palco su cui metto piede cerco di fare un discorso che possa aiutare le persone e dare loro voce. Non ho paura di venire attaccata, sono partita dal basso e non ho paura di tornarci. Continuo a ribadire che i nostri diritti diminuiscono, i gruppi più marginali sono sempre più colpiti perché i leader del mondo, incolpandoli, distolgono l’attenzione dalle loro malefatte».

 

Avrebbe potuto fare un ennesimo discorso politico sul palco degli Oscar, ma le cose sono andate diversamente. Eppure per molti resta la vincitrice morale di quest’edizione.

«Agli Oscar si è persa un’occasione preziosa per parlare dei diritti civili nell’era Trump, ma la vita è così, ci sono battaglie che si perdono, è un momento pericoloso per il mondo e come sempre vengono colpite le persone con maggiore difficoltà a difendersi. Di noi trans ormai dicono di tutto, anche che rubiamo alle donne biologiche lo spazio e i premi, la verità è che si arrabbiano perché non possono fermare il nostro successo. Oggi in tanti riconoscono il mio valore di attrice, le mie capacità non sono mai state messe in dubbio e questo non me lo toglie nessuno».

 

L’hanno ferita le critiche della Glaad, la Gay & Lesbian Alliance Against Defamation?

«Hanno perso l’opportunità di dare voce alla nostra comunità. Quando si diventa leader ci si dimentica di chi eravamo e di quando fuggivamo da chi ci diceva cosa fare e come farlo. Invece di fare squadra ci si punta il dito contro, ma non esiste un modo unico di essere trans, la diversità va sempre celebrata. E l’arte non si può mai censurare, abbiamo già vissuto un’epoca in cui si bruciavano libri e film, oggi si rischia di fare lo stesso in un modo diverso. Lo scopo dell’arte è far riflettere, dobbiamo essere tutti liberi di esprimerci e anche, perché no, di non piacere».

 

Torniamo al cinema, da quali registi vorrebbe essere diretta?

«In Italia da Paolo Sorrentino, Matteo Garrone e Luca Guadagnino. In generale ho una stima enorme per Pedro Almodovar, ha fatto moltissimo per la nostra causa e per far accettare le diversità al pubblico, favorendo l’apertura mentale degli spettatori di tutto il mondo. Poi il grande Quentin Tarantino, M. Night Shyamalan con i suoi film inaspettati, ma non mi dispiacerebbe anche un bel film di James Bond. Sono fan della saga!».

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