l popolare giornalista sportivo del "Messaggero" Fabrizio Bentivoglio non ricorda più le parole, dimentica le cose, non si accorge di quando si rivolgono a lui, comincia a scrivere articoli impubblicabili, sragiona.
La moglie Francesca Neri, docente universitaria, non riesce ad abbandonarlo per salvaguardare la propria esistenza e si accorge che l'amore coniugale si muta in lei in amore materno per l'uomo tornato bambino. Subisce nell'affanno un gravissimo incidente d'auto. Lui prende il treno e va a Sasso Marconi a inseguire l'infanzia: un amico capace di resuscitare le persone, anche un cane amato. Si perde in campagna, dopo aver constatato che quell'amico è morto. Scompare. Ma la moglie è davvero tornata alla vita, per caso umano o per miracolo divino.
"Una sconfinata giovinezza" di Pupi Avati non è il solo film sull'Alzheimer, ma è quello in cui la malattia tragica che cancella la mente viene raccontata con maggior pudore e anche con qualche dubbio. La regressione del malato protagonista è forse un poco troppo lucida: l'infanzia ricostruita in scene senza colore, ricordata e perseguita con esattezza, somiglia alla puerilità evocata dal regista in vecchiaia più che alla confusione ansiosa e impaurita di una mente disgregata.
Naturalmente l'Alzheimer assume tante forme quante sono le personalità dei malati, un film non è un manuale di medicina e non è male che si estenda dai malati di Alzheimer ai malati di nostalgia. Ancora una volta si ammira la maestria di Avati nel dirigere gli attori. Serena Grandi, Lino Capolicchio, Vincenzo Crocitti, Erica Blanc, che si sono visti altre volte in apparizioni disastrose, recitano i loro personaggi (una zia, un medico, un prete, una vedova) con vera efficacia e naturalezza, molto bene. Bentivoglio è condizionato dalla parte del malato. Francesca Neri va benissimo.
Una sconfinata giovinezza
di Pupi Avati
con Fabrizio Bentivoglio, Francesca Neri