Nell'onorata storia del western, "True Grit" - in Italia "Il Grinta" - occupa un posto tutto suo. Diretto da George Hathaway, narra di una quattordicenne di nome Mattie Ross che per vendicare il padre ucciso da un malfattore arriva in paese alla ricerca del più duro degli sceriffi, di quello con più grinta e più attributi di tutti. Finisce nelle mani di Rooster Cogburn, un John Wayne un po' traballante che pur con l'occhio sinistro bendato non sbaglia un colpo e che con quella sua interpretazione finì per conquistare l'unico Oscar della sua carriera. E assieme a un Texas Ranger anche lui sulle tracce del vile assassino, partono tutti e tre per una classica e avvincente caccia all'uomo, tra canyon, fiumi, deserti, fuorilegge, agguati, faccendieri, indiani, sparatorie, serpenti, cavalli fedeli che muoiono stremati dalla fatica e musica eroica al momento giusto.
Quarantuno anni dopo, "True Grit" torna sugli schermi, diretto da un regista, anzi da due, che in realtà non sono mai stati dei fan del film originale e che a fare un western non ci avevano mai pensato: i fratelli Joel ed Ethan Coen o, come li chiamano ormai tutti, semplicemente "The Brothers". "Non era un gran film, diciamocelo", sostiene senza mezze misure Joel. Ma per lui e per il fratello il libro di Charles Portis che ha ispirato il primo film e ora il loro, è un'altra cosa, un testo prezioso cui l'originale non aveva saputo rendere giustizia e che invece, nel riproporlo, hanno voluto seguire il più letteralmente possibile. "Il romanzo è davvero fantastico, hanno ricavato un film mediocre da un grande libro", insiste Joel: "Intanto, il punto di vista è quello della bambina. C'è anche molto più humour che in quel film. E tutto è molto più duro e più violento, il che è parte di ciò che lo rende interessante".
"True Grit" dei fratelli Coen insomma non è il solito remake. E a costo di venire accusati di lesa maestà da milioni di fan di John Wayne che ancora adesso lo riveriscono come l'incarnazione delle virtù virili americane e per i quali resta "The Duke", i "Brothers" hanno poi avuto la pensata di fare indossare la benda di Cogburn - spostata per vezzo sull'occhio destro - a un attore che è un po' la sua antitesi contemporanea: a Jeff Bridges, un Oscar l'anno scorso come cantante country in "Crazy Heart" e per tutti "The Dude", dal nome del giocatore di bowling sempre stonato de "Il grande Lebowski", primo grande successo dei Coen: un personaggio che conta su centinaia di siti Internet dedicati al suo culto e che gli assomiglia così tanto.
"The Duke" contro "The Dude", insomma: ma Bridges mette le mani avanti. "Quando mi hanno detto che non era proprio un remake mi sono sentito sollevato, perché non avrei voluto misurarmi con Wayne", spiega: "E se leggi il libro lo capisci: questa è una storia molto alla Coen".
"L'espresso" ha avuto l'occasione di vedere in anteprima il "True Grit", che esce negli Usa il 22 dicembre e in Italia a febbraio. È un film che rispetta le regole e l'iconografia del western, ma che allo stesso tempo porta il loro inconfondibile marchio di noir, di violenza quasi comica, di ironia, di misticismo, di senso dell'humour e dell'assurdo. Bridges - che tra poco apparirà nelle sale oltre che nella frontiera del vecchio West in quella digitale di "Tron" - offre un Rooster con tutti i luoghi comuni dell'eroe un po' andato e tirato per le maniche, ma allo stesso tempo sa dare al suo personaggio un marchio indelebile. "Quando pensi ai protagonisti dei grandi western, sono sempre tutti personaggi silenziosi, e invece nel corso della caccia Rooster non smette mai di parlare e di raccontare delle storie", commenta. L'assassino braccato è Josh Brolin, che era la vittima in "Non è paese per vecchi", uno dei più recenti successi dei due fratelli registi, e che qui invece è la caricatura del fuorilegge cattivo.
Se Bridges e Brolin sono due tra gli attori preferiti dei Coen, è invece al suo debutto Matt Damon, nella parte di un Texas Ranger che si unisce alla caccia a Brolin per l'omicidio di un senatore texano. Ma la forza trainante del film è la piccola Mattie. "Il libro è la voce di una quattordicenne e questo imprime alla storia un tono particolare", continua Ethan. Per trovarla, i "Brothers" hanno fatto 15 mila provini finché hanno puntato su Hallee Steinfeld, 13 anni quando ha girato il film, una ragazzina che con quella sua straordinaria ostinazione a voler mettere ordine in un mondo totalmente disordinato è già la piccola diva più quotata nelle previsioni per gli Oscar. "È un'anima molto saggia dentro il corpo di una tredicenne", sostiene Damon. E Bridges aggiunge: "Devo dire che quando l'ho vista il primo giorno di riprese ero un po' nervoso, ma siamo stati davvero fortunati. Hallee è molto matura, molto aperta e non nasconde la sua innocenza".
A partire da quando sono emersi nel 1984 con "Sangue facile", Joel e Ethan Coen hanno saputo raccogliere un seguito da culto. I loro film, e il loro straordinario e bizzarro universo di situazioni, di personaggi e di atmosfere, vengono discussi, celebrati, imitati, disprezzati, osannati da legioni di spettatori e nelle scuole di cinema. C'è chi sostiene che sono dei nichilisti e dei fatalisti e chi dei geni e dei poeti, chi dei cinici che non hanno alcuna compassione per la sofferenza dei loro personaggi e chi dei giocherelloni che si dilettano a piazzare individui innocenti e tremendamente imperfetti in un universo duro, che non perdona, dove la violenza può essere così grottesca che alla fine puoi solo riderci sopra. Ed è inutile andare a chiedere a Joel e ad Ethan i significati nascosti e i simbolismi e le metafore del loro lavoro: al massimo si cava un "It was fun", era divertente.
"Non siamo neanche poi così impegnati", aggiunge Ethan: "Un attore fa qualcosa di buono, noi ridiamo e poi chiediamo a Roger (Roger Deakins, il loro elegante direttore della fotografia sin dai tempi di "Barton Fink", ndr.) che cosa ne pensa". E Jeff Bridges? Lui invece che cosa ci ha trovato in "True Grit"? Perché tornarci sopra? "Se c'è una morale non mi va nemmeno di parlarne perché il bello del film è scoprire le cose da soli. E poi c'è tutto quello che non viene detto", continua "The Dude": "Ma c'è anche un qualcosa di biblico qui, un po' come in tutti i film dei "Brothers". Perché i protagonisti hanno tutti "true grit", hanno la grinta per arrivare sino in fondo: e questa è una definizione che quasi coincide con quella dell'Illuminazione".
Cultura
14 dicembre, 2010I fratelli registi del cinema Usa debuttano nel western. Con un remake duro e ironico di "Il Grinta". E con un grande Jeff Bridges al posto di John Wayne
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