Io, curioso? Mi stupisco quando gli altri me lo dicono. Penso invece di essere oberato da un numero di cose di cui non mi frega niente. Ma se la mia media è considerata alta, vuole dire che la gente è poco curiosa". Così Umberto Eco, nel salotto di casa sua (con teche di libri sulle polemiche antisemite e anti-gesuitiche, conchiglie e oggetti vari, quasi una Wunderkammer) in bella vista, vuole cominciare questa conversazione. Realizzata in occasione dell'uscita del suo nuovo libro "Costruire il nemico" (Bompiani) e che verte sugli interessi "marginali" dello studioso e romanziere e sul ruolo dell'immaginario e del fantastico nello sviluppo del sapere umano.
È plausibile invece un'altra ipotesi. Che lei abbia molta più immaginazione rispetto alla gente "normale". In questo libro fa un discorso sulla geografia e astronomia come scienze immaginarie. Leggendolo si capisce che la geografia, più che fotografare la mappa dell'esistente, è sempre stata legata ai sogni, alle utopie e alla ricerca del paradiso terrestre.
"Passavo ore al liceo, a tenere l'atlante sotto il banco. Andavo in Siberia, da lì in Kamchatka. Alla base della geografia c'è immaginazione e curiosità. E che la geografia sia legata alla ricerca del paradiso terrestre mi sembra ovvio: le prime carte geografiche, in Occidente, cercavano appunto di localizzarlo. Sono affascinato dalla geografia immaginaria, perché ogni geografia in statu nascenti lo è, altrimenti registra quello che si sa già".
Portando il discorso sul piano generale, quello che lei sta dicendo significa due cose. La prima, che per fare nuove scoperte bisogna rischiare. E la seconda, che per rischiare si deve avere una spinta interna: la curiosità o l'utopia.
"La curiosità qualche volta ti porta alla ricerca del Vero. Altre volte a cercare, con altrettanto stupore, il Falso. La mia collezione di libri antichi contiene opere che dicono il falso. Non ho volumi di Galileo, ma di Tolomeo. Mi piace indagare sulle bizzarrie dell'intelletto umano".
Perché cerca le bizzarrie?
"Per due motivi, l'uno perverso l'altro virtuoso. La perversione è che sono affascinato dalla stupidità. "Il Pendolo di Foucault" è un libro sulla stupidità, anche "Il cimitero di Praga" lo è, ma su quella condita di malvagità. L'intelligenza non mi affascina. Se Einstein riesce a capire il principio della relatività generale, vuol dire che il mondo è fatto così e lui ci è arrivato. Credere invece che la terra sia quadrata è un indice della flessibilità della mente umana".
E il motivo virtuoso?
"Che attraverso gli errori (e non stupidità, Tolomeo non era idiota, pure se si è sbagliato) si arriva sempre a qualche verità. È il momento della serendipità. Si scopre una cosa per caso: a Colombo è successo con l'America. Attraverso i viaggi, le fantasie, le utopie, gli errori si arriva a capire la verità per vie tortuose".
Colombo, quando parte per il suo viaggio, è l'erede di coloro che cercavano il paradiso terrestre.
"È un erede piuttosto laico. E quelli che lo seguono cercavano l'Eldorado, traduzione secolare del paradiso terrestre. Che forse non esiste ma si va a cercarlo lo stesso".
Nei racconti cristiani medioevali le città del paradiso terrestre hanno le strade lastricate d'oro. Come l'America del nostro immaginario del Novecento?
"L'ho detto, è Eldorado. Ma non è solo un sogno. Cortes, Pizarro hanno la testa sulle spalle, casomai tagliano le teste ad altri. Poi ci sono le leggende: Cabeza de Vaca, scopre davvero le cascate dell'Iguazù, ma quando torna a casa e racconta quello che ha visto lo prendono per matto. L'Eldorado si impoverisce, diventa qualche pepita come per Charlie Chaplin in "La febbre dell'oro", o addirittura due pasti al giorno per i disgraziati italiani che vanno a morire nella costruzione del ponte di Brooklyn. L'Eldorado è anche Lampedusa per i tunisini: poveracci che rischiano la vita per trovare il paradiso terrestre in quelli che invece sono campi di concentramento".
Il tunisino parte perché ha una geografia dei sogni.
"E al posto della mappa immaginaria, dei secoli scorsi, c'è la tivù. Si aspetta, appena arrivato a Lampedusa, di vincere due milioni in gettoni d'oro".
Nel libro lei parla anche della fantascienza. La fantascienza precede la scienza, l'immaginazione la realtà?
"Basta leggere Jules Verne. L'immaginazione narrativa non ha i limiti che ha la scienza, quindi va là dove la scienza può al massimo fare qualche prudente ipotesi. Ma su dieci anticipazioni che fa la fantascienza, cinque si verificano nella realtà. E può anche darsi che molta di questa narrativa di anticipazione faccia da stimolo alla scienza. Ma poi: Copernico, è scienza o fantascienza? È per motivi estetici che pensava che il sole fosse al centro dell'universo con i pianeti che ruotano intorno. È solo con Galileo che siamo alla scienza. E il sogno di Keplero? La fantascienza può essere rigorosissima. Un mio antico allievo, Renato Giovannoli, ha scritto il fondamentale "La scienza della fantascienza", che dimostra quanto i vari autori si passano notizie e nozioni, da formare alla fine un corpus coerente di questo tipo di narrativa".
Lo dicono anche i fisici che un'equazione deve essere bella.
"Elegante".
Quindi l'estetica fa parte della scienza?
"L'ha influenzata".
Il suo libro è anche un appello contro una scienza positivista, troppa china sui dettagli tecnici?
"Detto così sarebbe un'esagerazione. Si può avere l'interesse per l'astronomia immaginaria e allo stesso tempo pensare che l'astronomia vera sia un'ottima cosa. Caso mai vedo che molte delle ipotesi che circolano nel mondo scientifico sono frutto della fantascienza, e basti pensare al dibattito tra chi crede nel Big Bang e chi lo nega".
L'immaginazione è più importante dell'indagine?
"Al tempo. Se possiamo occuparci delle scienze immaginarie è perché ci sono quelle, tra le virgolette, vere, che tendono ad arrivare a delle conclusioni attraverso le indagini. Ci si può permettere il lusso di riscoprire le virtù dell'immaginazione quando si ha la certezza delle virtù dell'indagine".
Nel libro appena pubblicato, ma anche in altri, stende elenchi che spesso trattano fenomeni e parole marginali. Perché?
"Perché interessante è solo l'elenco incongruo. Si potrebbe fare letteratura elencando i pezzi di automobile? Sì. Ma essendo un tale elenco esageratamente congruo non avrebbe l'effetto dello stupore. Pensi all'espressione: "lippis et tonsoribus", per dire che questa cosa è conosciuta anche ai cisposi e barbieri. Che c'entrano i cisposi con i barbieri? Non c'entrano niente, ed è lì la bellezza della figura retorica della incongruità".
L'ossessione per le liste ha a che fare con la sua bibliofilia? Lei ha 50 mila libri...
"Il mio collezionismo nasce verso gli otto anni, dall'aver scoperto in cantina libri non rilegati, appartenuti al nonno. Il collezionismo dei libri antichi invece è cominciato quando ho scritto "Il nome della rosa". Visto che ho guadagnato con un libro, ho speso i soldi in altri libri".
Cosa la incuriosisce in un libro antico?
"Intanto il tema. Spesso è legato al mio lavoro. Mentre scrivevo "Il cimitero di Praga" per anni compravo le prime edizioni delle polemiche antisemite e antigesuite. Per "L'isola del giorno prima" ho raccolto volumi dei navigatori nei mari del Sud e carte geografiche. Talvolta mi interessa un libro con annotazioni a margine. Ho incunaboli con note in due colori così belle da essere più attraenti della composizione originale della pagina".
È la curiosità per le vite degli altri?
"Tracce di possesso che ti raccontano delle storie".
Si comprano e leggono i libri perché si è curiosi delle vite altrui?
"Certo. Un analfabeta che muore a 70 anni ha vissuto una sola vita di 70 anni. Io di anni ne ho vissuti 5 mila. Ero presente quando Caino ha ammazzato Abele e quando Giulio Cesare è stato ucciso, e anche alla battaglia delle Termopili e quando Leopardi guardava l'infinito. La lettura ti dà l'immortalità, all'indietro. Scrivere invece è una scommessa nell'immortalità in avanti, ma senza garanzia".
Un capitolo lo dedica a Victor Hugo, "scrittore eccessivo". E un altro al feuilleton.
"Sono affascinato dagli eccessi: il brutto che più orrido non si può, per esempio. Il feuilleton? Come il giallo, è l'essenza della narratività, senza preoccupazioni di stile né di linguaggio, facilmente traducibile. E poi tutto quello che succede in un giallo o nel feuilleton e già atteso, e quindi rassicurante".
Rassicurante come le reliquie di cui parla in un altro capitolo?
"Nelle reliquie mi affascinano due aspetti: l'abbondanza, e quindi la soggiacente stupidità. Il fatto che esistano non so quanti chiodi della crocifissione è un esempio della credulità collettiva. E poi, il modo con cui vengono presentate. Le teche polverose sono esteticamente affascinanti. Ma c'è anche il fatto che la gente non ha voglia di morire. E guardando le reliquie si può pensare che il corpo non muoia".
Le cose marginali ci fanno quindi capire l'universo meglio che il main stream?
"Ho sempre sostenuto, anche sul piano filosofico, che il sistema lo si capisce meglio mettendolo alla prova non al suo centro, ma ai margini, dove è meno strutturato, meno controllato, pieno di trappole. Per esempio, ho capito più cose di San Tommaso leggendo le questioni "disputate" che discuteva al sabato, che le opere maggiori. E si capisce meglio la grande letteratura, leggendo il feuilleton. Se non lo comprendi non sei in grado di capire Dante, ma, attenti, non vuol dire che l'uno vale l'altro. Vuole dire che se non capisci la struttura della capanna non capirai mai perché i grattacieli stanno in piedi".
Cultura
13 maggio, 2011Un collage di proverbi per ironizzare sulla saggezza popolare. Una riflessione sul 'sapere malvagio' e sul bisogno di avere un nemico. E poi: l'alchimia, la fantascienza, le reliquie, Victor Hugo e molto altro. Parla lo scrittore e semiologo. Colloquio con Umberto Eco
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