Leggo letteratura con sempre maggiore fatica, come se avessi perduto con gli anni la capacità di fidarmi del narratore, di farmi accompagnare. Ritrovo nei saggi - forse per compensazione - il piacere di scoprire, e perfino la meraviglia della scoperta. "Elogio delle erbacce", del grande botanico inglese Richard Mabey (nella eccellente traduzione in italiano curata da tre signore, Bottini, Lomazzi e Placidi) è un fantastico viaggio dentro la natura indomabile, quella che né l'uomo agricolo né l'uomo giardiniere è riuscito a piegare alle sue regole e a ordinare secondo i suoi bisogni. Libro coltissimo e insieme di grande appeal divulgativo, cocktail di scienze umane denso di storia, geografia, farmacologia, urbanistica, gastronomia, economia, politica, l'"Elogio delle erbacce" è soprattutto una lezione magistrale sul fervido e conflittuale rapporto tra uomo e ambiente. Chi ama la natura (e ovviamente le piante) si perderà tra le pagine di Mabey come in un museo vivente di storia naturale nel quale i secoli vegetano tutti assieme, raccontando le conoscenze e i pregiudizi dell'uomo a contatto con l'immenso, brulicante cosmo vegetale. Il concetto di "erbacce", discriminatorio fino ad assumere connotati vagamente razzisti in epoca vittoriana, è ovviamente dell'uomo e non della natura. La natura anima il libro con tutta la sua maestà, fantasia, polimorfismo. Libri come questo fanno pensare che l'osservazione appassionata, umile e intelligente della natura sia la forma più moderna, e più risolta, della teologia.
Richard Mabey
"Elogio delle erbacce"
(Ponte alle Grazie, pp. 347, E 19,50)