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Almodovar, Berlusconi e il bisturi

Il regista de 'La pelle che abito': "Il premier è un omofobo ossessionato dalle donne che nella sua lotta contro il tempo si avvicina a universi in cui l'omossessualità abbonda. Mi chiedo come gli italiani non si interroghino sullo scandalo che crea nel mondo"

Le ragazze del mucchio di Pedro, smarrite tra crisi di nervi, peccati, tacchi a spillo, suore in overdose, segreti, fiori e uxoricidi a colpi di Jamòn, non abitano più qui. Tutto è stato già detto. Analizzato e incensato. L'oro di Almodóvar - premi francesi, Oscar all'ombra di Mulholland Drive, applausi transnazionali - è servito a conservare libertà. Così abbattuti mulini e diffidenze, dietro i capelli bianchi, don Almodóvar della Mancia non scruta indifferente il succedersi delle stagioni: "Fatico ad accettare l'idea della morte, è sempre stato così". Però sorride. Versa l'acqua, compie ampi gesti con le mani, gira il mondo, strizza gli occhi e tormenta la barba. Indossa larghe camicie e pantaloni con distratta casualità. A 62 anni, senza aver mai smesso, può continuare a sperimentare. All'epoca del Franchismo, l'ex dipendente della compagnia telefonica spagnola girava Super 8 tra campi di papaveri, puttane in abito da sposa e fate. Oggi, una ventina di film e quattro decenni dopo, coltiva ancora il lusso dell'ironica attenzione verso l'interlocutore occasionale: "Spero sia passata qualche ora dalla visione, per assorbire il turbamento ce ne vogliono dodici". Senza rinunciare al gusto della boutade - "Sintetizzi pure, sono drammaticamente logorroico" - e della profezia. Interpolando citazioni, generi, corpi, anime in pena e quadri contemporanei di raggelante attualità.

L'ultima ballata si intitola "La pelle che abito" (Warner). Storia feroce di amore e di coltello, vendetta, sangue e bisturi, con echi di Eschilo, Kafka, Buñuel, Hitchkock e lampi debitori a un'altra dozzina di signori dal cognome impegnativo. Fermare la clessidra. Bloccare il tempo con la violenza assecondando l'assurda ritmica di una normalità apparente. Essere Almodóvar. L'uomo, la donna, l'arbitrio, l'identità sessuale, la gioia inattesa, la disperazione. Al centro di una poetica mai tradita, uno che lo conosceva bene. Antonio Banderas. Barbablù di un eccessivo maniero a Toledo ("Bei posti, di un conservatorismo surreale" precisa Almodóvar). Aguzzino di Elena Anaya, erede pazzo di Marisa Paredes. L'attore che divise con Pedro l'esperienza di "Lègami" è un chirurgo estetico circondato dalla follia.

Divorato dalla morte della moglie, ricerca una soluzione medica che illuda di colmare la perdita con la vendetta della metamorfosi. L'ultima frontiera amorosa dell'azzardo non lascerà superstiti.

Psicopatici in doppio petto, uomini che diventano donne al di là della loro volontà. Protetta da un velo di eleganza formale, "La pelle che abito" sgomenta.
"È un film duro che riesce a disegnare, in un contesto terribile, un finale non troppo distante dalla felicità. Mi interessava raccontare un processo di resistenza interiore. Descrivere un angolo inaccessibile di umanità in cui, tra un'angheria e una negazione, si continui a essere se stessi. Dove neanche la peggior tra le violazioni, possa davvero spingere alla resa".

Esiste quest'angolo?
"È tutto ciò che abbiamo. Io lo chiamo identità".

Il carnefice de "La pelle che abito" riporta al Frankenstein di Shelley. La chirurgia estetica è la nuova frontiera dell'orrore?
"Chiunque ha il diritto di operarsi, cambiarsi i connotati, intervenire, se non si piace, su ciò che desidera. La pelle determina le razze, ma la faccia non la nascondi. È il nostro specchio sugli altri. Riverbera una depressione e denuncia una malattia".

In "Tutto su mia madre", uno dei protagonisti, Agadro, improvvisa un monologo che è più di un inno all'incisione del corpo.
"È un transessuale, ma la sua ambiguità non indebolisce l'assunto. Agadro sostiene che si è autentici quanto più si somiglia all'idea che si è sognata di se stessi".

Lei è d'accordo?
"I diritti non si discutono. Come cittadino constato, come regista non mi adeguo e in generale, non scelgo chi è ricorso all'intervento. Sul volto di un attore, il segno stravolge l'espressività e disvela l'anacronismo. La faccia si trasforma. È come filmare un affresco sul Diciannovesimo secolo con la scenografia di Blade Runner".

La smania del ritocco esiste.
"Ho parlato con luminari e scienziati e ho messo ne "La pelle che abito" elementi di verità che sembrano fantascientifici. In materia di chirurgia del volto, la Spagna è uno dei Paesi più avanzati".

Commesse e star, una vocazione trasversale. L'artificio fa proseliti, anche in politica.
"Tra attori e politici esiste una specularità. Entrambi vendono un prodotto, un'immagine, un viso che è anche il loro principale strumento di lavoro".

Le fa impressione?
"Dovrebbero essere due mestieri diversi. La corsa al potere è un percorso che abbraccia la sovraesposizione personale. Cosa abbia a che vedere con il bene pubblico è parte di un trattato filosofico che richiederebbe troppo tempo".

Il nostro presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, non disdegna il lifting.
"Quanti anni ha? Settantaquattro? È una figura molto interessante, anche in foto. In Spagna i ritocchi di zigomi a favore di telecamere non sono ancora uno stile. I parlamentari tentano di trasmettere, anche se in maniera programmaticamente ipocrita, un'immagine vicina a quella del popolo".

In Italia?
"Non vivo qui, voto altrove e anche da noi, lo saprà, abbiamo qualche problema".

Le dispiace se insistiamo?
"Mai chiesta la scaletta delle domande in vita mia, mai emanato un "editto Almodóvar". Come diceva Wilde non esistono domande imbarazzanti, ma solo risposte imbarazzanti. Mi dà fastidio altro".

Cosa esattamente?
"I giornalisti che strumentalizzano una dichiarazione per farmi dire quello che loro vorrebbero scrivere su Berlusconi. L'idea di piegare ogni ragionamento a un referendum non mi entusiasma. Neanche al cinema. Ha presente quei dibattiti appassionanti e profondi, trascorso un minuto scarso dalla fine della proiezione?".

Come sono?
""Il film mi è piaciuto" "A me no". Ecco, cose così, dialoghi intensi, eviterei".

Garantiamo.
"Sul tema ho più domande che risposte, comunque. Classificare Berlusconi è complicato. Le notizie che lo riguardano abbracciano più il sesso che la politica". (Sorride)

Che domande porrebbe su Berlusconi?
"Chiederei agli italiani lumi sullo sconcerto e sullo scandalo che il suo nome provoca ovunque". (Non sorride più)

L'estetica berlusconiana accompagna il nostro immaginario da quasi vent'anni.
"Capisco. Berlusconi è un omofobo ossessionato dalle donne che si vanta in continuazione di non essere finocchio". (Almodóvar pronuncia "Maricòn" con quello che sembra un lieve compiacimento)

Le operazioni in vitro. Le conquiste. L'esercizio del potere. L'invulnerabilità da sventolare in spregio all'evidenza. Le sembra strano?
"L'unica bizzarria è che alcuni argomenti hanno a che fare con "La pelle che abito"".

E poi?
"Questa frenetica lotta contro il trascorrere del tempo e l'ideale modello di bellezza maschile agognato da Berlusconi si avvicina ad ambiti professionali che ben conosco e dove, per ragioni tra le più varie, l'omosessualità abbonda. Ballerini, disegnatori, costumisti. So di cosa parlo e con questo, chiuderei".

La indigna ancora qualcosa?
"Nel mondo della comunicazione c'è una perversione che contagia sia la forma che l'essenza. Corrono in parallelo. Imperano contenuti grossolani, urlati con aggressiva volgarità. Televisione e giornali, sono guidate dal dio unico del sensazionalismo. Non tutto è perduto comunque".

Speranze?
"Le persone comunicano. Pretendono una democrazia partecipativa. Utilizzano il Web per far viaggiare tematiche universali e se si mettono in testa di reagire, il risultato è fulminante. È un fenomeno epocale. Mai avrei creduto possibile la primavera araba su un terreno che per tecnologia, denaro e mezzi è secoli dietro le grandi potenze".

Come si difende?
"Se mi chiedono un parere, ragiono. Conosco le regole del gioco tra l'intervistatore e l'intervistato, so stare sul palco. Detto questo, mi sono ritirato dalla coralità a metà degli anni '80".

Ne soffre?
"Sto benissimo. All'alba della nuova democrazia spagnola, un periodo molto più stimolante dell'odierno, andavo in giro con una tribù di 50 persone. Era meraviglioso essere giovani, tirar la notte, esagerare. Oggi ho deciso di trascorrere la maggior parte dell'esistenza al chiuso di quattro pareti. La mia parte pubblica è un frammento di passato".

Sembra di ascoltare il poeta greco Kavafis sulla vita. "Non sciuparla portandola in giro in balìa del quotidiano, fino a farne una stucchevole estranea".
"La mia non è una condanna, ma una scelta. Se ritiene può metterla sotto la voce maturità. Non mi sento un misantropo, ma gli inverni passano e le circostanze ci cambiano. C'è stato un momento in cui, non so neanche perché, ero diventato un fenomeno da baraccone da esportare, di fiera in fiera. L'icona della trasgressione ad ogni costo".

Si stupisce?
"Non mi sentivo diverso né eretico, ma il "personaggio" eccitava i media più della persona. Se scherzavo in tv, ero certo di ritrovar montate solo le battute".

La consacrazione non le ha fatto dimenticare i suoi modelli. Ne "La pelle che abito" l'amore, come in altri graffi almodovariani, è uno scambio di persona.
"La mia protagonista è prigioniera e aspetta l'attimo fuggente per la propria salvezza. Se in "Matador" il delitto era un elemento di bramosia erotica, qui, come altrove, amore e morte si incontrano".

Anche se El Cigarral, il rifugio della cieca perfidia di Banderas, è una gabbia al pari della poverissima Madrid dei suoi primi film, ne "La pelle che abito" l'incontro tra ricchi e nullatenenti si risolve in trauma.
"I soldi non risolvono le psicosi e la gabbia è dentro di noi. Nel film le barriere sociali esistono, ma sono superate per un istante dall'invisibile ponte del desiderio".

Tra transgenesi, laboratori e dubbi bioetici, "La pelle che abito" preconizza anche ciò che saremo? "L'evoluzione medica mi entusiasma e al tempo stesso mi spaventa. Sono felice di non essere la persona deputata a decidere sulla prosecuzione delle ricerche perché nutro verso il genere umano una fiducia condizionata. In ogni caso non dipenderà da me".

Promette di essere un grande affare.
"Un'ala della comunità scientifica ha già creato la cellula che dà la vita. Una scoperta che cambierà il mondo per sempre".

Ne è sicuro?
"Molte religioni traggono ruolo e forza nello stabilire l'origine divina dell'uomo. Se crolla il concetto di base, non scommetterei sulla loro resistenza. Sa che le dico?".

Prego.
"Che non sarebbe male vivere ancora cent'anni".

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