Da Benedetti Michelangeli a Barenboim. Da Askenazy a Celibidache. Ecco una classifica (soggettiva) dei dieci brani di musica classica da gustare on line. Aggiungete nei commenti, se volete, la vostra top ten personale
Per chi ama la musica classica fare un giro in Rete può essere fonte di piacevoli sorprese. Certo, probabilmente l'ascolto non è ideale. Ma quante gracchianti registrazioni di Furtwängler, Toscanini o Caruso hanno formato il nostro gusto estetico? Il gioco vale la candela, poiché assieme alle esecuzioni conosciute, possiamo apprezzare autentiche rarità, spesso edizioni "pirata" rifiutate dagli stessi interpreti, non rintracciabili neppure nei negozi specializzati, qualche volta immesse in YouTube a onta dei diritti d'autore. Questa ricerca può consentire a chiunque di formarsi una piccola discoteca di base. Del tutto gratuita e piena di stimoli, tanto che verrebbe da pensare: dunque è vero che la Rete contiene in sé i germi della democrazia, e che la sua diffusione e il suo utilizzo portano a una maggiore conoscenza. Ecco quindi dieci consigli che permetteranno a chiunque ami la musica di godere di altrettante interpretazioni memorabili, alcune difficilmente rintracciabili fuori dal Web.
1. Una preziosa testimonianza è quella che ha per protagonisti Arturo Benedetti Michelangeli e Sergiu Celibidache, nel 1982 impegnati a Londra nel Concerto in sol maggiore di Maurice Ravel. Il sommo pianista era famoso per quelli che venivano definiti i suoi capricci, quando annullava un'esibizione all'ultimo momento, magari perché il suo strumento non gli pareva perfettamente accordato. Nell'introduzione del filmato, il direttore rumeno lo difende appassionatamente: "Nessuno può giudicarlo, nessuno può avere la sua sensibilità. Nessuno può capire perché decida che il suo pianoforte non va bene mezz'ora prima del concerto. Per l'umidità o la temperatura esso può venir danneggiato, e Arturo lo avverte con le sue dita, le sue orecchie, la sua coscienza, che sono ben diverse dalle nostre". Segue poi l'esecuzione: il più convincente dei corollari alle parole del maestro. Basterebbe ascoltare la perlacea interpretazione dell'"Adagio assai" dal concerto, dove Benedetti Michelangeli nel suo tipico algido aplomb cava dalla tastiera, accompagnato dagli strumenti a fiato, pura poesia.
2. Un artista refrattario alle registrazioni è pure Grigory Sokolov. Lo possiamo ammirare nel Secondo concerto per pianoforte e orchestra di Johannes Brahms: (inizio del primo movimento, gli altri a seguire, con la Sinfonica nazionale ungherese diretta da Lu Jia, dal vivo, a Brescia, nel 1993). Circostanza resa ancora più interessante, se consideriamo la riluttanza che egli ha a suonare con le orchestre, come ha dichiarato: "In primo luogo l'eterno problema dei tempi ridotti di prova con il solista. In secondo luogo i sindacati che "tutelano" i musicisti dalla musica. Immaginate un po': una persona sogna di dedicare tutta la sua vita alla musica e proprio quando la pratica professionalmente non può sforare di tre minuti dai tempi previsti delle prove. E poi il problema fondamentale, i direttori d'orchestra, che si suddividono in due categorie: quelli che impediscono e quelli che non impediscono di suonare. A quest'ultima categoria appartengono in pochi". Una prestazione imperiosa, solenne, in cui esibisce la sua tecnica magistrale.
3. I direttori fischiati alla Scala potrebbero trovare incoraggiamento da questo video, dove perfino il grande Carlos Kleiber viene contestato da uno spettatore del pubblico mentre dirige l'"Otello" nel 1976. Fu la prima volta che un'inaugurazione scaligera veniva trasmessa in diretta televisiva e il solito italiota non perse l'occasione per farsi notare. L'opera si può poi vedere per intero. Per la regia di Franco Zeffirelli, un cast portentoso formato da Placido Domingo, Mirella Freni e Piero Cappuccilli. Il critico Sergio Sablich ha descritto Kleiber come una sorta di puro folle parsifaliano, idolatrato per la sua intransigenza in una comunità corrotta dei moderni cavalieri del Graal. Il celebre direttore nato a Berlino, scomparso otto anni fa, non voleva divenire un routinier come molti suoi colleghi. E, paradosso del mercato capitalistico, questi atteggiamenti non facevano che aumentare il valore dei suoi cachet.
4. Altra interpretazione importante, da godere nella sua interezza, quella de "La Bohème" scaligera sempre di Carlos Kleiber nel 1979 - eccezionalmente senza rompiscatole vocianti. Anche qui un cast da far paura con Luciano Pavarotti e Ileana Cotrubas nei ruoli principali e ancora la regia di Zeffirelli. Fin dall'introduzione strumentale possiamo notare la strabordante vitalità del gesto di Kleiber. Nonostante ciò egli era precisissimo nella scansione dei tempi esecutivi, certosinamente concentrato sulla scrittura e sui suoi segni dinamici rispettati a dispetto della capacità di far "respirare" la frase musicale, diversamente da quel che concepivano un Karajan o un Celibidache.
5. Divertente e istruttivo il filmato in cui Vladimir Ashkenazy e Daniel Barenboim ancora ragazzi preparano fin dal camerino, in un teatro londinese, la loro interpretazione del Concerto per due pianoforti e orchestra K365 di Mozart. Divertente perché induce all'ottimismo vedere due giovani così bravi e sensibili in azione. Istruttivo perché ci fa conoscere il Dna originario di quelli che in futuro si dimostreranno due esecutori di riferimento: Daniel che fa l'anfitrione, completamente a suo agio oltre che nel dirigere l'orchestra dal pianoforte, comportandosi come un generoso e ironico fratello maggiore, con un buffetto sulla guancia e con qualche preliminare consiglio di bon ton rivolti al più goffo, imbranato Vladimir. Quest'ultimo scattoso, burbero, impacciato, come si potrebbe immaginare il giovane Beethoven, del quale Ashkenazy è considerato uno dei massimi interpreti. Ma anche per spogliare di tanta inutile retorica il "fatidico momento del concerto". I due ragazzi sono emozionati, ma giocano, si divertono. E, en passant, già suonano da fuoriclasse.
6. Si può pure criticare la qualità sonora di certe registrazioni, ma non c'è hi-fi che tenga di fronte alla cavata profonda, fascinosa, potente, del violino di David Oistrakh. Questa registrazione del 1963 all'Opera di Stato tedesca, con la Staatskapelle di Berlino diretta da Gennady Rozhdestvensky, nel prediletto Concerto in re maggiore di Piotr Ilich Ciaikovskij, ce ne restituisce per intero lo spessore, a onta di ogni sofisticato riproduttore dei nostri giorni. Nessuno dei violinisti contemporanei può farci venire in mente con tal forza, ascoltando il vibrato di Oistrakh, la similitudine espressiva fra il violino e la voce umana.
7.Claudio Arrau è stato sempre uno scrupoloso lettore dello spartito. Ma come in ogni grande artista, la sua razionalità a volte pare insidiata dal peso di una travolgente sensibilità: a esempio ha più volte raccontato di una sorta di "blocco" che lo assaliva dinanzi al pubblico, che superò anche grazie all'aiuto dello psicanalista. Il risultato, sorprendente, è che sempre nelle sue esecuzioni, accanto al cosciente scrupolo interpretativo, ha fatto capolino una vena decadente. Il pianista cileno per anni ci ha donato il "suo" Beethoven, a esempio il celeberrimo Quarto concerto per pianoforte e orchestra in questione, senza mai cadere nella routine, perché il suo oggettivismo, consapevolmente o meno, è frutto di una severa volontà ascetica, in continua tensione. In questa esibizione, avvenuta a Monaco nel 1976, dunque quando aveva la bella età di 73 anni, ha la spavalderia tecnica di un giovanetto, ma la profondità interpretativa di un patriarca. Accanto a lui sul podio, dulcis in fundo, Leonard Bernstein.
8.Claudio Abbado, a chi lo loda per il suo gesto direttoriale, traduzione visiva dell'evento musicale che ha pochi eguali, risponde con un certa insofferenza, tanto è preminente per lui lo studio dello spartito e la sua realizzazione. In questa Nona di Mahler, per molti versi il canto del cigno di tutta la civiltà della sinfonia, con l'orchestra che ha il nome del compositore boemo in una esibizione avvenuta a Santa Cecilia, Abbado ce ne dà la piena misura con i tempi mossi resi con vorticosa veemenza. Vengono in mente le parole che scrisse in proposito Alban Berg: "Questo movimento è l'espressione di un amore inaudito per questa terra, del desiderio di vivere in pace con la natura e di poterla godere fino in fondo, in tutta la sua profondità, prima che giunga la morte". E un "Adagio" finale che nella rarefazione delle ultime note, nella sublime e tragica atmofera creata dagli archi, riesce a darci il senso del commiato, del definitivo distacco dalla vita, come annotò il direttore d'orchestra Willem Mengelberg sulla sua partitura: "Qui l'anima di Mahler canta il suo addio". Infine si libra in aria l'ultimo accordo, l'estremo alito di vita e, dopo qualche secondo di religioso silenzio del pubblico, il "Grazie!" dell'implacabile italiota giunge quanto mai inopportuno.
9. Per il "Don Giovanni" di Mozart si ha solo l'imbarazzo della scelta. C'è la storica versione di Wilhelm Furtwängler diretta a Salisburgo nel 1954, con il protagonista più prorompente della storia del ruolo del titolo, ovvero Cesare Siepi (e un cast di comprimari del calibro di Otto Edelmann, Elisabeth Gruemmer, Anton Dermota, Lisa Della Casa e Walter Berry), che tanto ha influenzato Daniel Barenboim alla Scala nell'ultima serata di Sant'Ambrogio. Oppure, per chi vuole privilegiare gli aspetti visivi, la versione cinematografica di Joseph Losey, con la recitazione strepitosa di Ruggero Raimondi (e con José Van Dam, Edda Moser, Kiri Te Kanawa, Teresa Berganza, sotto la bacchetta di Lorin Maazel). Girato splendidamente nelle ville e nelle basiliche palladiane, è ispirato dall'epigrafe gramsciana: "Il vecchio muore, il nuovo non può nascere e in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati". L'ottica marxista di Losey ci consegna un Mozart quasi brechtiano, con Don Giovanni che, dopo aver stretto la mano al Commendatore, viene avvolto dalle fiamme d'una fucina operaia, quasi a simboleggiare l'affermazione di una nuova classe sociale. Ottimistico.
10. Dagli archivi del Festival di Salisburgo e della radiotelevisione austriaca, nel nome del "Cavaliere della Rosa" di Richard Strauss, la produzione più bella della storia dell'opera, ha per protagonisti Herbert von Karajan e, nel ruolo della Marescialla, Elisabeth Schwarzkopf. Allestimento scenico del 1960, per noi immortalato dal regista Paul Czinner, che riprese l'originale spettacolo teatrale, sincronizzando le registrazioni audio e video realizzate separatamente. Il risultato, un capolavoro: della Schwarzkopf rimangono indelebili la bellezza del timbro e la perfezione vocale, l'accentuata aristocraticità che illumina tutto il primo atto. Una di quelle identificazioni fra artista e personaggio destinate a segnare la storia dell'interpretazione. Come l'Octavian di Sena Jurinac, che così ben rappresenta con i suoi chiaroscuri vocali la timidezza della gioventù dinanzi al disvelarsi dell'amore. E poi i Wiener diretti da Karajan: non smettono mai di cantare, anche quando accompagnano la conversazione galante. Una classe che non troviamo più nei teatri d'oggi. Per fortuna c'è YouTube.
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