Imprenditrice californiana, scrittrice, graphic designer, Nancy Duarte è considerata la guru mondiale delle strategie per le presentazioni pubbliche. Un know how sempre più richiesto, tanto nella vita delle aziende quanto in quella dei politici. L'agenzia di cui è amministratore delegato, la Duarte Design, incentrata esclusivamente sulle presentazioni, è una delle più grandi realtà di design in Silicon Valley.
Da vent'anni Nancy confeziona presentazioni per aziende multinazionali come Hewlett Packard, Cisco, Twitter, ma anche di personaggi pubblici come Al Gore. Fornisce il servizio di persona oppure online, e si può dire che abbia influenzato la percezione di alcuni dei marchi più importanti al mondo. E' autrice dei due best sellers 'Slide: ology: L'arte e la scienza di creare delle ottime presentazioni' e 'Resonate: presentare le storie visive che trasformano il pubblico' .
Il suo ultimo libro è 'HBR Guide to Persuasive Presentations' una guida fatta per l'Harvard Business Review.
Per capire il suo modo di lavorare basta guardare il video del suo discorso 'The secret structure of great talks' apparso sul sito del celebre TED (Technology Entertainment Design).
Signora Duarte, quali sono le tecniche per fare un discorso 'perfetto'?
«I grandi presentatori sono capaci di connettersi col pubblico e rimuovere qualsiasi distrazione che ostacoli la comunicazione e il raggiungimento del loro obiettivo. Molti , invece, sono così focalizzati su ciò che vogliono dire che dimenticano di avere davanti un pubblico che ha delle specifiche esigenze. Un buon oratore deve investire un po' di tempo per studiare le caratteristiche del suo pubblico, per esempio intuire quello che si aspetta di sentire e capire quali parole usare, come parlare. E anche ipotizzare eventuali ostacoli che potrebbero comparire e bloccare la diffusione della sua idea».
Quali ostacoli, ad esempio?
«Ci sono molti elementi che possono creare una barriera tra il pubblico e il presentatore. Se chi parla non si concentra abbastanza sul destinatario della sua comunicazione e sui suoi desideri, bisogni e stile di vita, potrebbe prendere involontariamente le distanze dalla sua platea. Bisogna trovare un linguaggio comune e rapportarsi in maniera spontanea e diretta. Un modo per evitare che il pubblico perda interesse o faccia resistenza ad accogliere le tue parole è quello di pensare proprio alla natura delle possibili resistenze. Sforzarsi di pensare a diversi punti di vista, anche quelli apparentemente assurdi. Ogni punto di vista, per quanto possa sembrare ridicolo, potrebbe essere proprio quello di uno degli spettatori che è venuto apposta a vederti e sentirti parlare.Potresti non condividere affatto tale punto di vista ma è importante che l'ascoltatore sappia che tu l'hai considerato. Dimostra che hai approfondito il tuo lavoro fino in fondo».
Quindi, prima di tutto entrare in sintonia con il pubblico. Poi?
«Dopo due anni passati a studiare letteratura e discorsi celebri ho scoperto una struttura che i grandi comunicatori hanno usato per secoli: la storia nella storia. La storia 'quadro' e quella 'interna' aggiungono significato l'una all'altra e solitamente una è importante per il risultato dell'altra. La ragione per cui amiamo così tanto queste storie è dovuta all'alternarsi di tensione e rilascio, conflitto e risoluzione. Si può ottenere la medesima tensione giocando a muovere avanti e indietro il filo del discorso, alternandolo tra ciò che è la realtà adesso e ciò che potrebbe diventare. Attraverso il contrasto continuo tra ciò che è e ciò che potrebbe essere, il pubblico comincia a vedere una realtà molto più interessante di quella in cui si trova attualmente. Riuscire a modificare l'atteggiamento, e di conseguenza l'azione, del pubblico è difficile. Usare il contrasto è il modo migliore per aiutarlo a vedere la tua idea più chiaramente».
Questa struttura ideale si può applicare a un discorso scritto come un articolo di giornale, un editoriale, un opinione?
«Assolutamente sì. Questo è un modello efficace e può essere riprodotto anche nel marketing come nelle conversazioni complicate. Comunicare in questo modo garantisce il cambio di percezione da parte di chi ascolta». Qual è l'obiettivo di un grande discorso? «Un grande discorso produce un cambiamento nel pubblico, in un modo o nell'altro. Lo fa sentire migliore, gli conferisce nuove conoscenze e nuovi strumenti e lo spinge all'azione. Le migliori presentazioni producono esattamente questo cambiamento, spingono il pubblico a migliorarsi»
Nella sua lezione al TED ha parlato di due discorsi celebri: quello di Steve Jobs del 2007 («Stay hungry, stay foolish») e quello di Martin Luther King («I have a dream») del 1963. Cos'hanno di speciale?
«Sono i miei discorsi preferiti in assoluto, e sono di due giganteschi comunicatori. Martin Luther King fu un attivista e Steve Jobs un businessman eppure ho scoperto che hanno usato fondamentalmente la stessa struttura persuasiva. Furono entrambi appassionati e scrupolosamente attenti al modo con cui comunicavano col pubblico".
Lei dice addirittura che bisogna provocare al pubblico 'reazioni fisiche'. Che cosa significa?
«Quando qualcuno ci racconta una bella storia il corpo reagisce involontariamente. Le pupille si dilatano, sentiamo i brividi lungo la schiena, ci protendiamo in avanti per ascoltare meglio il racconto. Ma quando è stata l'ultima volta che abbiamo provato delle sensazioni durante un discorso? Per questa ragione i presentatori spesso sono reticenti ad allegare materiale durante i loro discorsi, così da avere la possibilità di stupire il pubblico. La cosa migliore che si può sperare di ottenere dal pubblico è un riscontro di tipo emozionale. E' così, ad esempio, che i consumatori si legano a un brand preferendolo a un altro».
Quanto conta il 'linguaggio del corpo' dell'oratore, invece?
«Gli esseri umani sono programmati per 'squadrare' velocemente le persone col cosiddetto colpo d'occhio, fa parte del nostro istinto di sopravvivenza. L'osservazione dei movimenti del corpo di una persona fornisce informazioni importanti che consentono di capire se sta dicendo la verità, se ci possiamo fidare. I movimenti di chi parla sul palco sono sotto gli occhi del pubblico e diventano importanti veicoli della sua credibilità. La cosa migliore da fare quando si parla in pubblico, è quella di avere una persona che registri un video e poi guardare oggettivamente come ci si è mossi. Dimostrare di avere sicurezza sul palco è più difficile di quanto sembra; fare ampi gesti, con le braccia per esempio, fa sentire a disagio l'oratore ma funziona molto bene durante la presentazione».
Esiste un dress-code per parlare in pubblico?
«E' importante vestirsi in maniera coerente con il tipo di pubblico che abbiamo davanti. Guy Kawasaki (l'ex 'evangelista' capo di Apple, ndr) dice che bisognerebbe 'disporsi per il pareggio'. In altre parole, vestiti come il tuo pubblico, più o meno. Se ti vestirai meglio di loro, penseranno che ti senti più importante, se sceglierai un look dimesso, penseranno che non ti importa nulla di sloro. Quindi vestiti come si veste il tuo pubblico».
Quanto deve durare un discorso?
«Breve, deve essere molto breve. Se hai un'ora a disposizione usa 40 minuti; una maggiore sintesi risulta difficile a chi non è allenato. La forza del Ted ad esempio sta nella durata degli "speech": solo 18 minuti, dietro i quali si nasconde un poderoso sforzo comunicativo volto a esprimere un punto di vista in poco tempo. Oggi viviamo nella società dell'impazienza, del tutto subito. Non mi è mai capitato di sentire qualcuno dire: 'speriamo che la presentazione sia lunga!'. Quindi tagliare, accorciare e riascoltare per rendere il tutto più asciutto possibile».
Chi sono i migliori speaker oggi?
«Nel business, Sheryl Sandberg, di Facebook è fantastica. Obama ha fatto dei bellissimi e validi discorsi. Ma non suonano credibili se le promesse che contengono non si realizzano»..
Qui da noi Berlusconi usava raccontare molte barzellette e aveva sempre un tono scherzoso con il suo pubblico, anche con altri capi di Stato. Mario Monti invece usa un approccio professionale, freddo, mai popolare. Quale dei due sistemi è migliore?
«Prima di tutto ogni presentatore ha bisogno di essere coerente con il suo stile naturale, deve tirare fuori la sua personalità in maniera genuina. In generale però le persone non dovrebbero mai apparire troppo fredde, ma neanche scherzare così tanto da apparire inadeguate. Bisogna trovare un bilanciamento».
Ma i comunicatori devono credere in quello che dicono o attivare una calcolata tecnica di persuasione?
«Entrambe le cose. Puoi avere anche una grande idea che ti appassiona visceralmente, ma se non sei in grado di articolarla in un discorso che venga recepito, la tua grande idea non andrà da nessuna parte».
Lei ha realizzato alcune presentazioni per il Chirp, il team esecutivo di Twitter, 'Cambiare il mondo in 140 caratteri o meno'. I twit, così brevi, hanno lo stesso potere di persuasione?
«Twitter è un ottimo strumento per diffondere e amplificare il tuo messaggio. Puoi costruire consenso, creare un'ondata e aumentare i seguaci della tua idea. Ma non è un buon modo per esprimere un concetto e fare chiarezza sul tuo punto di vista per convincere gli altri. Le presentazioni sono più adatte a questo scopo».