Un foglio di carta può diventare l'essenza della vita di una donna, di un uomo, di un cittadino, della sua famiglia, dei suoi bambini? Un foglio di carta può essere così vitale nel corpo di una persona, al pari dell'acqua e del cibo che l'alimentano, del cuore e della mente che la guidano? Può un impasto pressato ed essiccato di cellulosa, amido, gelatina, colofonia, caolino, allume, carbonati e solfati (questo è la carta), impregnare il nostro corpo al punto da esserne indispensabile come il sangue?
[[ge:espresso:archivio:1.170266:article:https://espresso.repubblica.it/archivio/2014/06/20/news/carta-bianca-guarda-il-film-1.170266]]Sono queste le domande che si rincorrono dopo aver visto «Carta bianca», il film di Andrés Arce Maldonado che l'Espresso offre in anteprima ai suoi abbonati sabato 21 e domenica 22 giugno (sarà nelle sale dal 26 giugno). E per almeno quattro milioni e mezzo di «italiani non italiani» la risposta è sì: senza quel pezzo di carta, il permesso di soggiorno, tutti loro sarebbero fantasmi senza possibilità alcuna di abitare, studiare, lavorare, curarsi, viaggiare. Senza quel pezzo di carta sarebbero, insomma, socialmente morti. E la morte sociale, quando si perdono gli accessi a una casa, al lavoro, alle cure, è la condizione che spesso accompagna inesorabilmente alla morte fisica.
[[ge:rep-locali:espresso:285498892]]Maldonado, regista nato a Bogotà nel 1972 ma, come si usa dire, romano di adozione da una trentina d'anni, appartiene a quella generazione che a fatica sta costruendo la giovane Italia: il nuovo Paese multiculturale di cui la lingua italiana, la storia, la letteratura, la pittura, la musica italiane sono l'ossatura strutturale. Ma non più esclusiva.
Essere cittadini italiani o dell'Unione Europea dalla nascita non aiuta infatti a capire quanto sia totalizzante quel pezzo di carta. In suo nome i governi hanno organizzato e organizzano deportazioni di massa. In suo nome abbiamo consegnato inermi rifugiati nelle mani dei regimi da cui fuggivano. In suo nome abbiamo disseminato l'Italia, così come ha fatto l'Europa, di centri di detenzione amministrativa dove qualunque padre o madre che ha perso il lavoro può essere imprigionato fino a un anno e mezzo senza alcun processo, come se essere disoccupati fosse peggio di un crimine. E in suo nome, la maggioranza degli elettori europei ha deciso che tutto questo fosse legale, quindi giusto.
Ma se non ci vivi dentro, non puoi comprendere quanto sia sottile e drammatico il ricatto con il quale, noi italiani dalla nascita, abbiamo sottomesso il dieci per cento della forza lavoro del Paese: la stessa che paga le tasse e produce il dodici per cento del nostro Prodotto interno lordo. Se non sei nato straniero, può perfino sfuggire quanto sia redditizia la filiera del permesso di soggiorno: dai 270 euro in tasse per il rinnovo ogni due anni ai 5 mila euro incassati da molti imprenditori, in cambio di un finto contratto a tempo indeterminato, condizione essenziale per ottenere altri due anni di tranquillità.
Il film di Andrés Arce Maldonado non giudica. Nella sua cruda trama, racconta come quel pezzo di carta possa condizionare la vita di italiani e non italiani. E anche la loro morte. «Carta bianca» ricorda per intensità due lavori straordinari che, forse proprio per i temi trattati, non hanno mai trovato ospitalità nelle sale: «Stato di paura», di Roberto Burchielli e Mauro Parissone (2007) e «La straniera» di Marco Turco (2009). «Il telaio produttivo e artistico del film assomiglia un po' all’Italia che vorremmo», racconta Maldonado, «dove ognuno offre agli altri il meglio delle proprie differenze, dove le persone (italiane e non) lavorano assieme per creare valore e ricchezza, cultura e solidarietà. Una metafora dell’immigrazione come formidabile strumento per arricchire e svecchiare la società italiana».
Il film è dedicato a Sahid Belamel, un ragazzo e una storia finiti in prima pagina nel 2010 su «La nuova Ferrara» con un necrologio che fece discutere: «Ci ha lasciato nell'indifferenza generale dei passanti, la mattina di domenica 14 febbraio, festa di San Valentino. Abbandonato in agonia in via Colombo, è morto di freddo».
Cultura
20 giugno, 2014Sabatro 21 e domenica 22 giugno in visione per i lettori dell'Espresso + il film di Andrés Arce Maldonado. Tre storie che si incrociano a Roma: quella del giovane tunisino Kamal, della badante moldava Vania e dell'imprenditrice romana Lucrezia
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