Dagli armeni alla Shoah, il Novecento secolo dei genocidi

Un secolo fa gli armeni. E settant'anni fa gli ebrei. Due tragedie unite in un libro in uscita, che mostra come il secolo scorso sia stato percorso dall'idea malsana della pulizia etnica

Quando si parla di genocidi, deportazioni di massa, uccisioni su scala industriale; quando ai nostri occhi di spettatori postumi si presentano immagini di uomini, donne, bambine e bambini (tanti) condotti verso la morte (da pochi), è difficile reprimere l’impulso di chiedere: «Ma perché non si sono ribellati?». Di fronte a una evidente superiorità numerica delle vittime rispetto ai loro aguzzini non è facile capire la presunta rassegnazione o peggio passività di chi sta per essere assassinato. Nasce da questa nostra incredulità, da questa nostra incapacità di immaginare l’inimmaginabile l’idea che le vittime avessero rinunciato alla diginità e all’onore.

La domanda: «Perché non vi siete ribellati?» risuonò nell’aula del tribunale di Gerusalemme durante il processo di Adolf Eichmann, rivolta dal pubblico ministero Gideon Hausner ai testimoni supersiti della Shoah. Ne è nato un libro polemico, non privo di rancore: “La banalità del male” di Hannah Arendt.

[[ge:rep-locali:espresso:285142905]]In concomitanza con la Giornata della memoria (il 27 gennaio di settant’anni fa Auschwitz fu liberata dall’Armata rossa) l’editore Giuntina ha pubblicato un piccolo e prezioso libro. Non parla della Shoah, o almeno non direttamente. Si intitola “Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno” (a cura di Fulvio Cortese e Francesco Berti) con la prefazione di Antonia Arslan. A pagina 33 del volume si trova una frase che, sebbene scritta 45 anni prima del processo Eichmann, letta oggi, clamorosamente rovescia la questione posta da Hausner: «Alla domanda del perché non si ribellarono è facile rispondere». L’autore è Lewis Einstein, diplomatico americano, esperto della Turchia, morto nel 1967 all’età di novant’anni. E il testo, uno dei quattro del libro, lo ha composto nel 1917, due anni dopo il massacro che costò la vita a un milione di esseri umani, colpevoli solo di essere nati armeni.

Einstein spiega le ragioni per cui le vittime non si ribellarono così: «L’intero Paese era sotto le armi e con la legge marziale, la resistenza organizzata diventava impossibile». Esattamente la ragione per cui solo pochi ebrei, qualche decennio dopo, si ribellarono ai nazisti. Ma il diplomatico va oltre: racconta come a «Izmit (…) il vescovo rivestito dei suoi più bei paramenti sacerdotali, guidò il suo gregge, cantando l’inno che si dicesse cantassero i figli d’Israele quando fuggirono dall’Egitto». La fuga dall’Egitto era una marcia verso la libertà. Qui invece l’autore rovescia il testo e la tradizione biblica e aggiunge: «E così partirono, quasi sempre verso la morte». In altre parole: nessun carnefice è in grado di togliere la dignità alla vittima, se la vittima della sua dignità rimane cosciente.

Gli armeni furono sterminati in due ondate successive. La prima nel 1893-1894, ad opera del sultano Abdul Hamid II. L’accusa rivolta loro era quella di fomentare i disordini e di lavorare per la distruzione dell’impero ottomano. Furono ammazzate 200 mila persone. La seconda ondata, quella di un vero genocidio, nel senso che un’intera cultura venne sradicata assieme ai suoi portatori e ai suoi segni materiali (case, chiese, cimiteri) sugli altopiani dell’Anatolia, risale al 1915. La prima guerra mondiale era in corso.

La Turchia, governata da nazionalisti che in apparenza volevano modernizzare il paese, era nemica della Russia e nelle file delle armate dello zar c’erano molti soldati armeni. A Costantinopoli degli armeni cittadini turchi non ci si fidava. Occorreva quindi sbarazzarsi di loro. La ricostruzione della storia e del contesto in cui il massacro avvenne è, nel libro, opera di Raphael Lemkin, ebreo polacco, giurista, inventore, nel 1944, della parola genocidio scomparso nel 1959 a New York (ai suoi funerali parteciparono appena sette persone). I suoi studi su cosa significhi l’assassinio e la cancellazione di un intero popolo risalgono ai primi anni Venti, quando lesse resoconti del processo intentato a Berlino a un giovane armeno imputato di aver ucciso Mehmet Talaat, ex ministro del governo turco, considerato il principale responabile della sorte subita dai suoi confratelli.

Le sofferenze dagli armeni - per altro raccontate in forma romanzata da Antonia Arslan (l’autrice, appunto della prefazione a questo libro) in “La masseria delle allodole” (da cui i fratelli Taviani trassero l’omonimo film) - in questo libro sono narrate da Aaron Aharonson, sionista, agronomo talentuoso e uomo che in Palestina si mise contro i turchi al servizio dei britannici. Nel suo testo racconta di «treni stipati con 60-80 armeni in carri merci». E poi, con un tocco degno di un raffinato scrittore presenta il caso di un uomo sui 45 anni, elegante, che viene catturato a Costantinopoli assieme a un bambino di tre anni e portato al commissariato di polizia.

Gli armeni non finirono nelle camere a gas, a differenza degli ebrei. Trovarono la morte durante le lunghe marce dalle loro città e villaggi e fino al deserto. Erano sottopposti a ogni possibile angheria; tra stupri delle donne, uccisioni arbitrarie, decessi per stenti, a causa di fame o per mancanza d’acqua. Uno sterminio più artigianale quindi rispetto a quello degli ebrei. Ma uno sterminio che non sfuggì, ecco un’altra coincidenza, agli occhi dei tedeschi, alleati dei turchi (ne parla nel libro il russo Andre Mandelstam), tanto che servì a Hitler da esempio su come il mondo sia in grado di tollerare e dimenticare tutto.

Dice Raz Segal, 39enne storico dell’Università di Tel Aviv che da anni studia i paralleli e le differenze tra diversi genocidi: «Lo sterminio degli armeni segna il vero inizio del ventesimo secolo. È la pulizia etnica in nome della purezza dello Stato Nazione che con la violenza sradica qualunque diversità. La stessa idea i nazisti l’hanno declinata in un senso più ampio e ancora più radicale. Ma con la Shoah e la catastrofe degli ebrei quell’idea purtroppo non è morta in Europa. Basti pensare ai Balcani e alla strage di Srebrenica». Di quella strage, oltre 8mila musulmani inermi, ammazzati dai serbi, quest’anno cade il ventesimo anniversario. Un altro anniversario da ricordare, in questa giornata della memoria.

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