Pubblicità

Così Putin controlla internet in Russia

Il presidente del Cremlino usa contro la Rete gli stessi sistemi con cui il Kgb spiava i dissidenti. E così uno strumento di libertà è diventato un mezzo di ipercontrollo. Lo spiega un libro

Per buona parte della sua storia, scrivono Andrei Soldatov e Irina Borogan in “The Red Web” (Public Affairs, pp. 384), l’Unione Sovietica è stata una «prigione per l’informazione». Una cella le cui chiavi erano tenute dai servizi segreti, il Kgb, e forgiate da team di scienziati al servizio di Josif Stalin nelle “sharaska”, i laboratori di ricerca in cui gli ingegneri delle comunicazioni studiavano modi per dare al dittatore tecnologie di riconoscimento vocale, di intercettazione dei nemici - e di protezione per i suoi messaggi.

Ai tecnici veniva impartita una educazione rigida, priva di stimoli alla riflessione umanistica, etica, in un ambiente in cui ogni obiezione diventa dissidenza, motivo di sospetto e punizione. Retaggi che ancora oggi i cittadini russi pagano in termini di controllo, e di accettazione del sistema oppressivo di sorveglianza e intimidazione di massa sviluppato da Vladimir Putin nei suoi tre lustri al potere. A scardinare la cella era stato il clima di riforma degli anni Novanta, il tentativo di inserire Mosca all’interno della logica delle democrazie occidentali. A richiuderla, e a doppia mandata, è la reazione del Cremlino alla minaccia posta da Internet ai suoi progetti autoritari.

Soldatov e Borogan ne ripercorrono l’intreccio con la chiarezza e il dettaglio di chi ha speso anni a cercare di orientarsi tra i segreti, l’opacità e le minacce del potere russo, in particolare di quello - incontrollato - della sua intelligence, l’Fsb. Di cui si parla meno della controparte statunitense, la National Security Agency i cui abusi sono stati rivelati da Edward Snowden, ma che non per questo dovrebbe meno preoccupare i cittadini di tutto il mondo. Anche se le differenze permangono. «La prima», spiega Soldatov a “l’Espresso”, «è l’estensione»: più ridotta perché a usare servizi digitali russi sono principalmente i russi, mentre tutti usiamo quelli Usa, da Google a Facebook; la seconda «sta nel rapporto tra aziende delle telecomunicazioni e del settore Internet e servizi segreti». In Occidente, spiega Soldatov, «sono i provider a intercettare le comunicazioni; in Russia, ci pensano i servizi, e le compagnie consentono loro di fare ciò che vogliono nelle loro stanze».

pub1-png
È quanto volevano ottenere gli Stati Uniti con il programma “Prism” esposto nel Datagate: avere accesso diretto ai server dei colossi privati. In Russia, grazie a “Sorm” - non a caso definito un “Prism agli steroidi” - è la norma da sempre: basta aggiornare la tecnologia nata in epoca sovietica per le comunicazioni telefoniche e giunta oggi alla terza incarnazione per monitorare ogni attività on line, mail e social media inclusi.

Per questo la storia raccontata dagli autori nel volume appena pubblicato in lingua inglese - e che Soldatov spera possa uscire pure in russo, anche se «al momento non è in programma», è prima di tutto la cronaca di come una Rete libera e portatrice di speranze democratiche possa diventare insieme difficilmente controllabile, mantenendo sacche importanti di resistenza politica, e altamente controllata. Una guerriglia fatta non solo delle “liste nere” di siti da censurare - con le usuali scuse di proteggere i più giovani da «contenuti offensivi», tutelare il diritto d’autore, eliminare «l’estremismo» - e infrastrutture di sorveglianza, ma anche e soprattutto di intimidazioni, arresti, attacchi informatici, “trolling” e propaganda di Stato. Il tutto senza un reale controllo del potere giudiziario su quello esecutivo.

Il sistema è lungi dall’essere perfetto, ed è meno sofisticato, scrivono gli autori, rispetto a quello cinese. Ma gli obiettivi sono simili. Impedire rivolte in stile “primavera araba” è la priorità: non a caso l’intensificarsi della repressione on line ha coinciso con le proteste guidate da Alexei Navalny a cavallo tra il 2011 e il 2012. Bisogna poi assicurare che le voci di dissenso vengano silenziate, specie quando di mezzo ci sono questioni geopolitiche strategiche come l’annessione della Crimea.

Oggi la Russia si è spinta fino a chiedere, con una legge entrata in vigore il primo settembre, che i dati prodotti in suolo russo siano conservati in server all’interno del Paese. Una scelta che dovrebbe mettere in guardia noi tutti, dice Soldatov, perché «dov’è il confine tra un utente russo e un utente con un nome russo, ma che vive in Italia? Come faranno le aziende a ubbidire e garantire una reale separazione tra dati di utenti occidentali e russi? E che ne è dei dati di chi va in vacanza o per lavoro in Russia?». L’esempio sono le migliaia di visitatori alle Olimpiadi di Sochi, nel 2014: i tanti dati personali obbligatoriamente chiesti dalle autorità russe potrebbero essere usati contro di loro per un tempo indefinito.

Se si sommano le recenti minacce di chiusura a Facebook, Twitter e Google in caso di mancato rispetto degli ordini del Roskomnadzor, l’autorità federale deputata al controllo delle telecomunicazioni, si comprende che la terra in cui oggi trova asilo Snowden è a rischio di diventare un regime a tutti gli effetti.

Un progetto contro cui proprio l’ex contractor Nsa avrebbe, secondo gli autori, dovuto fare di più. «La nostra critica», riassume Soldatov, «è di avere cercato di fingere fin dall’inizio di trovarsi non in Russia ma in una sorta di limbo», senza dire una parola per opporsi allo sfruttamento delle sue rivelazioni da parte del Cremlino, il loro essere elevate a pretesto per la censura (chiamata all’occorrenza “sovranità digitale”).

Ancora, Snowden «dal primo giorno in Russia non è stato trasparente sul suo rapporto con le autorità di Mosca», dice Soldatov, che tuttavia nega che la fonte dello scandalo Nsa abbia “aiutato” consapevolmente i censori russi. Resta, tra le conclusioni, una domanda: che fare per fermare la tendenza liberticida? L’idea, espressa nel finale del libro, è che l’apparato di controllo russo è ancora inadatto a tenere a bada l’esplosione di contenuti della Rete sociale. Ma non è certo una soluzione. Anzi, per il governo di Mosca è un motivo per cui stringere ancora di più la morsa.

L'edicola

La pace al ribasso può segnare la fine dell'Europa

Esclusa dai negoziati, per contare deve essere davvero un’Unione di Stati con una sola voce

Pubblicità