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Amarsi, che paura. Gli eterni dilemmi della coppia visti da Diego De Silva

Lui lascia la moglie. Lei non lascia il marito. Si desiderano, ma soffrono. E' la trama di “Terapia di coppia per amanti”, il nuovo romanzo dello scrittore napoletano, di cui qui vi presentiamo un brano

Lo so che appena usciremo di qui Viviana vorrà commentare tutta la seduta minuto per minuto. Non faremo in tempo ad arrivare all’ascensore che già sarà partita l’analisi dell’analisi, e la prospettiva mi abbatte come una telefonata del commercialista. Vivi ama parlare, e soprattutto riparlare. Non c’è frase che ti abbia sentito dire, anche due o tre anni prima, che non sia capace di ripeterti parola per parola, battendo cassa sulle tue responsabilità. Figurarsi adesso che è fresca fresca. Vorrà ripercorrere ogni passaggio, ogni pausa, ogni silenzio della seduta. Reciterà ogni perla di saggezza di quel chitarrista frustrato di Malavolta, la riadatterà e la sistemerà in una presunta geometria di cognizioni che la convincerà di aver capito chissà cosa che prima non sapeva.

Mi chiederà se penso che abbiamo fatto bene a venire, e sarà ovviamente una domanda retorica, perché se provassi a rispondere di no, mi accuserebbe di boicottaggio precoce. Mi dirà che forse è solo un’impressione ma le pare di sentirsi già meglio, di vederci più chiaramente, di non aver voglia di darmi addosso per partito preso. Mi dirà che ha molto apprezzato la mia ultima domanda, e leggerà in quella (ma soprattutto nella mia successiva scena muta), la prova di una mia spontanea adesione alla terapia, quasi che interrogandola così bruscamente sulla nostra infelicità mi fossi concesso una franchezza di cui non sarei stato capace fuori da quel patto di ammissioni reciproche; senza capire che ho fatto esattamente il contrario. Che rivolgendole una domanda così diretta le ho chiesto di parlare con me, e non davanti a un altro. Che se invece di darmi quella risposta cretina (nella forma, e dunque anche nella sostanza) si fosse dichiarata infelice (magari aggiungendo di averlo scoperto solo mentre il sì le usciva di bocca), le avrei detto Andiamo via di qui, Vivi. Andiamocene e facciamo da noi. Dimmi che ti rendo infelice, dimmi questo e piantiamolo davvero, un bel casino.
La copertina del romanzo

E invece no, lei ha dovuto rispondere: «Non sappiamo cosa essere», il tipo di frase che ti fa sembrare intelligente e basta. Allora vaffanculo tu e chi ti ha fatto una domanda sincera, per una volta. Non sono qui per fare bella figura davanti a un estraneo col pulloverino blu notte, avrei voluto dirle. Non me ne frega niente di cosa pensa questo qua. Che tra l’altro voleva fare il chitarrista blues, te lo dico io, e non c’è riuscito. E non ho la minima speranza che possa esserci utile in qualche modo. Perché nessuno può aiutarci a prendere la decisione che non sappiamo prendere. Nessuno. Neanche noi due, pensa un po’. Neanche io che sarei il destinatario diretto della tua scelta, posso aiutarti a scegliere. E neanche tu puoi niente con me.

Ogni volta che tocchiamo l’argomento, cioè il futuro (perché è quello il problema, infatti ci giriamo intorno), finiamo per litigare e per impantanarci, e lo sai perché? Perché nessuno di noi accetta che l’altro metta bocca in una scelta che non è condivisibile. Io non posso chiederti di lasciare tuo marito e tu non puoi chiedermi di lasciare mia moglie, perché sarebbe la domanda più sbagliata che potremmo farci. È una decisione che spetta separatamente a ognuno di noi, e non è vero che si decide insieme, al massimo ci s’incontra. Potrei venire da te a dirti: «Eccomi, ho lasciato mia moglie». È questo che vorresti che facessi. Ed è questo che non faccio. Ma davanti a un fatto concludente qualcosa dovrebbe pur succedere. Dovremmo prendere o lasciare. Mentre tu, che come me non decidi, e annaspi in quella terra di mezzo dove la felicità e il dolore si scambiano il posto di continuo (però pensi di saperla più lunga di me, di essere più sincera con te stessa e tutte queste chiacchiere con cui ti piace montarti la testa), t’illudi che venendo qui a fare questa specie di talk show dei sentimenti complicati riusciremo a concordare a tavolino il cambiamento delle nostre vite. Ma non è così che andrà, mettitelo in testa. Nessuno sa come andrà.

Pensa piuttosto, vorrei dirle, che se mi hai portato qui perché credi che da soli non riusciamo a parlarci, vuol di- re che abbiamo già fallito. E se così fosse, allora dovresti spiegarmi com’è che non riusciamo a stare vicini senza toccarci. Com’è che non c’è ferita che basti a tenerci lontani l’uno dall’altra. Perché lo so anch’io qual è il nostro problema, che ti credi. Altro che non sapere cosa essere, queste forme vuote che riempiono la bocca. Come se il punto, qui, fosse azzeccare la definizione, e non decidere se restare insieme o lasciarsi. O magari - ma se lo dicessi mi accuseresti di svicolare - domandarsi se il bivio davanti a cui ci troviamo in realtà non esista, ma sia stato messo lì apposta per farci fessi, visto che poi questa scadenza che un bel giorno piomba su coppie come la nostra non è che l’hanno pubblicata sulla «Gazzetta ufficiale».

Eccolo qui, l’enorme dilemma. Hai capito che scoperta. E non ci vuole un chitarrista mancato per arrivare a una conclusione, anzi a un principio, così ovvio.

Oh, lo so cosa stai per dirmi. Se non facciamo quel passo è perché ne abbiamo paura. Perché ci spaventa a morte l’idea di prenderci la responsabilità di una scelta che rivolterebbe le vite di altre persone, col rischio di fare a pezzi anche le nostre. E sai che ti dico? Hai ragione. Abbiamo paura. Io, almeno, ho paura. Sì, ho paura, e ho mille ragioni per averne. E mi sono anche stancato di non difendere la paura da tutti gli attacchi che riceve quotidianamente dal primo deficiente che si alza in piedi e si sente in diritto di rovinarle la reputazione. Ma me lo spiegate per quale ragione uno che prova il sentimento della paura dovrebbe sentirsi in colpa? È forse un dovere avere coraggio? Quelli che stanno sempre a puntare il dito contro le persone impaurite dalla vita e dalle scelte, sono tutti cuor di leone? Tutti protagonisti delle loro storie, tutti giocatori d’azzardo che hanno rischiato e vinto? Ma fatemi lo stracazzo di piacere.

Sapete una cosa? Io non ho mai conosciuto una persona coraggiosa (e qualcuna l’ho conosciuta) che abbia mai accusato qualcun altro di avere paura. E con questo mi pare di aver detto abbastanza.

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