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Cultura
marzo, 2015

Con l'Espresso 120 anni di storia del cinema

Dai fratelli Lumière alla svolta digitale: tutte le avventure della “settima arte” in una serie di Dvd in edicola con il nostro settimanale.  Un viaggio appassionante tra dive immortali e registi originali. Tra generi diversi. E linguaggi da ogni angolo del pianeta

Ho visto cose che voi umani non potete neppure immaginare... La frase pronunciata da Rutger Hauer in “Blade Runner” (1982) è una di quelle che hanno fatto la storia del cinema, entrando nell’immaginario collettivo e nel linguaggio comune. Perché la storia della settima arte (o “l’arte delle arti”, secondo la definizione di Bernardo Bertolucci) è intrinsecamente legata a quella dell’uomo. Per alcuni storici le prime forme di cinema risalgono addirittura al mito della caverna di Platone, alle ombre cinesi o alla lanterna magica. Ben prima, dunque, dell’intuizione dei fratelli Lumière che, sul finire dell’Ottocento, riuscirono a realizzare il sogno di riprodurre immagini in movimento. Agli ingegnosi fotografi di Lione va ascritto il merito di avere “inventato” il cinema facendo passare nell’arco di un secondo 18 fotogrammi di pellicola davanti a un fascio di luce. L’invenzione fu così potente da provocare eccitazione e panico nel caffè di Boulevard des Capucines a Parigi dove venne realizzata la prima proiezione: l’arrivo di un treno nella stazione ferroviaria di La Ciotat. Era il 28 dicembre 1895 e gli spettatori uscirono precipitosamente temendo che il treno stesse per piombare nel locale.

QUI IL PIANO DELL'OPERA

Da quel momento sono trascorsi quasi 120 anni e da allora la settima arte è entrata nelle vite di tutti. In oltre un secolo il cinema ha interpretato la realtà, l’ha anticipata, ci ha fatto viaggiare, sognare, emozionare, riflettere. Ora “l’Espresso” celebra questi 120 anni con le “Lezioni di Cinema”, serie di 20 Dvd che attraversa tutta la storia e le vicende della cinematografia mondiale.

A partire dalla grande epoca del cinema muto che, in realtà, muto non fu mai visto che ogni proiezione veniva accompagnata dalla musica eseguita in sala da un pianista o da un’orchestra. Pur muto, il cinema seppe parlare a intere generazioni di spettatori, ottenendo un successo enorme in ogni angolo del pianeta. Sin dall’inizio il rapporto tra arte cinematografica e tecnologia si è rivelato strettissimo: qualcosa che oggi, all’epoca del digitale e degli effetti 3D, ci sembra scontato. Ma in quegli anni pionieristici ogni novità, realizzata a volte accidentalmente, era in grado di causare stupore e turbamento. Tanto da regalare fama non solo agli attori ma anche a chi realizzava i primi “effetti speciali” (il montaggio era considerato tra questi) come il leggendario regista-illusionista francese Georges Méliès, l’autore di “Viaggio nella Luna” (1902), il cui personaggio ha ispirato Martin Scorsese per “Hugo Cabret” del 2011.

In Italia il cinema muto regalò anche il kolossal “Cabiria” (1914), girato a Torino da Giovanni Pastrone e firmato
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dal “vate” Gabriele D’Annunzio che in realtà si limitò a inventare i nomi dei personaggi, tra cui il celebre Maciste, e a scrivere le didascalie. “Cabiria” fu la prima megaproduzione per l’investimento imponente (un milione di lire, contro le cinquantamila di media per una pellicola dell’epoca) e il numero di comparse utilizzate, oltre ventimila. A cambiare le carte in tavola e il linguaggio narrativo fu il sonoro, introdotto dal 1927 con “Il cantante di jazz”.

A rimanere immutato fu l’impatto emotivo, se è vero che le prime stelle del cinema divennero tali già ai tempi del muto: Gloria Swanson, Charlie Chaplin, Rodolfo Valentino, Buster Keaton. La potenza delle immagini in movimento venne compresa dai regimi totalitari: il comunismo, il nazismo e il fascismo in Italia utilizzarono il cinema come strumento di propaganda. Mentre, dall’altra parte dell’Oceano, la settima arte diventava un’industria in grado di dare lavoro a migliaia di persone. È in quegli anni che nasce lo star system e Hollywood diventa la nuova Babilonia, terra promessa di aspiranti attori e registi: dove fama, ricchezza e notorietà vanno di pari passo con vizi e perversioni che, se scoperti, interrompono di colpo la scalata verso il cielo. E il cinema si fa specchio della realtà, a volte deformante, a volte illusorio, spesso veritiero.

Come nel Dopoguerra, quando nell’Europa devastata dalle macerie del conflitto emerge il Neorealismo. È l’Italia a raccontare in modo nuovo cosa è accaduto durante la Seconda guerra mondiale e come sta cambiando la società con Luchino Visconti (“Ossessione”), Roberto Rossellini (“Roma città aperta”), Vittorio De Sica (“Ladri di biciclette”), Giuseppe De Santis (“Riso amaro”). Vengono alla ribalta registi visionari come Michelangelo Antonioni e Federico Fellini. E si afferma, tra la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta, la commedia all’italiana: che dietro la patina dell’ironia, introduce un’amara critica sociale ai costumi dell’epoca.

Ma c’è anche un cinema popolare che riscuote successo. Il western di Sergio Leone, che tanto ha ispirato Quentin Tarantino. Non è solo l’Italia a far emergere linguaggi nuovi. Come non ricordare il fascino della Nouvelle Vague in Francia con François Truffaut (“I quattrocento colpi”), Jean-Luc Godard (“Fino all’ultimo respiro”) e Claude Chabrol (“I cugini”)? E le cinematografie dall’estremo Oriente, con il Giappone in prima linea, fino ai paesi arabi e africani. L’America rimane un’industria in grado di conciliare successo al botteghino e creatività. Negli anni Settanta nuovi talenti dietro la macchina da presa: Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Brian De Palma e registi-produttori innamorati degli effetti speciali come George Lucas (“Guerre stellari”) e Steven Spielberg (“Lo Squalo”, “E.T.”, “Indiana Jones”). Negli anni si allarga la forbice tra Hollywood e il cinema del resto del mondo. Che non manca di far sentire la sua voce: come Bollywood in India, industria da oltre mille film all’anno.

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