Paolo Sorrentino è da sempre attratto da uomini alla fine, disillusi, che per un’ultima volta hanno il dono di rivivere o rivedere la vita, a volte per il tramite di figure o immagini femminili. È questo il tema attorno a cui ruota il suo cinema, nutrito spesso da ricordi di cultura pop che riemergono come piccole epifanie.
Nonostante le apparenze raccolte rispetto a “La grande bellezza”, le ambizioni di “Youth” rimangono altissime: ci si confronta con il tempo, la morte, il senso e il ruolo dell’artista. Il protagonista del film, Ballister, è un musicista in ritiro, accompagnato dall’amico di sempre, Mick, un regista, anche lui alla fine, ma a differenza del musicista, combattivamente alla ricerca di un’ultima chance. La regina d’Inghilterra vorrebbe che Ballister dirigesse per lei le sue celebri “Canzoni semplici”, ma lui rifiuta. Intanto, sua figlia viene mollata dal marito (che è il figlio di Mick), e una serie di apparizioni fugaci popola il luogo: un gruppo musicale vintage, un attore in cerca di concentrazione, miss Universo, una specie di Maradona (forse la figura più folgorante).
La prima parte del film si divide tra le scene a due (i duetti Keitel/ Caine, coppia quasi alla Neil Simon) e dei tableaux vivants suggestivi, tra l’estasi e il grottesco. Troppo facile citare la stazione termale di “8 1/2”, come “La dolce vita” per il film precedente. O magari, le fotografie di Martin Parr o un film sottovalutato come “Il volto dell’altra” di Corsicato. In ogni caso Sorrentino impone una cifra immediatamente riconoscibile, quasi un marchio. E qui osa una struttura più musicale che narrativa, giocando con il kitsch, consapevole dei rischi.
Rispetto agli altri suoi film, sono più evidenti certi scivoloni (la parata delle attrici passate di Mick), la ricerca della frase a effetto e, man mano che ci si avvicina alla fine, un tono grave che punta diretto al sublime.
Comunque il talento visivo del regista è fuori discussione; e anche, cosa forse ancor più decisiva, la sua sincerità. Molte immagini del film, e la sua atmosfera, accompagnano lo spettatore e lo toccano oscuramente. Grazie anche a un gran gioco d’attori, guidato da un gigantesco Michael Caine (ma va ricordata almeno l’apparizione, feroce e irresistibile, di Jane Fonda).