Una città di frontiera, senza confini né barriere, dove le vite e culture degli italiani e degli stranieri che condividono lo stesso quotidiano si mescolano, si abbracciano, si confondono. E all'interno dei palazzi di cemento che respirano attraverso quei buchi che vengono ancora chiamati finestre, si mescolano storie di immigrati, di nuovi e vecchi italiani tutti uniti dalla stessa sopravvivenza al margine.
Da qui si muove Cronache di frontiera, docu-serie firmata Sky, che indaga senza filtri una realtà sottotraccia, in cui tradizioni, credenze e religioni differenti coesistono con difficoltà. Quattro puntate, dal 30 settembre alle 21.10 su Sky TG24HD (canali 100 e 500 di Sky) e in chiaro, visibile a tutti, sul Canale 27 del digitale terrestre. Con la voglia di sperimentare, lanciarsi nella presa diretta senza intermediazioni, senza giornalisti, senza domande, senza il gesto del documentario ma con la forza del cinema, per una volta, formato piccolo schermo. Dove l'unica arma è quella della verità della narrazione.
[[ge:rep-locali:espresso:285599336]]
Basato sul format originale inglese Benefits Street e prodotto in Italia da FremantleMedia, "Cronache di frontiera" entra a piedi uniti nella periferia romana, per raccontare una periferia che appartiene a tutti. Una fotografia impietosa nella sua immediatezza, che unisce in un unico colpo di macchina buoni e cattivi, giusti ed ingiusti, polizia e perquisiti, poveri e poveri. Perché non c'è un vincitore quando la realtà è estrema, il lavoro non esiste e quel poco che ti resta tra le mani lo senti minacciato dalla rabbia che ti muove alla vista degli uomini che vengono da fuori. Il futuro incerto, le sicurezze disintegrate da quelle attività che spuntano come funghi sono "Concorrenza sleale", perché "I cinesi sono subdoli, i negozi che fanno schifo che non c'hanno mai un grembiule" e poi la domanda: "Ma come fanno a lavorà 24 ore al giorno?"
Già, come fanno. Ma subito il controcanto, la voce parallela che ti spiega "Gli stranieri non rubano il lavoro, sono gli italiani che non hanno voglia di lavorare". E allora uno dopo l'altro volti in primissimo piano, generazioni che si sommano, gente che usa la strada come un ufficio, donne, madri, fedeli in una moschea, neri, bianchi, orientali, tutti in una grande e unica voce che cerca di trovare un terreno su cui camminare insieme. Indossando la stessa maglietta di Francesco Totti.

"Mi dicono che il mio Kebab è di carne di topo ma è tutta invidia perché noi siamo pure più bravi come pizzaioli". Allora il coro: "Voglio ritirare il modulo per rinunciare alla cittadinanza italiana", "Voglio gli stessi diritti degli stranieri", "Inutile fa venì tutti sti marocchini se poi non c'ho da dargli da magnà" e poi "Perché lo deve fa l'Italia per forza?" "Integrazione? Quale integrazione", "Non c'è il mondo nuovo, non c'è, non esiste, manca la giustizia, la pace, mancano le tradizioni". Se la vita si improvvisa, ci si deve accontentare. Perché "Se cerchi più dell'essenziale stai a fa' uno sforzo inutile"
Jonas, vive da anni occupando un locale pubblico e lotta per non essere cacciato. Agostino, combatte per non chiudere la propria attività. E Tangir, Memhet, Mattia, alla ricerca dell’integrazione e di un futuro migliore. "Voglio prendere la laurea, fare l'ingegnere, non voglio più lavorare per strada"; "Voglio un mondo dove non ho paura di far crescere i nostri figli".
Così, carrellata dopo carrellata, voce dopo voce, parla Regina, nigeriana, un volto dolente che ha vissuto molto più di quello che si possa immaginare. "Non buttare la tua vita nel cesso come ho fatto io - dice alla figlia. "E fatti sposare da un marito che ti rispetti, che non ti metta mai le mani addosso".