Da Dario Fo a Roberto Benigni, da Renzo Arbore a Fabio Volo, da uno scrittore acuto e intransigente come Christian Raimo al sociologo Domenico De Masi a Neri Parenti, che l’ha diretto più di qualsiasi regista, a tanti altri (compresi attori e interpreti dei suoi film). La voce di Fantozzi, raccoglie una polifonia di testimonianze e sguardi, letture e itinerari culturali e personali, dichiarazioni d’amore e stupore per quella che viene unanimemente considerata la maschera più originale e popolare della cultura italiana del dopoguerra: il ragionier Ugo Fantozzi, il più noto impiegato della storia di questo Paese, il quale nasce ufficialmente nel 1967 quando fa la sua prima apparizione, in radio, nel programma “Il sabato del villaggio”.
A quasi 50 anni dalla sua apparizione, ritorna con la sua voce nel film prodotto da Volume, la società che ha realizzato l’edizione dell’audio libro nel quale, per la prima volta, Paolo Villaggio, legge le cronache micidiali e irresistibili del piccolo borghese più sfigato della cultura occidentale che alla critica ha fatto spendere i nomi di Kafka e Gogol e che nella versione cinematografica ha dominato il box office per più decenni. Dopo aver realizzato La voce di Berlinguer, insieme a Teho Teardo, selezionato in concorso a Venezia, e La voce di Pasolini, insieme a Matteo Cerami, il film sul poeta regista che ha vinto un nastro d’argento ed è il più venduto e diffuso su Pasolini, Mario Sesti ricostruisce le avventure dell’immaginario fantozziano esplorandone invenzioni, ampiezza, linguaggio, potere simbolico e devastante umorismo.
[[ge:rep-locali:espresso:285246484]]
«Ho fatto film su Gadda, su Fellini, su Berlinguer, su Pasolini e sono misteriosamente e inesorabilmente attratto dal modo in cui queste voci e queste soggettività ricche e complesse come continenti, hanno saputo creare mondi, popolare la nostra immaginazione, toccare con grazia, talento ed energia il nostro modo di pensare e guardare noi stessi e la realtà che ci circonda: io credo che anche l’apparizione di Fantozzi abbia modificato e cambiato il mondo – dice Mario Sesti –; da quando c’è lui, nessuno di noi può raccontarsi di essere davvero sfortunato e, allo stesso tempo, ha conferito alla sfortuna e alle nostre miserie un mix di humor, espressività e poesia leggendario di cui nessuno può fare più a meno. È anche una delle pochissime creazioni letterarie e cinematografiche che unisca età e generazioni così diverse. Indipendentemente dalla nostra età o dalla nostra cultura, dalla nostra origine o dalla nostra classe sociale, tutti abbiamo riso di lui e almeno una volta ci siamo trovati in una situazione assurda e avversa che ci ha fatto usare l’aggettivo fantozziano. Il film vuole essere uno strumento per raccontare tutto questo ed anche per scoprirne i segreti e prolungare il piacere e la passione che sono ad essi legati».