Domanda: perché Teresa Ciabatti, 44enne originaria della Maremma, scrittrice con alle spalle tre romanzi e autrice di film e sceneggiati tv di un certo successo (anche commerciale), ha deciso di dare alle stampe un testo in cui racconta i fatti dei propri genitori e la sua non tanto felice infanzia? Risposta: perché aveva una storia da raccontare, ed è una storia di forte valenza universale. In “La più amata” (Mondadori, pp. 218, € 18) si compie un piccolo miracolo di cui solo la letteratura è capace: nonostante la scabrosità del tema e di alcune scene, la scrittura non è mai impudica ma, anzi, misurata e discreta.
In altre parole, Ciabatti dimostra di aver capito quanto la vita di ognuno di noi possa essere ambigua, [[ge:espresso:visioni:1.297150:image:https://espresso.repubblica.it/polopoly_fs/1.297150.1489501356!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/articolo_480/image.jpg]]antinomica, contraddittoria. E anche che l’amore non dà felicità. La trama mischia il pubblico con il privato. Al centro c’è il padre, Lorenzo Ciabatti, medico, uomo potentissimo, una specie di ras maremmano, legato a Licio Gelli, autoritario, con amici fascisti coinvolti nel golpe Borghese. Lorenzo a suo modo ama la moglie, Francesca Fabiani. Francesca è medico, è ribelle. Arriva da Roma e il suo portamento e il modo di vestire sconvolgono la buona società di Grosseto e Orbetello. Lui la ama, ma le rovina la vita e la riduce alla povertà. E anche lei lo ama, pur essendo la sua vittima.
Poi c’è la bambina, la più amata. Oggi, donna 44enne che ha deciso di mettere nero su bianco il suo punto di vista di ragazzina cresciuta come principessina di un inesistente principato della Maremma. Ed è uno sguardo sul potere affascinante. Ma anche un testo in cui si dice: i cattivi non vanno perdonati, ma possono essere amati.