A parlare è Dale Chihuly, uno dei più noti artisti del vetro al mondo, che rievoca quando, ancora studente, si cimentò in modo del tutto casuale con la lavorazione del materiale: «Quella prima bolla mi fece provare una passione che non ho mai più provato così intensa».
All’epoca studiava Architettura d’interni alla University of Washington. Non poteva certo immaginare che sarebbe diventato uno dei più celebrati artisti di questo delicatissimo materiale, che mette costantemente alla prova chi lo lavora per renderlo il più sottile possibile.

«Sono pochissimi i materiali che fanno filtrare la luce: plastica, acqua, ghiaccio e vetro», spiega Chihuly che ancora adesso, a settantacinque anni, ormai tra i nomi in assoluto più conosciuti in questa arte, continua attraverso il vetro a esprimere la sua creatività. Una tecnica artistica che per secoli è stata saldamente associata agli artigiani veneziani, ma che ora ha trovato un importante polo di riferimento a Seattle.
È lì che Chihuly vive, ha il suo laboratorio e per anni ha insegnato la lavorazione del vetro alla Pilchuck School of Glass. Non è un caso, però, che l’artista si sia formato proprio a Venezia, presso la Fabbrica Venini, nel 1968.
«Prendi della sabbia, ci aggiungi il fuoco e l’insieme diventa un liquido che si rapprende come miele» dice Chihuly, descrivendo la magia del soffio umano che trasforma il vetro in un numero infinito di forme: «La storia del vetro è una storia che va indietro di oltre duemila anni».

Le sue intricate sculture composte da centinaia di pezzi sono state acquistate da collezionisti d’arte in tutto il mondo; la trasparenza dei suoi colori è stata immortalata in innumerevoli foto; le sue enormi opere in vetro hanno adornato i luoghi più celebrati al mondo: dai canali di Venezia al Victoria and Albert Museum di Londra, dalla torre di David a Gerusalemme al museo di Belle Arti di Boston. Le sue opere sono ora esposte in oltre duecento istituzioni culturali, in vari continenti.
Ma è soprattutto nei giardini botanici dove le sue enormi sculture assumono una vitalità senza paralleli. Dopo quella prima mostra al Garfield Park Conservatory di Chicago ne ha allestite altre sedici - ai giardini tropicali di Coral Gables, all’orto botanico di Atlanta o all’Arboretum di Dallas. E fra meno di due mesi debutterà una grande esposizione delle sue enormi e coloratissime opere ai Giardini Botanici di New York, nel Bronx.
La data è già fissata, il 22 aprile, giorno in cui si festeggia la Giornata Mondiale della Terra. Ciliegi, magnolie e arbusti di lillà in fiore al Botanical Garden, il giardino delle rose sarà trionfante di intensi aromi, le azalee sprizzeranno i loro seducenti colori, migliaia di narcisi creeranno dappertutto un manto giallo e bianco. Ma quest’anno i colori, le forme e i profumi della primavera, nel più celebrato orto botanico negli Stati Uniti, avranno un ruolo di supporto anziché di protagonista. Quel chilometro quadrato di verde nel Bronx farà da scenografia alle immense creazioni in vetro di Chihuly.
«Non mi intendo molto di piante ma i fiori mi hanno sempre influenzato molto. Forse perché mia madre amava il giardinaggio. Vivevamo in una casa modesta in un quartiere mediocre ma avevamo un giardino grandissimo e molto bello», spiega l’artista, che perse il padre all’età di sedici anni, appena un anno dopo la scomparsa di suo fratello: due eventi che segnarono la sua vita e crearono un legame particolarmente intenso con la madre Viola.
«Il mio lavoro è come se fosse fatto apposta per inserirsi in un giardino e spero che le mie istallazioni costribuiscano a far apprezzare l’arte a chi va nei giardini botanici per una passeggiata. E viceversa: mi auguro che chi ama l’arte scopra un nuovo interesse per i fiori e per le piante».
Nelle prossime settimane parecchie centinaia di delicatissime forme in vetro - imballate individualmente una per una - lasceranno lo studio di Chihuly a Seattle. Percorreranno quasi quattromila chilometri a bordo di otto autotreni, prima di raggiungere la destinazione finale a New York. Qui saranno affidate a un team di diciassette persone che le monterà in venti elaborate istallazioni. Un gioco di assemblaggio dove la duttilità, la trasparenza e la traslucenza del vetro creeranno gigantesche forme floreali, accentuate dal contesto naturale del Botanical Garden.
Un’esposizione mozzafiato che si aggiunge alle grandi mostre che in anni recenti, per ogni primavera, hanno trasformato il giadino botanico di New York in un luogo magico. Un luogo dove arte e natura convergono e si completano. In un certo senso è come se Chihuly stesse per portare nel Bronx due esposizioni in contemporanea: una alla luce del giorno e l’altra avvolta nel buio della notte. Perché le stesse venti sculture si presenteranno del tutto diverse durante le quaranta serate nelle quali i giardini botanici rimarranno aperti al pubblico. Come dice l’artista stesso, infatti, il buio aggiunge al vetro un elemento di volume, che si fa sempre più intenso a mano a mano che la luce cala.
«Mi piace spingere al limite delle loro capacità tecniche i soffiatori del vetro che lavorano per me. Credo in quell’elemento di tensione che viene dal fatto che ci siamo inoltrati così in là da non sapere esattamente se il vetro si romperà», dice Chihuly, che progetta personalmente le sue opere ma ne affida la realizzazione a un team di soffiatori e modellatori. Affidarsi ad altri per la parte pratica è diventata anche una necessità da quando, in seguito a un incidente automobilistico, ha perso l’occhio sinistro, che tiene costantemente coperto. Con la vista compromessa, ha ridotto anche la percezione di profondità necessaria per lavorare il vetro, ed è così divenuto “la mente” delle sue opere, più che il braccio.
«Quasi mai ho una chiara idea di quello che desidero realizzare. Mentre butto giù i disegni non ci penso troppo», conclude l’artista, ammettendo di avere una preferenza per le idee che gli vengono in fretta: «Poi migliorano: a mano a mano che progrediscono».