Decine e decine di volti sgranati nell’ingrandimento da vecchie fototessera in bianco e nero, scatole di latta sovrapposte a costruire uno schedario dei morti e dei dispersi dell’Olocausto, centinaia di abiti dismessi ammucchiati in carrelli o distesi al suolo, e ancora occhi anonimi stampati sul tele chiare che ondeggiano al passaggio del visitatore. Volti di partigiani ingranditi e affissi in luoghi periferici della città. La mostra antologica di Christian Boltanski “Anime di luogo in luogo”, a cura di Danilo Eccher (fino al 12 novembre al MAMbo di Bologna), sollecita una riflessione sulla forma dell’elenco e dell’accumulo nella cultura visiva e letteraria contemporanea.
Già Michelangelo Pistoletto con il suo “Muro di stracci” (1968) aveva accumulato ed esposto abiti smessi in serie con intento decostruttivo del consumismo, mentre Georges Perec nel romanzo “La vita, istruzioni per l’uso” (1978) ci aveva introdotto a un senso dell’oggi che è fatto di accumulazione e vertigine del vuoto: l’elenco degli oggetti, dei gesti, dei luoghi e delle quisquilie del quotidiano nella vita di un condominio che oscilla fra ironia e angoscia. Beppe Sebaste in “Oggetti smarriti e altre apparizioni” (2009) ha scritto un libro sulla memoria e la sua dissoluzione a partire da oggetti accumulati e dispersi.
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Ma dove è possibile rintracciare l’origine dell’uso espressivo della forma dell’elenco? Dall’antichità fino all’epoca premoderna i cataloghi - dei soldati, delle navi, delle belle donne - avevano una funzione celebrativa, un po’ come passare in rassegna i campioni di una squadra prima della gara o della partita. Ciò che sembra invece caratterizzare l’elenco nella modernità è l’aspetto memoriale tanto più elegiaco quanto impersonale. Sono due gli elementi che fanno da cesura: la Seconda guerra mondiale e la società dei consumi di massa. Il lavoro artistico di Boltanski registra un passaggio che non è solo di quantità, come preservare la memoria di migliaia di persone letteralmente spazzate via dal conflitto bellico e poi dalle stragi e dai flussi migratori. Ma anche di qualità: come si mantiene la memoria non di biografie illustri bensì di vite perlopiù anonime?
Si potrebbe dire che solo dopo il trauma collettivo dei due conflitti mondiali e dello stragismo, e nel contesto di una civiltà di consumi di massa dove le singole esistenze si assomigliano tutte nell’omologazione merceologica, l’accumulo, la serialità e l’elenco degli oggetti e delle immagini siano potuti diventare da contenitore inerte un potentissimo mezzo espressivo.