Dimenticatevi di Kurt Cobain, di Amy Winehouse, di Heath Ledger, di Sid e Nancy, dei ragazzi dello zoo di Berlino, di quelli di “Requiem for a Dream”, dei poeti e degli scrittori maledetti come Baudelaire, Rimbaud, Edgar Allan Poe, Huxley, Hemingway, Bukowski, Tondelli. «Scegliete un futuro, scegliete la vita», potremmo dire, usando le parole di Rent Boy, protagonista del romanzo e di uno dei film simbolo degli anni Novanta, “Trainspotting”. E quel futuro, quella vita fatta di sballi, di eccessi, di hangover senza fine, di cocktail corretti, di braccia rovinate, di notti passate ad abbracciare il cesso dentro al bagno di un locale, di mondi allucinati e immaginari, sembrano essere passati di moda. Non è più tanto fico finire in prima pagina o in un servizio delle Iene o di Lucignolo, andare fuori strada, costringere la propria vita in un laccio emostatico, diventare una notizia di cronaca, neanche così importante, di quelle che fanno dire: «mi dispiace, sì, però un po’ se l’è cercata».
È fico, invece, essere vulnerabili, rimanere lucidi, con gli occhi aperti, guardarsi intorno, raccontare tutto ciò che ci circonda, innamorarsi della quotidianità, sorprendersi per le piccole cose. Finita l’epoca dei Balocchi, è arrivata quella dei ragazzi per bene. Basterebbe pensare a due musicisti nati a Trastevere, proprio in quei maledetti anni Novanta, Carl Brave e Franco 126, diventati famosi dopo aver pubblicato su YouTube alcune canzoni poi raccolte nell’album “Polaroid”. Canzoni che raccontano flash, lampi, immagini di una vita normale, spensierata, pura, luminosa, in cui tutti possono finalmente riconoscersi. La filosofia del «quando siete felici, fateci caso», avrebbe detto Kurt Vonnegut.
«Sveglia all’alba pe’ ‘l mercato delle sette, ho tamponato una mini ferma al verde, un ragazzino in auto mi fa gne gne gne gne, il nasone scorre sempre e non la smette» (“Sempre in due”); «Galoppiamo in SH annamo in sella, lei è bella bella peccato che è lella, perché piangi alla patente pora stella, t’hanno bocciata perché sei partita in terza» (“Polaroid”); «Lei si specchia con la selfie dell’iPhone, beve Sauvignon, un urlo tra i palazzi la Roma avrà fatto un gol, a una piotta sull’Enjoy buchiamo un altro stop, abbiamo litigato e mi pareva una sitcom» (“Enjoy”); «Mi parla di cose che non so, io annuisco poi cerco su Google, ai suoi piedi nuove birkenstock, famo du’ spaghi metto un filo d’olio a crudo» (“Tararì Tararà”).
Andando oltre i 140 caratteri di Twitter, ecco il vero sharing di un istante rubato alla vita, un modo per trasformare le cronache di Facebook e le “insta-story” in arte. Eroi del quotidiano, quindi, come altri che stanno dando vita alla scena indie italiana, destinata a diventare mainstream. «Io ti giuro che torno a casa e mi guardo un film», canta Calcutta, mentre confessa alla sua donna che preferirebbe «del verde tutto intorno», una vita semplice, insomma, e le chiede: «Vestiti da Sandra, che io faccio il tuo Raimondo». «La tua bici rossa Atala, che pedalavi solo a piedi scalzi, con le dita piene di sabbia», cantano i Thegiornalisti, celebrando la fine dell’estate.
Tommaso Paradiso, frontman del gruppo, si autodefinisce un sognatore, un romantico, e mentre lascia intravedere pezzi della sua nuova love story su Instagram e fa delle dirette su Facebook dove intona al pianoforte canzoni d’amore, nei suoi testi racconta il bisogno di sentirsi protetto, al sicuro, che sarebbe bello un mondo dove tutti si innamorano, ogni giorno, delle piccole cose, come le ragazze che si lasciano pettinare i capelli dalla salsedine del mare. I Cani, gruppo di punta di questa scena, sono passati dal raccontare un immaginario simile a quello di Carl Brave e di Franco 126, fatto di pariolini che sfrecciavano sui cinquantini e di aperitivi a Monti popolati di hipster, alla «materia oscura di questo universo strano», invitandoci a smetterla di cercare il nostro nome su Google, a uscire da noi stessi, a guardare anche le vite degli altri.
Un sano ritorno alla normalità promosso anche dai The Pills (Luca, Luigi e Matteo), tre ragazzi romani di periferia, diventati re delle web series. Sketch più o meno brevi, in bianco e nero, quasi tutti all’interno di una casa, in cui il punto forte è l’ironia, la presa in giro di quelli che vogliono strafare, che non hanno ancora capito quant’è bello essere normali. Uno chiede come si fa a mantenersi in forma, e l’altro, invece di consigliargli un po’ di jogging o la palestra, gli rivela il suo segreto: «Io c’ho l’ansia». Una ragazza scende dalla macchina di Matteo quando scopre che i genitori di lui stanno ancora insieme, non sono divorziati, e si vogliono perfino bene, mentre Luca si nasconde in bagno per non farsi beccare dai coinquilini mentre legge Fabio Volo, e Luigi esce con una ragazza che si droga, quando lui vorrebbe solo parlare con lei. I nuovi eroi, sì, come quelli di Wes Anderson o dell’enfant prodige Xavier Dolan (classe 1989), dove vincono le debolezze, i treni persi, la vulnerabilità, i legami famigliari, e il non detto, negli occhi di tutti, ha sempre il sapore dolceamaro dell’amore.
E così è anche su Netflix, che si tratti di una coppia di imbranati (“Love”), di un ragazzo affetto da una leggera forma di autismo (“Atypical”) o di un gruppo di ragazzini in bicicletta alla ricerca di un amico scomparso (“Stranger Things”). Aveva ragione Lucio Dalla, «l’impresa eccezionale è essere normale», magari trovando nella normalità il punto di partenza per guardare avanti e inventarsi un futuro.
«Scatto foto col mio cane», «in ciabatte nel locale», «sboccio acqua minerale», recitava già il tormentone della scorsa estate, “Andiamo a comandare”. Agitando le spalle, puntando gli occhi al cielo, nell’attesa di diventare grandi.