Calabria e Puglia, Sicilia e Campania sono anche le regioni in cui è più difficile trovare una libreria: secondo uno studio della Nielsen del 2016, al sud un terzo dei comuni con più di 10mila abitanti non ne ha nemmeno una. Snobbati dalle grandi catene che preferiscono le città, i comuni del meridione trovano raramente un entusiasta disposto a lanciarsi nella vendita dei libri. Eppure proprio questo è un elemento che l’Istat quest’anno ha messo in evidenza: l’importanza delle librerie indipendenti nel rapporto tra editori e lettori. Nel giudizio di chi i libri li produce, i negozi indipendenti sono il miglior canale di vendita: sono più importanti delle temutissime librerie online, ma anche delle fiere e perfino delle grandi catene. «I librai indipendenti conoscono meglio il contenuto dei volumi che vendono», spiega Stefano Mauri, editore (è presidente del gruppo Gems) e distributore di libri (è vicepresidente di Messaggerie italiane). «Fare l’editore significa scommettere su uno scrittore. Per questo è importante che in libreria ci sia qualcuno che condivida la stessa scommessa. I negozianti indipendenti sono fondamentali in particolare per far affermare gli esordienti. Perché hanno un rapporto diretto con il cliente, e possono consigliargli autori nuovi».
Anche se i grandi numeri si fanno con catene e librerie online, i negozi di quartiere ricoprono un ruolo essenziale: «Quando i librai indipendenti scendono sotto una certa soglia, l’editoria diventa troppo “d’allevamento”», spiega Mauri. «Mentre con presentazioni, informazioni sui social e corsi di ogni genere, questi negozi diventano veri e propri centri culturali. È per questo che, se è giusto che una libreria storica che chiude faccia molto rumore, è anche vero che nel silenzio aprono molte librerie di quartiere».

Forti di questi dati, gli indipendenti affinano le strategie, diventando sempre più multitasking, affilano le armi con l’aiuto di corsi come la Scuola per librai Umberto e Elisabetta Mauri di Venezia, che torna dal 23 al 26 gennaio, e si prepara alla battaglia. Che quest’anno, tornando ai dati Istat, vede schieramenti diversi rispetto alle previsioni. Intanto l’ebook non è più il nemico da battere: «Chi affronta la spesa di un e-reader è già un lettore forte», conferma Mauri, «e generalmente continua a comprare anche libri di carta: infatti solo due persone su cento si dichiarano esclusivamente lettori di e-book. Molti altri però comprano libri virtuali una volta ogni tanto: per comodità di acquisto o di trasporto, o perché il prezzo è più basso».
La vendita di e-book e i colossi dell’e-commerce vanno a braccetto: ma la novità dei giorni scorsi è che la lotta contro i colossi mondiali della vendita di libri comincia a interessare anche agli editori. Dopo il clamoroso divorzio tra Amazon e le edizioni e/o, chi vuole leggere Elena Ferrante in italiano forse tornerà al libraio sotto casa. «E comunque», sottolinea Mauri, «con la produzione di libri di carta in aumento quasi del 5 per cento e gli e-book in leggero calo, è evidente che la scorpacciata tecnologica è finita».
Aumentano i libri ma diminuiscono i lettori: rispetto all’anno precedente sono calati dal 42 al 40,5 per cento: 23 milioni di italiani sono “non lettori”. «E anche se l’Istat ha un’accezione di “lettore” molto restrittiva, anche allargando il campo non si migliora di molto. Considerando anche i “lettori inconsapevoli”, quelli che usano guide turistiche o manuali di cucina, si arriva al 68 per cento: resta quindi sempre un terzo di italiani che è completamente tagliato fuori dal mondo dei libri». L’aumento dell’offerta di fronte a un calo di domanda non è un controsenso? «In realtà conferma un dato di una ricerca di Federculture, che a ottobre aveva segnalato un’incongruenza simile: gli ingressi in musei e teatri aumentano ma il numero di persone che ci vanno cala. Significa che la crisi, malgrado i segni di ripresa, incide ancora sulle spese culturali degli italiani: molte persone non possono permettersi nessun tipo di partecipazione culturale».
Se i conti non tornano in famiglia è difficile farli quadrare in libreria. E lo si vede anche dal programma di quest’anno della scuola veneziana. Che in realtà si è sempre occupata anche di aspetti pratici: «Mio padre l’ha fondata negli anni Ottanta, quando le librerie chiudevano perché le jeanserie pagavano affitti più alti, con l’idea che un libraio la vocazione culturale ce l’aveva già: bisognava insegnargli a diventare un bravo negoziante», ricorda Mauri. Nel programma di quest’anno, però, assortimento, strategie di mercato e “valore economico aggiunto” fanno la parte del leone: anche il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini nel suo intervento giocherà sul significato del “valore” di libri e lettura.
L’attenzione per l’aspetto economico spicca poi nella relazione finale, una sorta di “lectio magistralis” che in anni passati ha visto diverse volte in cattedra Umberto Eco, e poi filosofi come Vito Mancuso e scrittori come Clara Sanchez. Quest’anno invece sarà affidata al Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Il titolo della sua relazione è “Investire in conoscenza”: «Ma non parlerà di conti», assicura Mauri. «Quando ha accettato l’invito ha detto che per una volta almeno vuole parlare di libri».