Lui, che è stato capace di cominciare una carriera parlando con un pelouche, lui che è in grado di riempire i vuoti, occupare lo studio, ricordare a memoria e ripetere a macchinetta senza sbagliare neppure una virgola, ecco proprio lui alla fine spiaccica la frittata ?in terra mentre la fa volare. E precipita come un pivello nell’insulto grossolano, nella battuta da filmetto, nella gag sporcacciona. Che alla lunga odora ?di stantìo, come le noccioline lasciate troppo a lungo nel barattolo. Non è tanto il giochino “Avanti un altro”, che quello si sa, l’hanno disegnato così, non è cattivo di suo. Pazienza, se hai casi umani, le donne poppute e il dialetto imperante. Non sempre si può giocare di buon gusto.
Ma in uno studio senza lo iettatore, la bomber, l’alieno, la vecchia, il sindaco e tutti gli altri mostri, a fare i gentleman sono capaci tutti. Mentre ?è proprio nel laghetto di Canale 5 che Bonolis potrebbe dimostrare le sue capacità, svolazzare sul becero, sfiorare il trucido, giocare con maestria tra ?il dico e il non dico. Invece no, si butta sulla signora e sullo stacco musicale urla «adesso tromba!», al ragazzo gay intima “attento al fagiolo”, e per scaramanzia si fa toccare il didietro ?dal concorrente di turno.
Tra pisellini ?e uccelli volanti, pance e doppi sensi, giochi di petto e varia anatomia in un siparietto infinito.
Rimossa la parentesi di “Music”, Bonolis lo invitano tutti. Ma più è tirato per la giacca, da Scherzi a parte a Bim Bum Bam, dai bambini canterini della Clerici alle strane menti della Perego, più si incista in quella parte da folletto che rimesta nel basso, sempre lì, senza riuscire ad alzarsi per guardare appena più su. E pensare ?che basterebbe così poco.
HO VISTO COSE BELLE
Dodici milioni di persone hanno guardato il festival di Sanremo. E si sono sentiti sbattere in faccia come un cazzotto ben assestato il monologo di Pierfrancesco Favino sull’esclusione. Sono passati otto giorni ma quelle lacrime in prima serata sono difficili da dimenticare. Cerchiamo di non farlo.

HO VISTO COSE BRUTTE
Alessandro Borghese e la sua giacchetta nera saltella tra un ristorante e l’altro, bofonchia arrotolandosi sulle sue stesse parole, con le labbra arricciate, il sospiro al basilico, le spalle curve, il sorrisetto furbo, lo sguardo ammiccante. Troppe mossette, troppi acuti, troppi sapori in un unico chef. Che assomiglia sempre più all’imitazione di Edoardo Ferrario.
