Personaggi svuotati, caratteri grezzi, ritmo lento: ma nelle pieghe della serie di Niccolò Ammaniti i difetti diventano pregi e ne rivelano l'anomala bellezza del racconto. In cui siamo tutti colpevoli

«Non sentitevi in colpa ». «Mi sento in colpa». «Dobbiamo espiare la colpa». «Non è colpa mia». «È colpa tua». Umani ?e colpevoli, è questo un filo conduttore invisibile che attraversa episodio dopo episodio la serie faticosa e importante ?di Niccolò Ammaniti “Il Miracolo” (Sky Atlantic). Di cui si è detto parecchio, cercando di esaltarlo a tutti i costi come ennesimo esempio di orgoglio italico. In realtà il senso di questo bizzarro prodotto seriale così difficile da definire potrebbe nascondersi proprio nelle pieghe dei suoi difetti, che nella loro sfacciataggine è facile immaginare siano voluti ad arte.

Sfacciata è la Madonna che piange sangue, non qualche lacrima ma barili addirittura, al punto che si presenta il problema dello smaltimento. Non c’è alcuna discrezione in questo, al contrario, l’immagine è talmente spinta che il raccoglimento puro a cui dovrebbe portare svanisce all’ennesima goccia rossa. Sfacciati sono gli angoli dei personaggi, scolpiti in una pietra grezza ?a colpi di martello senza finezza, senza dettagli. Il politico in ansia, la moglie ricca, il generale metodico, la ricercatrice ossessiva, la bambina satanica, la religiosa invasata, sono caratteri svuotati di cui resta solo l’involucro, che agiscono guidati ognuno a suo modo da un senso di colpa che li priva di ogni carattere. Persino il prete dannato, che precipita ?per trovare un senso nella risalita, passa da figura eccelsa a figurina, una sorta di abate di Montecassino peccatore da manuale: videopoker, droga, sesso, droga, gioco, sesso, ancora droga.

Infine sfacciata è ?la lentezza delle scene, ?le camminate infinite, il punto d’arrivo ripreso passo dopo passo, quattro, cinque, sei inquadrature dello stesso movimento, talmente superflue da risultare inevitabili. Perché sopravvivere ?al senso di colpa costa fatica, pesa come un macigno, inchioda al terreno e rallenta l’incedere. E questo fardello non ha bisogno di Dio per schiacciarci, né di mele da staccare dall’albero. Così la bellezza di questo prodotto del tutto anomalo, che ha sparigliato le carte come un soffio di vento sui tavolini del bar si insinua nel sovvertimento profondo del senso di colpa. Siamo noi, che agiamo male, e per questo dobbiamo punirci ed espiare. E per farlo non servono miracoli. Ma solo coscienza di sé.

HO VISTO COSE BELLE
Difficile descrivere un programma in cui degli umani portano i loro bassotti, levrieri, bulldog o pechinesi a fare dei massaggi rilassanti, seguono le sfilate del cappottino all’ultimo grido e li spruzzano di olii essenziali. Difficile perché fino a che non si vede almeno una puntata di “Riccanza vita da cani” (Mtv) ogni parola è superflua. Bau.

HO VISTO COSE BRUTTE
Enzo Miccio è stato eletto, nostro malgrado, commentatore ufficiale ?del Royal Wedding. Ed è riuscito in un’impresa che ha dell’incredibile: trascorrere quattro ore di diretta su Real Time senza dare neanche una notizia. Infarcendo, però, la nuvoletta ?di nulla, con insulse regole di bon ton. E che dio salvi la regina.

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