Tutto questo però possiamo solo intuirlo perché in “Tesnota” (cioè ristrettezza, costrizione, isolamento) tutto è visto con gli occhi della protagonista Ilana (la mercuriale, superlativa Darya Zhovner), un maschiaccio prorompente di femminilità, proprio così, in una chiave appunto di assoluta e fino a un certo punto beata intimità.
Quella condivisa col padre meccanico, che aiuta con amore in officina. O quella quasi incestuosa che la lega al fratello minore, prossimo alla nozze con un’altra ragazza ebrea. Anche se dopo una cena di fidanzamento rutilante di affetto e speranza, malgrado lo spazio esiguo dei festeggiamenti, i promessi sposi vengono rapiti a scopo riscatto e il film sterza in una dimensione morale che mette a dura prova, appunto, tutta quell’intimità.
Perché per pagare il riscatto bisognerà fare compromessi, svendere l’officina, forse “vendere” Ilana al futuro cognato, anche se lei ama segretamente un ragazzone cabardo. E al giallo, appena accennato, o agli echi horror dello sfondo storico (in tv Ilana e i suoi amici guardano il video, vero, di una decapitazione che riporta alla guerra cecena) si sovrappone una dimensione intima, quasi psicanalitica, che ispira a Balagov le note più felici.
Inquadrature serrate, colori dissonanti, affetti compressi e insieme esplosivi. Ogni gesto, ogni volto (che attori!), ogni dettaglio, fossero anche le pozzanghere o i tristi edifici sovietici di Nalchik, sfiora e insieme sfida l’elegia. Premiato a Cannes 2017. Per chi ancora cerca un cinema diverso, da non perdere.
“Tesnota”
di Kantemir Balagov
Russia, 118’