Da Les Magasins Printemps che Zola aveva visto nascere su boulevard Haussmann a Goode’s, magazzini del lusso nella Sydney anni ’50, il salto non è poi così lontano. Merito di Madeleine St John, nata in Australia, vissuta a Londra in una deliberata solitudine, barcamenandosi tra le chincaglierie di Notting Hill, e morta nel 2006.
“Le signore in nero”, uscito nel 1993 ma pubblicato in Italia solo ora, è una commedia con le commesse del grande magazzino per protagoniste: metro e spilli a portata di mano, e dosi antiche di psicologia e savoir-faire, consigliano abiti alle clienti. Intrecciando le loro biografie con quelle di una società che affronta l’immigrazione, il rapporto col denaro, l’idea stessa dell’indipendenza femminile. I vestiti, da esercizi di vanità o stratagemmi conquista-uomini, diventano strada di emancipazione: come per la sartina di Bianca Pitzorno ne “Il sogno della macchina da cucire” (Bompiani). Tra l’apocalisse del retail decretato da e-commerce e centri commerciali, e una fast-fashion che da moda democratica si è rivelata uno dei peggiori ambiti di sfruttamento di esseri umani, un romanzo fresco, arguto. Ricamato con stile.
“Le signore in nero”
di Madeleine St John (traduzione Mariagiulia Castagnone)
Garzanti, pp. 197, € 16 (prefazione Helena Janeczek)