
Ma restano fondamentali per ciò che a me sta più a cuore: la ricerca di nuove voci attraverso l’applicazione dell’umana intelligenza che scorre dall’autore al lettore grazie alle scelte di editori e librai. E rinnova il panorama letterario. Dal canto loro, gli editori non sono mai stati in condizione di scegliere se sviluppare o no le proprie vendite anche nei nuovi canali. Non possono snobbare lettori solo perché preferiscono comprare al supermercato o da casa o in versione digitale scritta o audio. Abbiamo un mandato preciso dagli autori: raggiungere i lettori.
SPAZI DA SOSTENERE
Si legge con giusta preoccupazione della chiusura di librerie storiche. Le librerie, specie quelle indipendenti ma non solo, sono presidi culturali, il luogo nel quale i libri prendono vita e il libraio è e deve essere quello che sfida gli algoritmi, più il libraio è bravo e più il libro finisce nelle mani giuste meglio è. E le librerie rimangono comunque il principale luogo di acquisto. Naturale anche che librai costretti a chiudere individuino nell’e-commerce la causa dei loro guai. Fatto salvo il bonus cultura, molto efficace, il governo dovrebbe trovare forme di sussidio per librerie vere. Un piccolo sforzo di bilancio per lo Stato, un grande passo per la civiltà. Non occorre molto a dare un credito di imposta a chi affitta i locali a una libreria (vera).
SAPER SFRUTTARE L’ONLINE
L’e-commerce si è preso un terzo del mercato: l’8% delle catene, il 40% delle librerie indipendenti, il 60% dei supermercati. Meno di quanto ha preso nei Paesi a prezzo libero, ma più o meno tanto quanto ha preso negli altri Paesi a prezzo regolamentato. Articoli analoghi a quelli che leggiamo sulle chiusure di librerie romane li troviamo anche su quelle di Madrid, dove vige un rigido prezzo fisso: ne sono state chiuse 209 nel nuovo secolo (El Pais 4-1-2020). In Germania hanno chiuso 3.100 librerie su 7.600 (Boersenblatt 8-11-2019). E soprattutto grazie all’e-commerce cresce la quota degli editori indipendenti. Ci sono da noi molti giovani che aprono piccole librerie e sperimentano un nuovo rapporto, anche on line, con i lettori. A quanto mi risulta in Italia ogni 3 librerie che hanno chiuso 2 nuove librerie hanno aperto.
Tra chi ha frequentato la Scuola per Librai di Venezia, cioè chi manifesta un desiderio di rinnovarsi e aggiornarsi, la mortalità è molto bassa. Non voglio minimizzare: come per molti altri settori, dalle banche ai videogiochi, alla musica, al ferramenta, internet costituisce, di tutti i cambiamenti ai quali ho assistito nella mia vita da editore, il più violento. Tutto il retail è in trasformazione, anzi tutta l’economia, se oggi in cima alla lista delle società più capitalizzate troviamo solo le cosiddette Over The Top: società che si sono guadagnate la posizione dominante in una funzione precisa: vendere, socializzare, ricercare in rete, offrire musica... Sono anche giustamente sempre più sotto osservazione dai media, dalla politica, dalle authority.
Di fronte a queste società siamo tutti “piccoli”. Abbiamo un solo punto di forza: il lavoro dell’editore è artigianale, si fonda sull’intelligenza naturale di autori ed editori. Per ora i tentativi di Amazon di entrare nell’editoria dalla porta principale non hanno funzionato, se non nelle roboanti dichiarazioni fatte per attirare autori basate su numeri che nessuno può controllare. Per i librai è più difficile. Ma non impossibile. Non amo chi dà consigli agli editori senza esserlo e senza davvero conoscere le sfide, i vincoli e la complessità in cui operiamo, perciò non voglio commettere lo stesso errore con i librai e mi limito a due esempi: sono andato alla presentazione di un libro in una piccola libreria alla periferia di Milano tenuta da due giovani librai. Eravamo una decina. Il giorno dopo ho saputo che la libreria aveva venduto 300 copie del libro. Come è possibile? C’erano altre mille persone collegate in una diretta Facebook.
TORNARE A SCUOLA, ANZI A HOGWARTS
E adesso vi racconto una grande storia. Il primo seminario della Scuola per librai Umberto e Elisabetta Mauri si è tenuto nel 1984 per un’intuizione di Valentino Bompiani e Luciano Mauri. In quegli anni chiudevano troppe librerie nei centri storici, sfrattate da jeanserie che offrivano molto di più per il canone di affitto. La Scuola nacque per insegnare ai librai tutti gli strumenti più moderni per gestire il negozio. La Fondazione Cini diede la disponibilità a ospitare questo seminario nella meravigliosa sede sull’isola di San Giorgio, a Venezia. Grazie a questo una volta l’anno il gotha dell’editoria abbraccia con calore 30 libraie e librai, gli allievi. Professori universitari, imprenditori di successo, autori di spicco ogni anno offrono le loro competenze per spronarli a fare tutto quel che è possibile per migliorare. Oggi siamo alla 37° edizione.
Ci vado da quando ero molto giovane, tanto che ho perso solo due edizioni: una per assolvere il servizio militare e l’altra perché ero impegnato in un Master. La Scuola per la mia formazione è stata importantissima. È stata paragonata alla Davos dell’editoria o all’Harvard dei librai, ma per me che ho cominciato da giovane è sempre stata qualcosa di simile a Hogwarts. È da lì che sono entrato nel mondo editoriale. Ogni anno alla stessa data prendo lo stesso treno, sul binario 9 e ¾ della stazione centrale di Milano, e sul treno incontro editori, librai, colleghi. Arrivati a Venezia partecipiamo a un’esperienza terapeutica. Ci si imbarca per la Fondazione Cini. Circondati da bellezza e fragilità ci sentiamo a casa noi dei libri, ci siamo abituati. Presto ci si dà del tu, ci si sente un unico equipaggio e si ragiona con professori e campioni di diverse materie sul da farsi. Non manca la magia, grazie all’acqua. Il presidente, Albus Achille Silente, ogni anno ci stupisce con qualcosa di imprevedibile. Come un quartetto dalla Mongolia. E c’è anche un Harry Potter. Il suo nome è Daunt… James Daunt.
LA CURA INGLESE DI JAMES DAUNT
Abbiamo invitato per la prima volta Daunt 11 anni fa perché, mentre le catene e Amazon facevano terra bruciata delle librerie indipendenti inglesi (in Italia le librerie indipendenti hanno circa il 20% del mercato, in Inghilterra ci si avvicinava al 7%, oggi al 3%), a suon di sconti in un Paese che aveva abbandonato il prezzo fisso da anni, le 5 librerie di James, nel contesto più difficile possibile, prosperavano senza fare sconti. I suoi clienti compravano nella sua libreria a prezzo pieno libri che magari nel vicino supermercato erano scontati al 50%.
Com’era possibile? James situava le librerie nei quartieri giusti, vendeva la libreria, e la libreria per lui significava librai competenti, libri ben selezionati e letti dai suoi librai, ordinati in modo da far capire che non erano libri qualsiasi, ma seguivano un disegno preciso e dando la sensazione che quelli erano i libri migliori. Se devo riassumere con una frase il suo mantra, è questa: «Se dai al tuo cliente un libro scontato ma brutto, il cliente non torna; se gli dai un libro bello a prezzo pieno il cliente torna e continua a leggere libri». Ma anche in Italia ci sono tanti esempi. Di buone librerie e buoni librai che se la cavano bene. Per la concorrenza dell’e-commerce la principale catena di librerie inglese, Waterstones, impegnata a competere con Amazon sugli sconti, qualche anno fa stava collassando. L’editoria inglese, che vantava un enorme credito nei suoi confronti, tremava.
Un magnate russo comprò la catena e l’affidò a Daunt su suggerimento di Nick Perren. Daunt la rovesciò come un guanto. Ristrutturando e riducendo il mid-management della sede e ampliando invece i librai professionali nei negozi. Abolendo gli sconti. Impreziosendo il layout dei libri. Facendo ruotare le proposte editoriali sulla base della qualità, non dello sconto. Smettendo di vendere gli spazi della libreria agli editori. Riducendo drasticamente le rese. Ogni anno mi reco a Londra per la Fiera del libro e ogni anno passo dalla libreria Waterstone in Piccadilly Circus. Prima della cura sembrava un discount, i cartelli promozionali parlavano di sconti e non di libri. Si aveva un’impressione di sbando, un po’ da day after. Dopo la cura sembrava una gioielleria. In una libreria di Daunt sono i libri a parlare. Attraverso l’ubicazione, la copertina, il titolo, il marchio editoriale, la bandella… I mobili scuri fanno risaltare i colori, l’inclinazione degli scaffali è studiata perché la luce si rifletta bene sui libri, ma anche perché la posizione eretta non danneggi la costa a lungo andare.
Vorresti avere tutta quella libreria a casa tua. James riuscì a raggiungere i suoi obiettivi nel giro di tre-quattro anni, riportando in utile e in attivo la catena. Il fondo che ha comprato la catena risanata l’anno scorso ha deciso di acquistare un’altra catena in difficoltà, Barnes & Noble, la più grande catena di librerie degli Usa, affidando anch’essa alle cure di Daunt che a questo punto è a capo di 929 librerie. Mi ha scritto di essere grato alla Scuola per la spinta motivazionale che lo ha aiutato a credere nel suo lavoro nei momenti difficili. E ha offerto la possibilità a un libraio indicato ogni anno dalla Scuola di lavorare per un mese, pagato, in una libreria Waterstone. Oltre a grandi autori e premi Nobel sono passati da Venezia i principali editori occidentali. Quest’anno - dal 28 al 31 gennaio - ci sarà anche il capo di Hachette, secondo gruppo editoriale di varia, un impero presente in tutti i continenti con 150 case editrici. Si chiama Arnaud Nourry ed è figlio di… una libraia.
UN DECALOGO PER VINCERE (con un libraio amico)
1. Fai il libraio perché ami la cultura e i libri, ma la libreria è anche un negozio, e ci sono saperi che devi conoscere: come vanno fatte le vetrine, come attrarre i lettori, come impostare i percorsi in libreria, e poi l’illuminazione, l’altezza, l’esposizione dei libri. Attenzione all’ubicazione del negozio o al costo dell’affitto: possono essere irrimediabilmente sbagliati.
2. Ci sono saperi che devi conoscere se hai la responsabilità di una azienda. “Devi” sapere che effetto avrà sul bilancio ogni decisione. Non sempre ci si azzecca, non sempre si fanno cose che hanno un ritorno positivo sul bilancio - si tratta pur sempre di imprese culturali - ma bisogna averne contezza.
3. Il fatto che esistano variabili imprevedibili non è una scusa per non studiare bene i dati invece disponibili. Che peraltro sono sempre di più. Fortuna e sfortuna si alternano, ma quel 10% che puoi spostare esaminando i dati, sul lungo periodo può farti sopravvivere o morire.
4. I libri sono scritti, pubblicati e venduti da persone. Sono le persone che fanno la differenza. E se l’editore deve credere in quello che fa e farlo con competenza, il libraio forse ha il compito più difficile: deve essere sempre ben disposto e propositivo verso i lettori, saperli prendere e consigliare.
5. L’innovazione tecnologica non è solo una minaccia ma anche una opportunità. Sia per amministrare bene la società che per rivolgersi all’esterno. Lo sanno bene molti giovani librai che hanno aperto librerie il cui spazio fisico è piccolo, ma lo spazio virtuale costruito sui social è enorme. E magari è Glovo a consegnare i libri ai clienti più pigri.
6. Se non hai passione per i libri meglio cambiare mestiere. Come sanno i librai con offerta limitata ma ben selezionata.
7. Una comunità internazionale può offrire idee ed esempi ai quali non avevi pensato. Sii curioso e presente al tuo mondo.
8. Non inseguire il tuo concorrente diretto. Distinguiti (ma ricordati anche di prendere il meglio da quello che vedi). L’e-commerce vende un milione di libri? Tu scegli bene solo quelli che contano per i tuoi clienti. L’assortimento dev’essere composto dando valore non solo ai libri che si vendono molto, ma anche a quelli che si vendono meno ma sono importanti e a quelli che danno valore al tuo assortimento.
9. Devi vendere la libreria, non i libri. Devi vendere l’atmosfera, i tuoi consigli, la tua autorevolezza, l’occasione di incontrare autori, seguire corsi, abitare il tuo spazio.
10. Attento agli snobismi. I tuoi clienti sono di tutti i tipi, tu devi capire cosa vogliono. Si vedono librerie che hanno solo libri dall’aspetto raffinato ma in realtà minori, non ben curati, non ricercati. Come spesso accade, mi viene in soccorso una frase del raffinato artista che era Fabio Mauri: «Non si può essere incolti al punto di amare solo cose di alta qualità».