In verità “Soul” sbircia anche nell’aldilà, ma è un attimo. Un infinito scalone geometrico che ascende verso la luce fra cori mistici e mette al newyorkese Joe Gardner, jazzista afro defunto per caso nel giorno della sua grande occasione, una gran voglia di scappare. Così, dopo una mirabolante serie di capitomboli e rimbalzi metafisici - pane per i denti della Pixar - ecco l’anima di Joe, quasi morto a Queens, ritrovarsi tra collinette rosa-celesti circondato da anime in transito e da Consulenti che sembrano un incrocio tra la Linea di Cavandoli (quello della Lagostina) e una scultura di Calder. Riuscirà a tornare nel suo corpo?
Qui verrebbe da dire che l’aldiquà, chiave del film, è anche la parte più laboriosa e meno convincente, ma sarebbe ingeneroso. Vero è che Pete Docter (“Up”, “Inside Out”) e il suo co-regista Kemp Powers (afroamericano non a caso) se ne liberano in fretta per riportare Joe a New York. E qui la musica cambia, è il caso di dire. Anche perché il primo film “all black” della Pixar gioca due partite. Una spettacolare, l’altra sociale. Dunque dà il meglio quando Joe, tornato a Queens dopo aver visto l’aldiquà, inizia a capire molte cose della sua traballante esistenza terrena.
E “Soul” ritrova il miracoloso equilibrio di acutezza e divertimento, che era la regola nella Pixar di una volta, proprio grazie a quel quartiere afro e alla sua vivace popolazione. Anche perché accanto a Joe, grazie a un espediente da non rivelare, c’è la bisbetica 22, animella saccente (e incolore) che da millenni rifiuta di incarnarsi, come certi ragazzini iperconnessi che credono di sapere già tutto, dunque la lezione sarà duplice. Come tutto questo film, a ben vedere, sempre un po’ diviso fra le gioie della creazione e le briglie strette della dimostrazione. Su Disney+. In cerca di legittimazione. E di nuove platee.
“Soul”
di Pete Docter e Kemp Powers
Usa, 100’