C’è una coppia, c’è l’inganno, ma soprattutto c’è l’assenza. In questo caso si dovrebbe parlare più di abbandono del campo ma alla fine il risultato è comunque una presenza mancata, un vuoto che prende il posto del pieno e all’improvviso si fa contenuto. Venier Cuccarini Diaco Venier Matano D’Urso Daniele Bignardi D’Urso Balivo e ancora D’Urso solo nelle prime settimane non potevano credere ai loro occhi: nella terra desolata dei giganti un cetrionzolo alla Roald Dahl era lì a un passo per nutrire la fame atavica di nulla.
Così all’abituale spremuta di Sanremo che avviene ogni anno, questa volta si è aggiunta la benedetta scaramuccia eletta a evento, trasformata poco a poco in un’ossessione formato derby, dove, nello stadio del palinsesto, tutti hanno cercato di metterci le mani, vuoi per vendere due noccioline d’ascolti, vuoi per segnare il gol più spettacolare.

Il buono, ingenuo e stralunato Bugo contro il cattivo, folle, geniale Morgan sono stati equamente spartiti in tutti i programmi dal sabato al venerdì, intervistati, chiamati al telefono, reinterpretati da attori bislacchi con ombretto e parrucche, invitati a lasciare un’impronta digitale sui teleschermi, riempiti di elettrodi per l macchina della verità. Fino a che si è allargato l’albero genealogico. La mamma di Morgan contesa, inserita in un plastico della sua cucina viene affiancata dalla sorella di Morgan che ha litigato con Bugo che viene invitato a sua volta, in attesa che spuntino cugine e cognate.
Così all’infinito, con il pubblico che chiede la replica del miracolo, non della moltiplicazione ma dell’assenza che l’ha generato. Un cantante che se ne va, davanti a un pubblico stupefatto, scalda le curve. Il che è buffo ma a pensarci bene neanche troppo. In un Paese dove, parafrasando il sacro testo, «le brutte intenzioni, la maleducazione, la brutta figura, l’ingratitudine, l’arroganza, e i piedi in testa» sono pane quotidiano e «ringraziare il cielo» una giustificazione abusata, lasciare l’agone per l’attacco verbale diventa un gesto che ha del rivoluzionario. Basta rispettare chi ti ci ha portato dentro. E come dice bene lo spettatore fedele, «questo sono io».