Rimedio all’oblio. Enciclopedia di una comunità. E imbattibile tecnologia. L’editrice de La Nave di Teseo spiega perché un volume è sempre strumento di libertà. Perfino quello non letto (Illustrazioni di Lorenzo Terranera)

La scoperta della scrittura avrà per effetto di produrre la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché, fidandosi della scrittura, si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da se medesimi: dunque, tu hai trovato non il farmaco della memoria ma del richiamare alla memoria»... (Platone, “Fedro”). La scrittura è un “farmaco”, uno strumento che oscilla tra ricordo e dimenticanza, nel mare della memoria.

La grande rivoluzione dell’alfabeto germinò in Asia Minore, tra la fine del secondo e l’inizio del primo millennio a.C., e si realizzò in Grecia. Ma chi inventò la scrittura alfabetica? La risposta non è univoca. Il mito concorda, tuttavia, sulla centralità di Cadmo, almeno nel diffondere l’alfabeto in Grecia. Nonno di Panopoli, nato in Egitto, sulle sponde del Nilo, nel 5° sec. d.C., al tramonto della cultura greca, racconta che Cadmo creò «strumenti atti a esprimere i suoni del linguaggio», che sono «doni provvisti di voce e ragione», che vivono in un «silenzio che non tace».

In Grecia Cadmo porta la combinazione ordinata e armonica di vocali e consonanti, che è lo specchio più compiuto della lingua orale. La scrittura alfabetica si rivela uno strumento sintetico e molto efficace. Si apprende più semplicemente e può riprodurre gli stessi ambiti dell’oralità. La scrittura assume dunque una propria “voce” che coabita con l’oralità, ma non vi si confonde. E, ci dice il mito, la scrittura è un mondo tutto umano. Gli dei greci parlano, giocano, si appassionano, ma non scrivono, perché non ne hanno bisogno, vivono in un eterno presente: sono felicemente analfabeti. Se la scrittura è inutile per gli dei, gli uomini, ricevutala in dono, non potranno più farne a meno; essa diverrà protesi della mente, natura, come fosse una mano, pur essendo una tecnica prodigiosa.

La scrittura è anche – ci insegnano i versi di Nonno – «silenzio che non tace». La scrittura rende vivo e parlante ciò che altrimenti sarebbe silente, o addirittura disperso in sfere celesti, fra gli dei, o nel gorgo del passato che tutto risucchia. La scrittura rende presente ciò che tace, avvicina quanto è distante dalla vita, anche i morti, anche gli dei, anche i fatti accaduti.
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Dunque: memoria, dimenticanza e scrittura. E il libro è il figlio più riuscito della scrittura. Il libro è stato il “phàrmakon” più efficace, il più resistente al tempo, come nota Umberto Eco: «Il libro appartiene a quella generazione di strumenti che una volta inventati, non possono essere più migliorati, come la forbice, il martello, il coltello, il cucchiaio, la bicicletta. Il libro è ancora la forma più maneggevole, più comoda per trasportare l’informazione».

Il libro ha due caratteristiche di cui i greci poterono sperimentare subito la grande utilità e che rimarranno identiche nel corso dei secoli: è “finito” e dunque riproducibile senza essenziali alterazioni; può essere più lungo di quanto la memoria individuale sia capace di ricordare. Un solo libro può creare un mondo parallelo, enormemente più ampio di quello sperimentabile dall’individuo singolo. E l’insieme dei libri, dunque, può diventare l’enciclopedia della comunità, una seconda memoria che si intreccia alla memoria personale. Il libro, dunque, non è mai solo. Il libro è sempre plurale, è sempre anche i libri, rimanda a un sistema su cui si fonda la memoria.

«Il nostro mondo riposa su scritti, su testi. L’uomo possiede un mondo a causa degli scritti in cui si trova», come scrive Emmanuel Lévinas nelle sue riflessioni durante la prigionia in un lager nazista.
La distruzione di una biblioteca è, o può essere, la perdita del mondo. E infatti la storia dell’umanità è puntellata di distruzioni di biblioteche e dunque di interi mondi. La cultura «è un cimitero di libri» (Eco). I libri - aveva forse ragione Platone - non hanno a che fare solo con il ricordo, ma anche con l’oblio. Per questo sono non solo il fondamento della nostra memoria individuale e collettiva, ma anche una delle ragioni della nostra libertà.
Una biblioteca, a partire da quella privata della nostra casa, include libri che non abbiamo letto, che forse non leggeremo mai, ma che potremmo leggere. La biblioteca non è mai ciò che si è letto o che si leggerà per intero, ma una sempre aperta possibilità, uno strumento. Non è mai solo il sapere, ma la «garanzia di sapere» (Eco).
Non dobbiamo leggere tutti i libri (o meglio: non possiamo leggere e dunque possiamo non leggere tutti i libri che esistono) anche perché altri li hanno letti per noi e quei libri sono entrati nell’atmosfera che respiriamo: posso prendere un ascensore, pensando ad altro, perché prima di me, e al posto mio, altri hanno assimilato secoli di libri di fisica e matematica, che hanno determinato la costruzione di un manufatto che permette al mio peso di salire invece che cadere in basso. Solo perché altri hanno letto (e scritto) noi possiamo, singolarmente presi, dedicarci ad altro, scegliere di fare altro rispetto a quello che altri hanno fatto per noi. La biblioteca del mondo e il sistema dei libri liberano le nostre possibilità. I libri – e i libri non letti – testimoniano che non siamo mai soli, che la nostra vita è intrecciata a ogni altra vita presente, passata e futura. Per queste ragioni, l’esigenza di collezionare libri è stata avvertita molto presto e non ha nulla a che fare con un vezzo, ma risponde a una esigenza primaria dell’umanità.
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Cambia qualcosa quando Dio si «mette a scrivere»? Quando i Vangeli, parola di Dio, fondano una nuova comunità, la Chiesa? Il Libro torna a essere sacro e determina l’autorità di un potere (e dunque un criterio di selezione di ciò che può essere trasmesso). Il libro rivela un ulteriore significato: esso è vivo, ha un potere che non appartiene ad altri oggetti, un potere che può anche essere nefasto e che, dunque, va censurato. L’espressione sopra citata di Nonno di Panopoli, «silenzio che non tace», si illumina, ora, di una luce ancora più intensa, persino sinistra. Solo perché un libro è cosa viva e potente, si avverte il bisogno di bruciarlo, come insegna “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury. Le biblioteche dei monasteri medievali continuano il proprio esercizio di trasmissione del sapere raccolto nei libri; i monaci, con rigore ascetico, copiavano i codici per difenderli dalla distruzione. Naturalmente, nonostante la passione dei monaci, non tutti i libri potevano entrare nei monasteri. I custodi li selezionavano, conservandone o copiandone alcuni, altri lasciandoli inabissare e disperdere per sempre.

Insomma, la biblioteca - il sistema ordinato dei libri e del sapere - continua invariabilmente, pur in un mondo così diverso, a essere strumento della memoria, tra ricordo e oblio.

La rivoluzione del libro viene indicata nel 1450, quando Johann Gutenberg stampa la Bibbia a 42 linee, cioè 42 righe per pagina, con il testo su due colonne. Come è stato notato, non è un’evoluzione interna alla storia del libro, ma una scoperta tecnica innestata sul mondo del libro. Un nuovo Cadmo produce con perizia da incisore la matrice, dentro la quale vengono fusi in piombo i caratteri che, disposti e inchiostrati, si imprimono sulla carta. Un nuovo Cadmo accosta vocali e consonanti in un ordine coerente e armonioso, tracciando i “segni” della scrittura, dando vita ai caratteri mobili, che possono essere disposti e combinati secondo il senso del testo e stampati (con una semplice pressa da torchio) sul foglio di carta.

Lo stampatore diventa un artista che custodisce un tesoro, le matrici, i punzoni con tutti i “segni” possibili. Il processo di stampa, più oneroso e complesso, genera via via una distinzione, fondamentale, tra libri editi e libri inediti. Il libro non stampato sarà un libro inedito, in definitiva un non libro e si inabisserà per sempre nel buio della storia. La stampa introduce, inoltre, un principio di selezione: lo stampatore decide se e quante copie stampare di un libro.

Lo stampatore/editore e poi, in tempi più recenti, il solo editore, distintosi dallo stampatore, sono responsabili della selezione della nostra «memoria vegetale», termine introdotto da Eco per identificare quella parte dell’enciclopedia che fa riferimento al mondo dei libri. Tanto più vasto è il panorama degli editori, tanto più ampio sarà, almeno all’origine, ciò che si immette nel mare della memoria vegetale.
All’evoluzione interna al mondo del libro appartiene anche la rivoluzione del libro elettronico, anche se non è semplice disegnarne la traiettoria futura. Non si hanno garanzie sulla sua permanenza: i supporti elettronici sono in continua evoluzione, non v’è certezza che quelli attualmente in uso saranno leggibili tra cento anni o che il cloud in cui salviamo la memoria di ciò che scriviamo, leggiamo, ascoltiamo non evapori: il tempo sembra ancora giocare dalla parte del libro cartaceo.
Gli editori, penso, tenderanno sempre più a concentrarsi sui contenuti, i quali potranno disporre di sempre maggiori supporti e possibilità di diffusione, ciascuno con propri attori e modalità di promozione e pubblicazione. Ma, soprattutto, i libri - in qualsiasi forma - avranno sempre il compito di arginare il rischio paventato dal Funes di Jorge Luis Borges: la sua prodigiosa memoria gli permette di ricordare tutto, ogni sfumatura di ogni esperienza, e quindi lo rende incapace di elaborare nuovi concetti. Funes (come Internet) è un fiume che trascina e detiene tutto, ogni relitto, ogni splendore. Internet non pensa perché non dimentica e non ricorda, tutto sta in un eterno istante presente. Non è dunque libero. È vitale sapere, cioè ricordare e dimenticare, per essere liberi di cercare e desiderare.
La civiltà del libro, in tutte le metamorfosi che si è cercato di sintetizzare, ha risposto a questo bisogno primario, ci ha permesso di essere liberi.

 

Libro” di Elisabetta Sgarbi è pubblicato nella X Appendice dell’Enciclopedia di Lettere, Scienze e Arti, e i Principia, II volume. ©? 2020 Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani S.p.A., Roma.
Tutti i diritti riservati. Per gentile concessione dell’Editore

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